“Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi”. Dalla citazione del pirata britannico Samuel Bellamy presente sulla seconda di copertina dell’album Le nuvole di De André, pubblicato nel 1990, è nato il titolo `Fabrizio De Andre´. Principe libero. Il biopic co-prodotto da Rai Fiction e Bibi Film sarà proiettato nei cinema italiani 23 e 24 gennaio, per poi andare in onda su Rai 1 il 13 e il 14 febbraio nella forma di una mini-serie in due parti. La sceneggiatura è stata scritta a tre mani da Francesca Serafini, Giordani Meacci, già sceneggiatori di Non essere cattivo, e da Luca Facchini, che ne cura anche la regia. Ad interpretare De André con un accento romano, (e allora?) è Luca Marinelli, famoso tra le altre cose per La solitudine dei numeri primi e Lo chiamavano Jeeg Robot. Mentre Elena Radonicich e Valentina Bellè, interpretano rispettivamente Puny e Dori Ghezzi.
La sfida apparentemente impossibile che vince Facchini è quella di fare cinema raccontando la vita del cantautore genovese in conflitto costante con tutte le forme di limitazione della libertà. Ed è quindi forse non solo un caso che il film si apra con il rapimento di Fabrizio De André e della sua compagna Dori Ghezzi nel 1979 mentre erano nella loro dimora in Gallura, in Sardegna. Da lì il film procede per flashback per raccontare l’infanzia di Fabrizio ai tempi in cui le sue scorribande per i caruggi di Genova già delineano le sue potenzialità goliardiche.
Pur appartenendo ad una delle famiglie di spicco dell’imprenditorialità genovese, negli anni del liceo cresce l’insofferenza di André per l’inquadramento e verso l’ambiente della borghesia genovese che pure frequenta. Il suo motto diventa: “essere anarchici significa darsi delle regole prima che te le diano gli altri”. Non ha molta voglia di studiare, Fabrizio, e, contrariamente al fratello Mauro passa il tempo soprattutto a scoprire un mondo del tutto opposto a quello famigliare. Le sue notti brave tra feste donne e alcol contornato da amici vicini come Paolo Villaggio, sarà lui a coniare per De André il soprannome con cui è tuttora noto, Faber , e Luigi Tenco, lo porteranno a contatto con coloro che vivono ai margini, sempre in bilico tra la strada e la galera, tra la vita e il suicidio. Quel figlio che fa di tutto per essere il suo contrario, ma papà Giuseppe non cessa di proteggerlo. E poi l’incontro prima le sue mogli.
Le scelte registiche di Facchini sono tutte studiate in modo da mettere ‘letteralmente’ in chiaro l’uomo senza esasperare o attenuare nulla delle sue qualità e dei suoi difetti, senza cercare di farne una figura simbolica. Un uomo che ha scelto di abbracciare la precarietà dell’arte e stare dalla parte degli umili, dei diseredati, di quei drogati, puttane e barboni dimenticati da Dio “che ha già troppi impegni per scaldarla gente d’atri paraggi”.
La selezione del repertorio, esclusiva colonna sonora del film, insieme ad alcuni brani di Tenco e Mozart, illumina la poetica di De André. Un ibrido genovese tra Leonard Cohen e il grande chansonnier, irriverente scandaloso etenero, Georges Brassens. Lo spettatore ma anche il neofita dell’opera deandreiana impiegano così due strofe per capire che le “storie cantate” arrivano da una direzione “ostinata e contraria. Gli invisibili trovano spazio e giustizia nei testi di De Andrè . Come nella canzone Bocca di Rosa, dove legittima l’essenza della puttana restituendole la dignità. In un omaggio alla vita dei poveri, Via del Campo, cantava “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Facchini lascia spazio agli attori di dar vita a personaggi autentici. Luca Marinelli è bravissimo nel caratterizzare De André emulandone atteggiamenti e pose. La simbiosi tra i due si compie nelle rare e riluttanti esibizioni dal vivo quando lo vediamo curvo sulla sua chitarra con una sigaretta accesa e un posacenere ai suoi piedi. L’attore romano si conquista man mano il nostro rispetto, oltretutto cantando, benissimo.
Al suo fianco non sfigurano, Elena Radonicich per la sua efficace e mimetica interpretazione di Puny la prima moglie di De André, e Valentina Bellè, nei panni di Dori Ghezzi, ottima nel ruolo asservito al cantautore.
Ma Principe Libero è anche un film per la televisione, il che rende più difficile il compito di fare qualcosa di originale e diverso. Eppure questo non ha impedito gli sceneggiatori di onorare al meglio la figura di De André ricorrendo a qualche concessione narrativa che fa interagire pubblico e protagonisti unendoli in uno scopo comune: rendere omaggio ad un artista che ha fatto di tutto per mantenere fede alla promessa di cambiare il mondo con la sua poesia.