Far dialogare la drammaturgia contemporanea americana e quella italiana, per consentire all’audience statunitense di conoscere le più significative opere teatrali italiane di oggi, e a quella del Belpaese di rimanere aggiornata sulle sperimentazioni a stelle e strisce in materia. No, non è un’utopia: è l’obiettivo che si è posto il progetto “Italian&American Playwrights Project”, inteso come un vero e proprio “scambio” drammaturgico da un capo all’altro dell’Oceano. Uno scambio non meramente ideale e “platonico”, ma molto concreto: perché l’idea di base è quella di selezionare, dalle rispettive tradizioni teatrali contemporanee, opere da tradurre e pubblicizzare nel Paese straniero. In particolare, sono quattro le opere di autori italiani individuate per il pubblico americano, presentate il 4 dicembre al Segal Theatre Center a New York attraverso letture teatrali di estratti, e tre quelle a stelle e strisce destinate a essere sottoposte al pubblico italico il 14 dicembre a Roma con la medesima modalità. I lavori così individuati verranno poi tradotti e pubblicati integralmente nel corso del 2018.
Un progetto certamente ambizioso, lanciato dal Martin E. Segal Theatre Center alla Cuny, con la collaborazione di Valeria Orani, direttrice artistica di Umanism NY, la prima società di servizi organizzativi, promozionali e logistici dedicati ai mestieri creativi che intendono sviluppare un network professionale nella Grande Mela. E’ stata lei, insieme al Direttore Esecutivo del Segal Theatre Center, Frank Hentschker, a muovere le fila dell’Italian Playwrights Project, dirigendo, grazie alla sua esperienza manageriale, quella che lei stessa definisce una vera e propria “filiera” nella promozione del teatro italiano oltreoceano. Un’iniziativa che lo stesso Hentschker ha definito “uno dei più significativi progetti di drammaturgia italiana negli ultimi due decenni in America”, e a cui collabora anche l’Istituto italiano di Cultura a New York.
Proprio all’Istituto si è tenuta la presentazione del progetto, in occasione di un dibattito focalizzato sulle strategie per diffondere la drammaturgia italiana e americana contemporanee attraverso la traduzione, la pubblicazione e la promozione di opere negli Stati Uniti e in Italia. Un dibattito a cui hanno partecipato Valeria Orani, Frank Hentschker e Fabio Troisi, Addetto alla Promozione Culturale – Arti Visive e Arti Performative dell’Istituto italiano di Cultura. L’iniziativa ha preceduto di qualche ora l’appuntamento, previsto in serata presso il Segal Theatre Center, di presentazione finale dei lavori degli autori italiani selezionati dall’American Advisory Board sulla base dei suggerimenti dell’Italian Advisory Board. Le opere incluse nella selezione sono The Horizon of the Events di Elisa Casseri, My Hero di Giuliana Musso, A Notebook for the Winter di Armando Pirozzi, The Great Walk di Fabrizio Sinisi.
“Il teatro è uno dei campi culturali più difficili da promuovere”, ha osservato Troisi durante il dibattito. Da un lato, ha spiegato, per la grande sfida che pone la traduzione; dall’altro per la difficoltà nel veicolarlo al grande pubblico. Valeria Orani ha confessato, peraltro, di aver preso le redini del progetto poco dopo aver deciso di prendersi una pausa dal teatro, per valorizzare i talenti creativi italiani in altri campi artistici e culturali. Ma poi, il richiamo del palco – per lei che pure lo ha sempre vissuto da dietro le quinte – è stato irresistibile, soprattutto in virtù della portata della sfida da cogliere. Una sfida ancor più importante se si pensa che, in Italia, il più grande ostacolo nella promozione delle arti è sempre lo stesso: la mancanza di fondi. Eppure, grazie all’impegno di tante persone che hanno votato se stesse e il proprio tempo alla causa e al sostegno dell’Istituto di Cultura Italiano – ha spiegato –, “dopo due anni, stiamo passando il testimone dalla prima alla seconda edizione”.
L’importanza di “varcare l’Oceano” e di promuovere gli autori italiani negli Usa e, viceversa, quelli americani in Italia si deve, ad avviso di Orani, soprattutto al fatto che “negli ultimi 30 anni abbiamo perso ogni legame, ogni connessione” tra drammaturgia contemporanea da un capo all’altro dell’Atlantico. Tanto più che, ha aggiunto, esistono buoni progetti per diffondere la drammaturgia italiana in altri Stati europei, ma – incredibilmente – non in Paesi di lingua inglese. E secondo Frank Hentschker, ne vale decisamente la pena: perché l’Italia, ha detto, è una delle nazioni con una tradizione teatrale più ricca. A suo avviso, la drammaturgia italica ha qualcosa che quella americana non ha: in primis, la capacità di esplorare la società attraverso storie familiari. Una questione che in America, dove il focus è più spostato sul dramma dell’individuo in sé e per sé e sulle sue capacità di emergere, è molto meno indagata.

Altra differenza che è emersa nel corso del dibattito, la prevalenza del lato “artistico e creativo” in Italia, in cui gli autori tendono a voler “fare tutto da soli”, e, all’opposto, di quello più prettamente manageriale negli States. Una differenza che emerge, in parte, anche nel comportamento dell’American e dell’Italian Advisory Board: il secondo, più omogeneo e concorde nel selezionare i lavori da promuovere – a dimostrazione di una profonda e unanime conoscenza dei bisogni del proprio pubblico –; il primo, invece, molto più eterogeneo e vario, a conferma della maggiore inclinazione alla sperimentazione tipica degli americani. Sperimentazione evidente, ad esempio, nell’influsso che il linguaggio televisivo ha sulle opere a stelle e strisce, soprattutto quelle degli autori più giovani.
Ma, in ultima istanza, la sfida delle sfide è posta dalle traduzioni: perché portare la tradizione drammaturgica contemporanea italiana negli Usa e viceversa implica, necessariamente, rendere linguisticamente accessibili le opere al pubblico straniero. Conservando, possibilmente, le scelte artistiche dell’autore, e quindi senza smarrirne lo stile. E’ possibile fare tutto questo, nonostante – come ha più volte sottolineato Orani – una innegabile mancanza di fondi? L’“Italian&American Playwrights Project” dimostra che sì, ciò che pareva un’utopia è possibile. Certo: ora l’intenzione è quella di proseguire su questa strada virtuosa e raccogliere le risorse necessarie per fare di più e per consolidare la pratica. “Il nostro obiettivo”, si legge nel documento di presentazione, “è quello di raccogliere denaro sufficiente per pagare traduttori e promuovere i drammaturghi e le loro opere nei teatri”. Una sfida ambiziosa, ma supportata da una grande, evidente passione per un’arte spesso relegata alle nicchie di appassionati e, soprattutto in Italia, ingiustamente poco valorizzata.