Che sia di fronte ad una telecamera o un palcoscenico per Danilo Ottaviani, un attore torinese da quattro anni a New York, le emozioni sono sempre uniche. Poliedrico, curioso, a New York debutta con Cristoforo&Amerigo, una sorta di teatro di strada nei ristoranti italiani per poi lavorare come doppiatore per il canale Italiano K2 a NY. Per il cinema americano ha lavorato in Love is a Broadway Hit diretto da Peter Lee ma è stato anche un assassino sudamericano nel piccolo schermo in un episodio di Shadow of Doubt. Per tutto il mese di luglio sarà impegnato in The Bungler di Moliere e racconta a La Voce di New York cosa significa essere un attore italiano nella Grande Mela.
A New York sei stato protagonista e ideatore di Cristoforo & Amerigo. La cosa più entusiasmante di questo progetto. E’ nato dalla fantasia o dalla necessità?
“Io e Francesco Meola, un attore milanese, ci siamo conosciuti nell’estate del 2014, e insieme abbiamo deciso di sviluppare un mio progetto di teatro di strada e di dargli una forma più dettagliata. Così è nata l’idea di travestirci da immigrati italiani di inizio secolo ‘900 e proporre un repertorio che includeva poesie, ma soprattutto sketch comici. Il nostro menù spaziava da Rodolfo Valentino a Totò… Era un progetto nato veramente dal cuore, a cui ci siamo appassionati tanto. Il successo che ha avuto è stata una conseguenza, non ce lo aspettavamo e non abbiamo iniziato pensando a quello. È stato un piccolo miracolo nato dalla grande necessità di due artisti di voler fare il proprio mestiere. Nient’altro. Francesco nel 2015 ha deciso di tornare in Italia quindi per adesso il progetto si e’ interrotto ma non è detto che sia del tutto finita”.
Dal teatro agli spot pubblicitari. La tua esperienza come attore è vasta. Dove ti senti più a tuo agio: su un palco o davanti ad una telecamera?
“Sono due processi completamente diversi l’un dall’altro. Sicuramente per il palco ho sempre avuto un amore incondizionato, il contatto col pubblico dal vivo ti regala delle emozioni fortissime che la telecamera non ti potrà mai dare. Allo stesso tempo recitare per la cinepresa ti permette di giocare con delle sfumature e sottigliezze che in teatro si perderebbero. E’ difficile scegliere, il mio obbiettivo rimane sempre quello di poter riuscire a fare entrambe le cose. Ho lavorato per numerosi progetti, principalmente in cinema e TV. Primo fra tutti il film Love is a Broadway Hit diretto da Peter Lee, in cui avevo il ruolo secondario di un passeggero che ad un certo punto doveva stoppare un treno della metropolitana per permettere ai due protagonisti di salutarsi prima che lui partisse per tornare a casa. E’ stato divertentissimo filmare quella scena il cui set era una vera e propria stazione della metro in cui un treno vero che continuava a fare avanti e indietro ad ogni ciak, ci abbiamo messo 6 ore per filmare un scena di pochi minuti, ma ne è davvero valsa la pena. Il film dovrebbe uscire nelle sale questa primavera”.
Cosa ti ha spinto ad andare a NY? Cosa ti mancava che in Italia non trovavi?
“Mi ricordo di non essere partito con l’obiettivo fisso di rimanere qua. Ho sempre tenuto una mentalità abbastanza aperta all’idea che se non mi fosse piaciuto sarei potuto tornare. Il lavoro mi ha in qualche modo tenuto fermo qua e anche il fatto che mi sia innamorato della città, che mi piaccia l’energia di cui è sempre carica. Nell’autunno 2013 ho iniziato a lavorare come doppiatore di cartoni animati per K2, un canale italiano di intrattenimento per ragazzi. Da lì le cose si sono sviluppate e nel frattempo sono passati 4 anni”.

L’esperienza di attore in Italia rispetto a quella americana. Quali sono le differenze tra i due Paesi?
“La grande differenza per me rimane sempre il modo in cui vengono valorizzati i giovani e la meritocrazia. Per il resto forse qua girano un pò più di soldi e il teatro viene molto valorizzato. Un’altra enorme differenza è il fatto che se vai a Broadway il 95% del teatro di prosa è composto da testi contemporanei. In Italia siamo ancora ancorati al teatro di repertorio molto dovuto al fatto che scarseggia un “pubblico giovane”, anche se non è quella l’unica ragione… Pochi giorni fa a Broadway ho visto A Doll’s House Part II, che è praticamente il seguito di Casa di Bambola di Ibsen, uno spettacolo bellissimo con attori strepitosi, che sta avendo un successo clamoroso. Non è forse questo un bel compromesso? La riscrittura di testi classici o come nel caso di Doll’s House, scrivere il seguito di un testo di repertorio. Ma perché questo avvenga c’è bisogno di gente che scriva, e anche questa è una cosa che in Italia forse viene poco valorizzata: la scrittura. Per esempio qua negli USA gli stessi scrittori che riescono ad approdare a Broadway vanno poi a scrivere per Netflix oppure Hulu o Amazon… E’ un altro mondo”.
Quali sono gli ostacoli per un attore italiano che vuole lavorare a NY?
“In questi ultimi anni mi sono dedicato moltissimo allo studio. La competizione in una città come questa è alle stelle, e il livello degli artisti che si presentano alle audizioni è talmente alto che è impensabile non investire parte del proprio tempo nello studio. D’altronde cantanti, ballerini e musicisti praticano tutti i giorni e lo stesso vale per gli attori. Ed è per questo che ho iniziato a prendere lezioni di dizione da Leigh Dillon che è anche la dialect coach di Julianne Moore, Daniel Radcliffe, Denzel Washington, Naomi Watts, Clive Owen e molti altri. Grazie a lei (e a mesi e mesi di studio e tanta pazienza) sono riuscito ad avvicinare la mia dizione inglese a una pronuncia americana piuttosto credibile cosa che mi ha permesso di essere preso per ruoli non solo da Italiano. Continuo anche a studiare recitazione facendo seminari a Broadway, più precisamente al Pearl Theatre dove lavoro con un insegnante fantastico che si chiama Dan Daily”.
I tuoi grandi riferimenti cinematografici americani?
“Per quanto riguarda gli attori direi Denzel Washington, Meryl Streep, Marlon Brando. Registi per ora Damien Chazelle, Christopher Nolan, Inarritu. Ma ce ne sono talmente tanti che e’ difficile poter scegliere…”.
La tua New York: cosa ti piace, quali sono i tuoi luoghi?
“C’è un posto in particolare in cui mi piace andare d’estate ed è a Long Island City sull’East River. C’è un prato su cui ti puoi sdraiare e goderti lo skyline di Manhattan di fronte. E’ molto suggestivo. Ma anche Bryant Park sulla 42esima è tra i miei posti preferiti. Così come anche la biblioteca sulla 5th Ave attaccata a Bryant Park in cui mi rifugio spessissimo d’inverno a leggere.
Cosa ti manca di Torino?
“Mi manca lo stile di vita nostro, la qualità della vita da noi è molto più elevata rispetto a qua. New York alle volte può essere davvero molto stressante”.
Sarai in scena per tutto il mese di Luglio. Ci vuoi dire qualcosa di più?
“Andrò in scena per tutto il mese di Luglio con The Bungler di Moliere, per il Shakespeare Theatre of New Jersey. Una commedia molto divertente, oltre ad essere un testo che in pochissimi affrontano. Io interpreterò il ruolo di Andres, un gitano”.