E’ questione di posture e di imposture. Sempre. Fabio Fazio, in un’intervista ha dichiarato: “Siamo pagati dalla pubblicità, non dal canone. Se uno guarda il fatturato degli spot di Che tempo che fa, si rende conto che il ricavato non paga solo la mia trasmissione. Consente che se ne facciano altre che non hanno la pubblicità, che hanno una funzione diversa e che magari hanno conduttori emergenti”. L’ultima notizia, mai smentita, su quanto guadagna, è di qualche anno fa, e registrava circa un paio di milioni di Euro l’anno.
Niente da dire. Apparentemente. In un contesto economicamente liberistico, e intensamente liberistico, la dichiarazione sarebbe perfetta. Sebbene se non del tutto. Giacché anche a Wall Street e dintorni, e fuori dei casi di disonestà conclamata, si è posto, com’è noto, il problema del rapporto fra quanto guadagna il fuoriclasse, e quanto guadagna l’ultimo impiegato o operaio della stessa struttura in cui la star fa rifulgere la sua luce. E perciò, visto che un impiegato in un anno si mette in tasca non più di diciottomila euro, lo standing di Fazio varrebbe circa cento volte quello di un “normale lavoratore”. Sorvoliamo tuttavia, perché questa è la lettera della dichiarazione di Fazio. Diciamo, è la sua postura.
“Quanto guadagni ?” è una domanda ampia, ricca, potente. Può evocare visioni della vita, professione di principi, identità umane, norme morali. Oppure può essere ridotta a questione di ragioneria. Fabio Fazio aggiunge: “Ho aspettato il parere dell’Avvocatura dello Stato mercoledì sul tetto ai compensi in Rai…[che] giudica il tetto dei 240 mila euro lordi contrario alla libertà d’impresa”.
Egli si propone come “uomo di cultura”; ci ha sempre tenuto. Anche quando conduceva “Quelli che il calcio.” voleva distinguersi da Biscardi (non so se ci riuscì ai tempi di “Forza Italia”, il programma, pur’esso pallonaro, trasmesso da Odeon TV). Il profilo dell’attuale show è proposto pertanto come quello di un luogo di riflessione, di analisi critica, in cui gli ospiti si distinguono perché esprimono prestigio personale o istituzionale, qualità intellettuali; anche quando la loro presenza in studio è soffusa di una levità che, sapientemente, si alterna a segmenti di gravità, accoramento, passione, sentenziosità, e, naturalmente, l’immancabile indignazione (quest’ultima preferibilmente in accoppiata con Saviano: anch’egli vocato alla più schietta misura gramsciana). Perciò, il “Quanto guadagni?” avrebbe permesso una vasta gamma di possibili risposte. Ma Fazio, posto idealmente di fronte a quella domanda, non poteva che appallottolare la sua stizza principesca, ed indossare la grisaglia leguleia.
Dice di voler essere “un anchorman-giornalista”. Magari come David Lettermann o Oprah Winfrey. Fazio, liberal. Però, negli Stati Uniti, non si sono mai inseguite ombre equivoche e pretese pauperistiche. Lì è un mondo in cui il denaro è stata sempre la faccenda più seria di tutte. Lì, era di sinistra già Woodrow Wilson, che, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fresco di secondo mandato presidenziale fece arrestare il capo dei socialisti americani, Eugene Debs (aveva accusato l’alta finanza di avere determinato l’ingresso statunitense nella Prima Guerra Mondiale), e varò una legge per combattere le opinioni socialiste. Ma nessuno dubita che Wilson sia stato un reale esponente dei democratici. Sul denaro, niente chiacchiere. Può piacere o non piacere: ma questo è.
In Italia, sappiamo com’è andata. Dove col denaro (altrui) si è sempre scherzato e predicato troppo. Ma è questo il punto: si pretenderebbe di continuare a scherzare e a predicare.
E qui che Fazio passa dalla postura all’impostura.
L’impostura riflette l’ibrida metamorfosi in cui, nella c.d. Seconda Repubblica, si è avvinghiata certa sinistra italiana. Anziché mediare fra la propria tradizione, che, nel profitto in sé, ha lungamente stigmatizzato la fonte di ogni corruzione morale, nella ragionevole convinzione che si dovesse, perlomeno, attenuare la spinta antisolidaristica che lo sorregge, questa nostra bella sinistra-che-conta ha scoperto le bellezze di Mammona, la seduzione dei circuiti protetti e benparlanti. Non solo non ha mediato, ma ha assunto, puramente e semplicemente, le fattezze del “nemico”.
Ma quella postura già conteneva tutte le imposture di cui certa sinistra italiana si è fatta scudo.
E’ il segno del vuoto.
Ci sono nuovi fermenti, vecchie eco, vaste masse, digitalizzate ma anche no, di allegra cupezza, di spensierato calcolo, che crescono, sormontano, minacciano repulisti, rinascite del Settimo Giorno, furore e ban per tutti.
E questi, ne traggono spunti come questo: “Capisco che oggi siamo tutti liquidi e movimentisti. Credo però che la fedeltà ad alcuni principi aiuterebbe a non smarrire la strada”. Se poi uno, a questo punto smarrito, quasi esanime, si chiedesse: ma quali principi?, avrebbe anche la precisazione, l’estro metaforico, il lampo musicale: colpendo me, dice Fazio “hanno colpito il software di un impresa”. Nemmeno il miglior Berlusconi aveva sacrificato il suo sembiante divino fino alla riduzione binaria, alla salmodìa del conto economico.
Ma non c’è verso di coglierlo di sorpresa: “Mediaset? Non avrei alcuna difficoltà a lavorarci”. Alè (ma questa, mi pare, è di Giovanni Floris).