Ci sono posti a New York che sono lontani dal rumore, dalla gente, posti a Manhattan che rimangono appartati, in cui i turisti non arrivano, quartieri della città in cui vivono i newyorchesi molto ricchi o molto poveri, a seconda della latitudine e longitudine in cui si trovano. Alcuni di questi posti sono più cinematografici di altri, vuoi perché hanno suggerito l’inquadratura perfetta in film indimenticabili o vuoi perché sono stati dimora di qualche star, anche questa indimenticabile. A New York, uno di questi film indimenticabili è Manhattan, e una delle star indimenticabili è senza dubbio Marilyn Monroe. Il posto è Sutton Place.
Stretto fra E 53rd e E 59th Street e fra l’East River e Second Avenue, Sutton Place non è solo una stradina chiusa affacciata sull’acqua, tra terrazze e giardini, ma dà il nome a tutto il quartiere intorno, quel pezzetto di Manhattan che guarda il Queensboro Bridge gettarsi oltre l’East River, che vede la funicolare sollevarsi verso Rooselvelt Island, che ospita le antiche townhouse dei Morgan e dei Vanderbilt, padri del capitalismo americano, come anche i lussuosi appartamenti che sono stati di Lillian Gish, Joan Crawford, Freddy Mercury, Michael Jackson, Sigurney Weaver e, appunto, Marilyn Monroe (con e senza Arthur Miller). Anche il segretario generale delle Nazioni Unite ha la residenza qui, in una delle più belle case non solo di Sutton Place ma di tutta Manhattan.
Poche persone per strada, pochissimi ristoranti e caffè, il traffico scorre lento qui a est, non stupisce che molti registi abbiano scelto Sutton Place per girare qualche scena dei loro film, o per ricostruirlo in studio o anche solo per citarlo come sinonimo di quartiere esclusivo.
Marilyn era arrivata a New York, e più precisamente in questa parte di Manhattan, nel 1953 per girare How to Marry a Millionaire (Come sposare un milionario) di Jean Negulesco e ancora nel 1954 per The Seven Year Itch (Quando la moglie è in vacanza) di Billy Wilder, la cui scena più famosa venne girata poco lontano da qui, su una grata del marciapiede al 590 di Lexington Avenue: passa la metropolitana, una folata di vento solleva la gonna bianca plissettata di Marilyn, il resto è storia. Le cronache poi ci raccontano che a causa della folla di ammiratori e della confusione creatasi, oltre che per lo sbotto di gelosia di Joe Di Maggio, dopo numerosi take andati a vuoto la scena venne poi ricreata in studio a Los Angeles. Ma poco importa.
Dopo le riprese del film, Marilyn Monroe decide di tornare e New York per restarci, lontana da Hollywood, dalla stampa scandalistica e da quella immagine di sciocca bambola bionda troppo presto appiccicatale addosso. Sceglie proprio questo quartiere di New York, appartato, esclusivo ma anche anonimo, era questo che cercava. Va a vivere al numero 2 di Sutton Place, all’angolo con 57th Street, pochi isolati più su dall’appartamento scelto per girare Come sposare un milionario, in cui lei, Lauren Bacall e Betty Grable cercavano di accalappiare un milionario sorseggiando Martini in salotto o sulla splendida terrazza sull’East River.

Marilyn sceglie un appartamento piccolino in un grande palazzo di lusso ma niente di spettacolare, un posto in cui cambiare vita, era questo che cercava in quel momento. Si iscrive all’Actors Studio di Lee Strasberg, che all’epoca si trovava ancora su E 59th Street, poco lontana da Sutton Place, per migliorare come attrice, per cominciare ad affrontare ruoli diversi e togliersi di dosso un’immagine che non le piaceva e che sentiva non appartenerle affatto.
Poco lontano abitava il suo amico fotografo Milton H. Greene, a lei vicino in questi anni newyorchesi, e anche la sua analista, Marianne Kris, fondamentale nel cambiamento che Marilyn stava attraversando: un percorso di psicoanalisi era comunque previsto dalle classi di recitazione all’Actors Studio. Nel settembre del 1955, alla prima di A View from the Bridge (Uno sguardo dal ponte) incontra Arthur Miller, compagno perfetto per quel percorso interiore che Marilyn stava affrontando e per la sua nuova vita newyorchese. Vanno a vivere accanto all’appartamento in cui viveva lei, in un appartamento più grande, con ingresso al 444 E 57th Street.
In questi anni, Marilyn rifiuta il ruolo di Holly Golightly in Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany) di Blake Edwards, ruolo scritto da Truman Capote pensando a lei già nel romanzo: una ragazza del Sud che si fa elegante e raffinata una volta attivata in città ma che di fatto fa la prostituta non va bene per lei che cerca in tutti i modi di cambiare immagine e di essere presa sul serio come attrice. Accetta invece di girare The Misfits (Gli spostati) di John Huston, film di tutt’altro tono.
Finirà presto anche la storia d’amore con Arthur Miller, Marylin Monroe in questi anni newyorchesi torna ogni tanto a Hollywood per girare The Prince and the Showgirl (Il principe e la ballerina), Some Like it Hot (A qualcuno piace caldo), Let’s Make Love (Facciamo l’amore), fino all’ultimo film, Something’s Got to Give, rimasto incompleto. Ma è qui che torna appena può, a Sutton Place, dove può camminare per strada senza essere fermata, fotografata, può passeggiare incrociando lo sguardo dei passanti con un cenno di saluto ma niente di più. Morirà presto, il 5 agosto del 1962.
Sutton Place non è però sempre stato Sutton Place. O meglio, lo è stato, ma una volta qui, accanto alle townhouse dei ricchi signori c’erano insediamenti di case popolari dove viveva povera gente, qui c’erano moli e dock per lo scarico delle merci che transitavano sull’East River, era terra di gang, ladruncoli e assassini, quanto di più lontano dall’immaginario degli anni di Marilyn Monroe e anche di adesso.

È stato William Wyler ad immortalare per primo questo posto, nel 1937, ambientando qui il film Dead End (Strada sbarrata), tratto dall’omonima piece teatrale andata in scena a Broadway due anni prima: Sutton Place e E 53rd Street, questo era il dead end che in diverse inquadrature del film vedeva la scritta sul muro East 53rd Place Gang Members Only. Ed è il film che lancia i Dead End Kids, banda di teppistelli ben scelti che faranno poi numerosi altri film a Hollywood (anche devastando set e location) e che avranno numerosi epigoni cinematografici negli anni a venire. La star del film era Humphrey Bogart, che era già Humphery Bogart, nei panni di un gangster che torna nel quartiere dov’è cresciuto, e insieme ai Dead End Kids contribuisce a renderlo famoso: candidato all’Oscar come miglior film, Dead End è stato nominato dall’American Film Institute fra i migliori dieci gangster movies di tutti i tempi.
A Sutton Place negli anni passeranno altri registi e altre star: nel 1948 Douglas Sirk gira Sleep, My Love, con Claudette Colbert e Don Ameche, Negulesco gira appunto qui How to Marry a Millionaire e poi vengono girate qui alcune scene della famosissima serie TV, Naked City nel 1958, e anni dopo, nel 1983, Al Pacino è Tony Montana in Scarface di Brian De Palma mentre Robert Redford recita qui in Legal Eagles (Pericolosamente insieme). E ancora Sutton Place viene citato in Taxi Driver, Wall Street, Almost Famous, American Gangster e nella serie Mad Men.
Basta spostarsi un po’ più in là, sull’imponente Queensboro Bridge e sulla funicolare per Roosevelt Island, per scoprire alcune scene di altri film girati da queste parti: fra tutti, il famosissimo Home Alone 2: Lost in New York (Mamma ho perso l’aereo: mi sono smarrito a New York) e il meraviglioso Leon di Luc Besson.
Ma c’è un film che ha fissato Sutton Place per sempre nei nostri occhi, facendone anche uno dei poster più belli e suggestivi della storia del cinema, ed è Manhattan di Woody Allen.
È qui che una notte, alle 4 di mattina, Woody Allen e Diane Keaton vengono a sedersi su una delle panchine del piccolo parco di Sutton Place: davanti a loro l’East River silenzioso e sullo sfondo, immerso nella foschia della notte, il Queensboro Bridge. Davanti a questa scena, non si può non innamorarsi di Sutton Place. E di New York.