Viareggio, la “perla del Tirreno”, 29 giugno 2009. L’estate è appena iniziata. Il caldo fa venire voglia di uscire, passeggiare sul lungomare e incontrare gli amici in darsena o in pineta. Alle 23:50 un treno che trasporta GPL deraglia. Una cisterna si fora. Il gas fuoriesce. Una, due, tre esplosioni. Il fuoco invade le case. Trentadue persone bruciano vive nelle loro case.
È una sera di fine gennaio del 2014 a Lucca, nei pressi del Tribunale. L’Associazione dei familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio Il mondo che vorrei ha organizzato un presidio. Guardo negli occhi l’amico e regista Massimo Bondielli. Il passo che stiamo per compiere è molto importante e sappiamo che ci vuole coraggio e determinazione. Abbiamo deciso di raccontare la loro storia in un documentario. Liberata la testa da tutte le paure, agiamo. Emozionati, ci avviciniamo a Daniela Rombi, la presidentessa dell’associazione. Non so per quale strana magia dell’animo umano, alla fine della breve chiacchierata ci salutiamo abbracciandoci affettuosamente. Daniela ci invita alle riunioni dell’associazione e ci dà il suo numero di cellulare. Da quella sera comincia il nostro viaggio in questa storia.
Questo dramma ci ha scosso la coscienza e ha distrutto le nostre sicurezze. Poteva accadere ovunque. Poteva accadere a chiunque. Noi siamo figli e siamo padri. Queste storie ci appartengono. La strage ferroviaria di Viareggio non può rimanere solo una notizia, o solo una vicenda giudiziaria. Noi vogliamo raccontare una storia. Ci siamo chiesti, fino a che punto possiamo capire e condividere il dolore degli altri? Fino a che punto possiamo continuare a vivere dopo una tragedia che distrugge tutto ciò che amiamo?
Così è nato il film Ovunque proteggi, con la regia di Massimo Bondielli.
Con il cortometraggio Ovunque proteggi in 12′ abbiamo cercato di raccontare la dimensione umana, materiale, sconvolgente e inaccettabile di quanto accaduto la notte del 29 giugno 2009 nella stazione ferroviaria di Viareggio. La strage che ha ucciso trentadue persone bruciate vive nelle loro case. Di fronte a notizie di eventi terribili sentiamo spesso un senso di impotenza, sempre più profondo. Stanchezza morale, sfinimento dell’empatia e disperazione politica. Per evitare di essere sommersi da questi sentimenti, credo sia fondamentale avere salde radici nella comunità in cui si vive. Trovare una propria prospettiva da dove percepire l’impatto delle proprie azioni e sentire che si sta trasformando in meglio e progressivamente la realtà in cui si vive. Occorre sviluppare il senso di responsabilità verso il mondo e il futuro, all’interno delle nostre relazioni più strette e dell’ambiente a noi circostante. Credo sia questo il senso “politico” del film Ovunque proteggi.
Marco Piagentini, 45 anni. Occhiali scuri e cappellino da runner per proteggere dal sole la pelle ustionata. Quella notte è nella sua casa in via Ponchielli a Viareggio. Guarda la TV, mentre il figlio Leonardo di otto anni, dorme nella sua stanza e la moglie Stefania, 39 anni, è in camera da letto con Luca e Lorenzo di quattro e due anni. Il fuoco lo risparmia insieme al figlio maggiore. Vuole ricostruire la sua famiglia insieme a Leonardo. Daniela Rombi, 52 anni, ha perso la figlia di soli ventun anni dopo quarantadue giorni di agonia. Con l’Associazione dei familiari delle vittime Il mondo che vorrei, da anni ha trovato la determinazione di spingersi oltre la propria tragedia, costruendo una rete delle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi d’Italia. Daniela ha trasformato la sua sofferenza in una battaglia di civiltà.
Una domenica mattina all’ombra della Pineta di Viareggio, Marco ci racconta: “Ricordo il fuoco. Ho volato due-tre volte in cielo. Mi sono chiuso a riccio con le braccia a ripararmi il viso. Mi sentivo un pezzo di legno. Non riuscivo a muovere nessuna parte del mio corpo. D’istinto ho iniziato a chiedere aiuto a squarciagola. Respiravo con mezza narice. Sentivo la vita che mi stava sfuggendo. Poi ho pensato: bisogna stare calmi. Sentivo tutto: ambulanze, urla e voci. Ho iniziato a respirare con calma. Volevo rimanere in vita, resistendo nelle condizioni in cui mi trovavo. Ho sentito la persona che mi ha aiutato a uscire dalle macerie che mi erano cadute addosso quando, dopo aver portato Luca e Lorenzo nell’auto, sono tornato indietro a prendere Leonardo. Dopo, solo un gran dolore. Ho fatto in tempo a vedere la barella e poi sono svenuto. Mi sono risvegliato a Padova dopo più di un mese. In momenti come questi, viene fuori tutto il nostro istinto primitivo di sopravvivenza, forte, prepotente e quasi disumano. Ci si sente come un neonato che viene fuori alla vita. Ho capito la differenza tra sperare di sopravvivere e decidere di vivere”.
Daniela è appena tornata dal lavoro e prima di mettersi a preparare la cena per la sua famiglia, il marito Claudio, la figlia Valentina e le nipotine: “Le difficoltà per noi familiari delle vittime che cerchiamo giustizia e verità, sono iniziate da subito. La consapevolezza che sarebbe stata una lotta impari e le difficoltà sono aumentate di giorno in giorno. Prima con l’incidente probatorio, poi con l’udienza preliminare ed ora con il processo. La consapevolezza che da soli non saremmo arrivati da nessuna parte, arrivò dopo due anni dalla tragedia. Dopo le lotte per l’opposizione al processo breve, ci siamo mobilitati sui binari ferroviari di Viareggio, Roma, Firenze. Fino ad arrivare a sabato 24 aprile 2010, giorno in cui nasce ufficialmente l’ONLUS Il mondo che vorrei, l’Associazione dei familiari delle vittime del 29 giugno 2009. In questi sei anni abbiamo conosciuto e lottato insieme ai familiari delle vittime di altre stragi italiane. Dal terremoto de L’Aquila e San Giuliano di Puglia, ai morti per l’amianto. Dai familiari delle vittime della scuola di Casalecchio sul Reno a quelli della Moby Prince. In comune c’è il bisogno di verità e giustizia. Mia figlia Emanuela mi ha fatto vedere e capire quello che devo fare d’ora in avanti: giustizia e verità nel processo e far sì che quanto accaduto la notte del 29 giugno 2009 non accada mai più. La sicurezza di tutti! Per quanto ci riguarda, questa volta hanno sbagliato i conti, noi saremo sempre qui, andremo fino in fondo ed alche oltre. I nostri figli non li riavremo mai indietro, ma quanto avvenuto deve essere da monito, da insegnamento. Non si può risparmiare sulla sicurezza”.
Dopo un qualsiasi incidente che provoca un danno a una persona, sino alla sua morte, c’è da calcolare il cosiddetto danno non patrimoniale: il capitale umano. Bisogna calcolare l’età della vittima e la sua aspettativa di vita, il lavoro che conduceva, il lavoro dei suoi familiari, il dolore e la sofferenza soggettiva dei suoi familiari. Viene fuori una cifra personalizzata. Il valore della vita di una persona non può essere ridotto a una tabella di valori economici. La racconto con le parole di Daniela. “Sapete bene che quando una persona muore, per essere risarcita, ci sono delle tabelle. La ragazza aveva ventun anni e il corpo di Emanuela costa 240.000€, la mamma 52 anni e costa tot, la sofferenza di 42 giorni ha un altro costo. Faceva un totale di 370.000€, questo mi davano per Emanuela, per la mia vita che non c’è più. La mia risposta è stata: a me non servono i soldi, che ci aggiustino qualche treno… che forse non ammazzerà più nessuno. Noi dobbiamo pretendere la sicurezza, noi dobbiamo pretendere che i treni, ogni mezzo di trasporto e qualsiasi luogo di lavoro sia in sicurezza. E Riccardo viene licenziato perché dice che non c’è la sicurezza, perché ha detto le mancanze che ci sono in ferrovia. È questa l’Italia che noi vogliamo? È questa l’Italia che noi accettiamo di avere per i nostri figli? Per il nostro domani? Emanuela, Lorenzo, Luca, Alessandro, Antonio non tornano più a casa ma noi dobbiamo batterci per quelli che ci sono, per il domani, per i figli”.
Trentadue morti, anni di indagini e il processo di primo grado in corso per 33 imputati e nove società. Dopo quasi sette anni nessuna sentenza. In compenso c’è un rischio: la prescrizione (a fine 2016) per i reati di incendio e lesioni colpose. Marco Piagentini mi dice: “La sola ipotesi è semplicemente inaccettabile e indecente. Non posso tollerare che un giorno qualcuno mi venga a dire: ‘Ci spiace tanto, ma l’incendio colposo e le lesioni colpose sono prescritti’. Proprio l’incendio, poi… Le parole hanno un significato anche simbolico. A un ustionato come me dicono che dell’incendio basta: non si parla più…E allora i miei bambini e mia moglie di cosa sono morti? E come vogliamo chiamarle tutte queste ferite sulla mia pelle?”.
Ovunque proteggi è completamente autoprodotto dalla Caravanserraglio Film Factory, associazione fondata da Massimo Bondielli, Marco Matera e Luigi Martella, che nel 2013 ha già realizzato il documentario Se io fossi acqua, una storia di cibo e comunità nell’Italia delle alluvioni. Per la realizzazione di Ovunque proteggi, che ha visto la partecipazione diretta di Marco Piagentini e Daniela Rombi, l’associazione dei familiari delle vittime Il Mondo che Vorrei ha messo a disposizione il suo archivio e tutto il suo supporto. Chiara Rapaccini, scrittrice-disegnatrice e compagna di Mario Monicelli, ha realizzato la locandina. Vinicio Capossela ha concesso l’utilizzo della sua omonima canzone. Matteo, Gianluca, Egildo, Livio, Walter, Giacomo, Saura ed altri amici artisti e professionisti hanno collaborato alla produzione.
Ovunque proteggi ha riscosso interesse ed è stato selezionato da sedici festival nazionali e internazionali, vincendo il Visioni Corte Film Festival 2015 e il Clorofilla Film Festival 2015 quale Migliore Corto Doc e ricevendo una Menzione Speciale al Pistoia Corto Film Festival. È tra i finalisti del Global Short Film Awards di New York: proiezione il 28 aprile 2016 ore 15.30 al Bow Tie Chelsea Cinemas (260 West 23rd Street, New York, NY 10011).
Inoltre, abbiamo pensato a un “viaggio” attraverso il quale si porterà la testimonianza diretta dei familiari delle vittime nelle sale, sui palchi, nelle piazze e nelle aule delle scuole. Un racconto civile itinerante! Ovunque proteggi rappresenta l’embrione narrativo del progetto di lungometraggio dal titolo provvisorio: Il sole sulla pelle.
Un’amica giornalista durante un workshop mi chiese quale fosse la temperatura del dolore. Forse non esiste un dolore insopportabile. Il dolore può essere terribile, ma mai insopportabile. Quando lo è veramente, non lo sentiamo più! Se i “libri bruciano” a 451 gradi Fahrenheit, la temperatura del dolore la immagino a –273,15 gradi Celsius. Lo Zero Assoluto.
Guarda il trailer di Ovunque proteggi: