È uno dei quattro “majors” europei, insieme a Cannes, Venezia e Locarno e nel gruppo del “grande slam” dei festival europei è uno dei più in salute. Il festival di Berlino, iniziato oggi, conferma il suo periodo di grazia: programma vasto, vario e in perfetto equilibrio tra cinefilia e concessioni al red carpet, impianto scenografico di grande suggestione e una capacità unica di farsi specchio della realtà storica che stiamo vivendo, di restituirci, attraverso l’attenta selezione composta dal direttore Dieter Kosslick e dai suoi collaboratori, un’immagine impietosa di noi stessi e del nostro presente.
Kosslick ha ricordato alla vigilia che il festival di Berlino nasce, nel 1951, fondato da Alfred Bauer, per tentare di superare le divisioni tra i popoli e di riportare l’armonia tra le nazioni. Un’uscita molto “politica”, quella del direttore, proprio nei mesi delle feroci polemiche seguite alla decisione di Angela Merkel di favorire l’ingresso dei rifugiati e ai successivi fatti di Colonia. Ancora più netta, però, la posizione che il festival ha lanciato attraverso la selezione dei film nelle varie sezioni: quasi il 20 per cento dei titoli fa riferimento – in forma diretta, metaforica o simbolica – al problema dei flussi migratori, all’integrazione, alla percezione dell’altro. Domani sarà l’atteso giorno, ad esempio, di Fuocoammare, il documentario del Leone d’oro Gianfranco Rosi sulla “terra di confine” Lampedusa. In attesa di dirvi quale sarà la nostra impressione sull’unico italiano della selezione, ci concentriamo su questo primo giorno e mezzo di festival, che ha già sparato alcune delle sue cartucce più importanti, alcune, purtroppo, decisamente fuori bersaglio.
Hail, Ceasar! – di Joel e Ethan Coen
Fuori concorso. Il primo colpo della Berlinale 2016 è l’unico ad aver fatto pienamente centro. Joel e Ethan Coen, si sa, hanno due carriere parallele: quella che contiene Fargo o Non è un paese per vecchi, i film, cioè, di maggior peso, ambizione e spessore, e quelli di “disimpegno”, del puro e divertito cazzeggio, come Burn after Reading o Fratello, dove sei?. Hail, Ceasar!, che ha aperto con la sua parata di star la Berlinale, appartiene a questo secondo filone, una produzione per certi versi minore che non deve però, per ragione alcuna, essere sottostimata. Quando i fratelli terribili decidono di strappare una risata e lasciano andare a briglia sciolta il loro umorismo sardonico, la vena dissacrante della loro poetica taglia a fette buona parte della società e della storia americane, senza risparmiare nessuno. In Hail, Ceasar l’attenzione di Joel e Ethan cade sugli anni ’50, sugli anni del maccartismo e del pericolo rosso. L’angolazione scelta è quella della fabbrica dei sogni: Hollywood deve distrarre, distendere e rilassare il pubblico, allontanando lo spettro dell’olocausto nucleare. Tra attori imbecilli (irresistibile Clooney) e sboccatissime star alla Esther Williams (efficacissima Scarlett Johanson), la grande illusione hollywoodiana viene dileggiata dai terribili fratelli ma con una punta inaspettata di indulgenza, di nostalgia per l’innocenza perduta dei Cinquanta. Un dato oggettivo, a conti fatti: forse in modo un po’ manieristico, ma i fratelli Coen sono gli unici in grado di attualizzare e rendere ancora viva e interessante la tradizione della grande commedia americana.
Midinigh Special – di Jeff Nichols
Concorso internazionale. Il primo dei diciotto film del concorso principale era anche uno dei più attesi. Jeff Nichols è un apprezzatissimo regista indipendente americano che con due piCcoli gioielli, Mud e Take Shelter, si è giustamente imposto all’attenzione del pubblico dei festival internazionali. Ora, Nichols, fa il grande salto: 18 milioni di dollari e un cast all star (Michael Shannon, Adam Driver, Sam Shepard, Kirsten Dunst) supportano questo sci-fi movie contorto e confuso, che fa rimpiangere le produzioni indipendenti con cui Nichols ha debuttato. Un ragazzino dai poteri sovrannaturali e suo padre attraversano gli States per raggiungere un luogo misterioso, inseguiti dall’FBI e da una setta religiosa, che per motivi diversi vorrebbero avere (e studiare) il piccolo Alton. Esplicitamente vicino a E.T. e al cinema “dello stupore” di Steven Spielberg, l’esordio di Nichols nel mainstream è un congegno imperfetto che si inceppa clamorosamente da metà in avanti, stritolato dalle sue stesse ambizioni, da un simbolismo insistito piuttosto prevedibile e da un’esiziale mancanza di chiarezza di alcuni snodi narrativi fondamentali. Se volete giudicare voi stessi, sarà nelle sale americane il 18 Marzo.
Boris sans Beatrice – di Denis Côté
Concorso internazionale. Grande “amico” del festival di Berlino, il talentuoso regista del Quebec Denis Côté, più volte premiato anche a Locarno, piomba in concorso a Berlino con un raffinato racconto di redenzione e riscatto intriso di rimandi simbolici e di ambiguità. Protagonista è Boris Malinovsky (James Hyndman), uomo cinico, ricco e potente, alle prese con l’inspiegabile malattia della moglie Béatrice (Simone Élise-Gerard), ministro del governo canadese, che si rifiuta di uscire dalla sua stanza, nella tenuta di campagna della coppia. Tra apparizioni misteriose e situazioni morbose da thriller, sprofondiamo nel senso di colpa del protagonista Boris, accompagnandolo lungo la sua presa di coscienza. Peccato, però, che a differenza delle precedenti ottime prove del regista del Quebec (su tutte l’eccentrico e riuscito Vic e Flo hanno visto un orso), qui gli elementi più onirici scricchiolano pesantemente e la forza immaginifica di questo bilancio interiore si scioglie presto in una struttura narrativa purtroppo decisamente poco avvincente.
Dopo questi antipasti, sabato il concorso entra nel vivo. Non solo, come detto, Gianfranco Rosi, ma anche la signora Assayas, ossia Mia Hansen Love, con l’atteso L’avenir, approdano sul red carpet di Marlene Dietrich Strasse. Siamo pronti a riportarvi la nostra opinione e la reazione della stampa internazionale. Seguiteci.