Una volta si diceva “città” e tanto bastava. Una volta si diceva “cinema” e tanto bastava. I due termini evocavano, almeno nel senso comune, un immaginario piuttosto chiaro e consolidato. Ora non più. Dal 2006 il festival Visioni Fuori Raccordo racconta in che modo il cinema si relaziona con l’idea, anche metaforica, di margine, di confine, di periferia. Giunta all’ottava edizione, la rassegna romana, che si svolgerà tra l’11 e il 15 novembre, suggerisce un modo diverso di guardare alla metropoli, oltre il Grande Raccordo Anulare che ricorda certi porosi confini che delimitano un dentro e fuori che non esiste. Perché la periferia non è un luogo senza nome da attraversare ma un territorio dove l’uomo è capace di costruire significati e ritagliare angoli di vita.
Sono dodici i documentari in concorso, tra cui due anteprime assolute e cinque anteprime romane. Mentre è fuori concorso, nella sezione panorama internazionale, il docu-film scelto per inaugurare la rassegna: In Jackson Heights del regista statunitense Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera nel 2014. Già presentato alla Mostra di Venezia, il documentario racconta un sistema di luoghi, di quartieri, di parti urbane che non fanno parte dell’immaginario “ufficiale” della città di New York. Nel quartiere del Queens, a trenta minuti di metropolitana da Manhattan, vivono immigrati provenienti da ogni paese del Sud America, dal Messico, dal Bangladesh, dal Pakistan, dall'Afghanistan, dall'India e dalla Cina. Alcuni sono cittadini, altri hanno la green card, altri ancora non hanno documenti. Le persone che abitano a Jackson Heights, nella loro diversità culturale, razziale ed etnica, sono rappresentative della nuova ondata di immigrati in America. In bilico tra i legami con le tradizioni dei paesi di origine e il bisogno di imparare e adattarsi ai costumi e ai valori americani.
Dagli Stati Uniti alla periferia romana. Quasi eroi e Se avessi le parole sono due corti prodotti da Tor Sapienza film Lab, progetto di inclusione sociale che coinvolge ragazzi della parte meno conosciuta ma altrettanto stimolante della città eterna. Un tempo le periferie non erano soltanto luoghi di disperazione, di solitudine, di disincanto, piuttosto luoghi carichi di speranza, dell’attesa di un riscatto. Oggi gli abitanti di queste terre di frontiera sono costretti a fare fronte al degrado, alla micro criminalità e alla sempre più complessa coabitazione con gli stranieri. A inventare le storie e ad interpretarle dietro la guida del regista Giovanni Piperno e dello sceneggiatore Pier Paolo Piciarelli, sono gli stessi giovani di Tor Sapienza, periferia est di Roma, dove trent’anni fa il Campidoglio decise di costruire un torrione di case popolari.
E dalla periferia alla stazione Termini di Roma, luogo di passaggio per migliaia di persone ma anche di vita per molti clochard. L’esercito silente dei senzatetto, coloro che vediamo passare e che presto dimentichiamo, è protagonista del documentario di Bartolomeo Pampaloni, Roma Termini.
Gandhi disse: “Nessuna cultura può sopravvivere se pretende di escludere le altre”. Su questa frase, si basa l’interculturalismo, ovvero la capacità di andare oltre le differenze per creare un punto d'incontro in una società sempre più complessa. Lo racconta bene Leonardo Cinieri Lombroso nel suo documentario, Doris e Hong, l’incontro tra una ragazza cinese arrivata a Roma per studiare arte e Doris, settantenne nata in Eritrea da una famiglia italiana. Di città multietniche si parla anche in Napolislam di Ernesto Pagano. Fino al 2050, stando ai risultati di una ricerca dell’istituto americano Pew Research Center, i cristiani resteranno il gruppo più numeroso, ma i seguaci dell’Islam aumenteranno più velocemente di ogni altro gruppo religioso. A Napoli dieci persone diverse per estrazione sociale, età, sesso e livello di istruzione, si convertono all’islamismo e trovano nel Corano una risposta all’ingiustizia sociale, al consumismo sfrenato e alla disperazione. Ma come conciliare le ferree regole della Sharia con la propria cultura? Un documentario che prova a sfatare i pregiudizi e i luoghi comuni su una religione ampiamente fraintesa.

Un’immagine di “Habitat ÔÇô note personali” di Emiliano Dante
La periferia non è solo un luogo, ma anche uno stato dell'anima. È la solitudine degli abitanti della città dell’Aquila in Habitat – note personali di Emiliano Dante, sulla vita nel capoluogo abruzzese dopo il terremoto del 2009, dalle tendopoli al progetto C.A.S.E.; dei preti sposati che rinunciano ai privilegi sacerdotali per crearsi una famiglia in Uomini proibiti di Angelita Fiore; di Silvano Lippi, soldato italiano deportato a Mauthausen, verso il campo di concentramento a cui è sopravvissuto, in Dal ritorno di Giovanni Cioni; e di due malati terminali che non vogliono arrendersi all’idea di andarsene per sempre, nel documentario, The perfect circle di Claudia Tosi.
Visioni Fuori Raccordo diventa un’occasione per Luca Ricciardi, direttore del festival, di rilanciare il documentario, come cinema tout court, nonostante siano ancora pochi e coraggiosi i distributori che si dedicano a questo genere e ancor meno gli spazi che gli riservano i palinsesti televisivi. Ma non è tutto. I documentari in concorso daranno la possibilità al pubblico di conoscere opere che vanno al di là delle tendenze globalizzanti della finanza e dei mercati transnazionali sempre più diffuse anche all'interno dell'industria culturale del cinema.