Cala il sipario sulla 72a Mostra del cinema di Venezia, la quarta e ultima edizione del primo mandato di Alberto Barbera, che va verso una probabile riconferma. Prima di parlare dei premi che la giuria presieduta da Alfonso Cuaron ha assegnato questa sera, con più di una sorpresa, partiamo proprio da qui, dall’operato di Barbera e del suo team, dicendo due parole sulla proposta complessiva che è stata presentata quest’anno.
Senza troppi giri di parole, possiamo dire che anche per questa edizione, tra mille difficoltà, la scommessa è stata vinta.
Bisogna necessariamente tenere conto che quello di Venezia è l’unico dei festival major europeo (categoria che condivide con Cannes e Berlino) a dover competere con un colosso oltreoceano come Toronto. A questo aggiungiamo altri ostacoli: gli italici masochistici tentativi di autolesionismo che si sono concretizzati qualche anno fa con il varo del Festival di Roma, calendarizzato poco più di un mese dopo, una disponibilità economica che almeno da fuori (non abbiamo dati ufficiali) sembra non adeguata e si rende evidente in un impianto scenografico scarnificato ben oltre l’osso e in un insieme di infrastrutture da tempo non funzionale. Ecco, nonostante tutti questi elementi avversi, la direzione artistica di Alberto Barbera ha garantito ancora una volta che il cuore della manifestazione, cioè i film, fossero di ottima qualità.

Un’immagine di Desde All├á di Lorenzo Vigas, Leone d’oro a Venezia 72
Questa qualità si è vista soprattutto nel coraggio e nella forza con cui la direzione artistica ha cercato di percorrere strade nuove: un concorso schizofrenico, senza una linea chiara, senza un tema ricorrente, senza una tendenza estetica dominante, ma in questa totale eterogeneità, l’aspetto più sorprendente e positivo è stata la presenza di almeno quattro film che fluttuano sospesi tra documentario e fiction, in un territorio ibrido in cui è impossibile attribuire loro una forma chiara. Si tratta di Francofonia, di Rabin: the last Day, del cinese Behemoth e di Heart of a Dog di Laurie Anderson. Sono stati tutti ignorati dalla giuria, ed è un peccato, ma è importante che fossero presenti nella selezione ufficiale. In concorso è entrato anche un gioiello come Anomalisa, primo film in stop motion in concorso a Venezia, che ha ricevuto un riconoscimento importante come il Premio speciale della giuria e che ha indirettamente consacrato un sistema di produzione alternativo nuovo e che speriamo possa trovare ulteriore spazio in futuro: si tratta di Kickstarter, piattaforma di crowdfunding che ha già permesso la realizzazione di numerosi progetti e la nascita del bel film di Charlie Kaufman e Duke Johnson.
Guarda il trailer di Anomalisa>>
Insomma, una selezione varia, nella quale il cinema italiano non ha sfigurato ma ha dimostrato di essere ancora in una fase di transizione ancora lunga e difficile. Sui film italiani transitati a Venezia, però, ci riserviamo una riflessione più ampia e lucida nei prossimi giorni. Intanto vi raccontiamo come è andata questa serata di chiusura della 72a Mostra del cinema di Venezia.
Un Red Carpet opaco
Il red carpet della cerimonia di premiazione ha lasciato un po' di amaro in bocca. Pochissime star e nessuna mise eclatante. Per registi ed attori black tie obbligatorio, con tanti papillon qualcuno addirittura bianco su camicia bianca. Riprendono il nero anche le invitate, impreziosendolo di pizzi, trasparenze e strascichi. Il must dell'eleganza aggressiva, perà, quest'anno è stata la schiena nuda, rigorosamente scelta dagli stilisti delle attrici. Le scollature profonde lasciano il posto a scolli all'americana, come quello di Valeria Golino, in un vestito a sirena bordeaux, accompagnata dall'acclamato Riccardo Scamarcio.
Oltre agli onnipresenti tacchi e sandali gioiello a Venezia c'è anche un naturale effetto vento che male non fa a capelli e sete fluttuanti. Il cast del film Tanna, con una tribù proveniente dall'arcipelago Vanuato a sud del Pacifico, porta via la scena con abiti tribali, donne e bambini sorridenti sul tappeto rosso.
I veri protagonisti della sfilata quest'anno sono stati i selfie che gli attori si sono scattati tra di loro per immortalare la serata anche sui social networks.
Affettata nei modi Elisa Sednaoui, la madrina della cerimonia, in lungo verde che presenta di fronte ad una Sala Grande non proprio gremita. Il tutto esce imbustato, con applausi poco emozionati, in un'eleganza forzata. Restano i premi, ma come sempre alla fine dei 10 giorni di Mostra sembra che il meglio sia già passato.
Leoni dal Sud America

La cerimonia di premiazione nella Sala Grande (Foto: ASAC)
Il primo momento emozionante della premiazione è quando il regista Francesco Patierno assegna il premio per il miglior capolavoro restaurato a Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pierpaolo Pasolini, che finalmente, dopo una storia a dir poco travagliata, rivedrà la luce anche in sala a Novembre.
La prima giuria chiamata ad emettere un verdetto è quella guidata dal regista italiano Saverio Costanzo che assegna il premio per la miglior opera prima di tutta la selezione. Il riconoscimento va a Childhood of a Leader di Brady Corbet, film che a noi non è piaciuto ma che si è portato a casa anche il premio speciale della giuria della sezione Orizzonti.
Proprio la giuria di Orizzonti, presieduta da Jonathan Demme, è salita sul palco della Sala Grande per assegnare i premi della sezione tradizionalmente più ricca di sorprese della Mostra del cinema. Le sorprese non sono mancate nemmeno nelle scelte di Demme e degli altri giurati: oltre al già citato premio della giuria al film di Corbet, ha trionfato Free in Deed di Jake Mahaffy, una cruda vicenda (vera) ambientate nelle chiese improvvisate di alcune città americane, che vede protagonista un predicatore che si dice in grado di fare miracoli.
La giuria di Venezia 72, presieduta dal premio Oscar Alfonso Cuaron, prende posto sul palco per annunciare i premi principali.
Il premio speciale della giuria, il primo assegnato, è andato al turco Abluka, di Emin Alper, ambientato nei sobborghi di Istanbul, una efficace rappresentazione dei mostri striscianti generati dalla paranoia.
Un po’ a sorpresa, la miglior sceneggiatura è stata considerata quella di L’hermine, di Cristian Vincent, una gradevole commedia sentimentale di ambientazione giudiziaria, che ha regalato anche la Coppa Volpi al suo protagonista, Fabbriche Luchini. Troppa grazia per un piccolo film rispetto al quale molti altri avrebbero meritato qualcosa in più.

Valeria Golino riceve la Coppa Volpi (Foto: ASAC)
Meritatissima, invece, la Coppa Volpi a Valeria Golino, unico premio italiano dell’intero palmares di questa edizione della Mostra: 29 anni dopo la prima, che la Golino si era aggiudicata per Storia d’amore di Citto Maselli, l’attrice napoletana ha trionfato per la sua bella prova in Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, un melodramma intenso e spudoratamente ktitsch che ha chiuso il concorso principale.
Veniamo ai tre premi principali: il gran premio della giuria, come detto, ha premiato il bellissimo Anomalisa, del tandem Kaufman/Johnson. Il Leone d’argento ha premiato il bellissimo El Clan, di Pablo Trapero, un ottimo gangster movie ambientato a Buenos Aires subito dopo la caduta di Videla. La vera sorpresa è stata il Leone d’oro, che ha premiato Desde Allà di Lorenzo Vigas, film venezuelano che ha come protagonista il bravissimo Alfredo Castro, star cilena e attore feticcio di Pablo Larrain. Un premio che ha sorpreso in quanto taglia completamente fuori dall’albo d’oro i favoriti della vigilia (Sokurov e Amos Gitai su tutti), ma che va comunque ad un buon film, crudo, intenso e ben recitato. Desde Allà racconta la storia di Armando Marcano, cinquantenne che gestisce un negozio di protesi dentarie che adesca ragazzi nei quartieri più poveri di Caracas, li fa spogliare davanti a lui e si masturba senza toccarli. L’incontro con Elder, però, cambia le regole del gioco, determinando un rapporto bizzarro destinato a scivolare verso un’inaspettata tragedia.
Questo verdetto sancisce legittimamente soprattutto un aspetto: il cinema più “in forma” del mondo, in questo momento, è quello sudamericano. Larrain a Berlino, Trapero e Vigas nel concorso veneziano, lo straordinario La Calle de la Amargura di Arturo Ripstein fuori concorso, sono solo esempi di un movimento ricco, fertile, vivo e libero, che costituisce in questo momento la produzione più interessante che perora i festival internazionali.
Chiude la cerimonia il presidente della Biennale Paolo Baratta, anche lui, come Barbera, in scadenza di mandato e anche lui, come Barbera, in odore di rinnovo. Appuntamento al 31 Agosto 2016.