Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, dopo la tappa al Consolato di cui vi abbiamo raccontato, ha continuato martedì a New York il suo “road show” per incontrare non solo giudici e avvocati americani, ma soprattutto manager, banchieri, investitori di Wall Street. Lo scopo del viaggio infatti era convincere gli americani che "il mostro" giudiziario italiano (per la sua lentezza) ormai sta, usando le sue parole, per essere "domato". A ripartire sarebbe proprio la giustizia civile in Italia che secondo i dati forniti dal ministro comincerebbe a funzionare. Quindi si può venire ad investire in Italia con sicurezza?
Martedì sera, il ministro Orlando era al ristorante Gattopardo, per un incontro organizzato dalla Italy America Chamber of Commerce. Molto interessante l'intervento del ministro, power point , grafici distribuiti al pubblico, spiegazioni e cifre, e poi tanta disponibilità con le domande.
Orlando ha ribadito che attraverso l’informatizzazione del processo civile, la razionalizzazione della rete degli uffici giudiziari e un maggior ricorso a meccanismi alternativi al contenzioso, si riducono gli arretrati e si sblocca il sistema inceppato della giustizia italiana. E quindi l’Italia, dall'essere il fanalino di coda d'Europa, dovrebbe poter finalmente sperare di poter attirare più investimenti dagli Stati Uniti. Perché, come ha detto il ministro Orlando solo con “una diminuzione del contenzioso per ridurre i tempi nel civile e una struttura dedicata che consente agli investitori stranieri di avere tempi certi”, gli investimenti verranno.
Come aveva detto al Consolato, il guardasigilli ha ripetuto che "il tribunale delle imprese, che nei primi due anni di funzionamento ha definito il 90% dei casi in meno di 12 mesi, la corsia protetta per evitare la farraginosità che il nostro sistema conserva, pur se stiamo intervenendo anche su quel fronte".
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris subito dopo il suo intervento alla New York University
Benissimo. Eppur si smuove? Mentre il ministro parlava e ripeteva la frase "diffondete il messaggio" sulla nuova giustizia, a noi invece veniva in mente come, soltanto una settimana prima, qui a New York scorrazzava tra Downtown e Uptown, tra il Bronx e Ellis Island, il sindaco di Napoli, un ex magistrato, con ben altro messaggio. Luigi De Magistris, infatti, oltre a cantare le lodi della sua Napoli che ora attira turisti, ha anche descritto una situazione della giustizia italiana veramente cupa, da brividi. "Io sono per la giustizia prima che per la legalità" , ha ripetuto il sindaco De Magistris a New York, facendo intendere che le leggi sbagliate che calpestano la democrazia e i diritti dei cittadini, non vanno rispettate ma combattute, resistendo per cambiarle. Durante una cena a casa del Console Generale Natalia Quintavalle, la sera prima che De Magistris avrebbe fatto ritorno a Napoli dopo ben sette giorni trascorsi a New York, la VOCE ha chiesto al sindaco quale, tra i tanti episodi vissuti a New York, (anche due incontri con il sindaco Bill De Blasio) ecco quale era stato quello più importante, quello che gli era rimasto più impresso. Il sindaco all'inizio ha ripetuto un prevedibile "tutti quanti", da Ellis Island, alla conferenza al Calandra-Cuny, alla visita ad Arthur Avenue nel Bronk… Ma quando abbiamo insistito di scegliere quello più significativo e importante per lui, finalmente ha risposto: "Forse… l'incontro dibattito alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University". In quel prestigioso luogo accademico, il sindaco De Magistris, aveva lanciato durissime accuse ai "poteri forti" dello stato italiano, e non solo politico ma anche giudiziario, per averlo fermato nelle sue inchieste quando era un magistrato e per manovrare ancora contro di lui "la legalità'" e continuare a fermare la "giustizia". De Magistris, ha raccontato, aveva scritto anche all'allora presidente Giorgio Napolitano per impedire l'ingiustizia, ma dal Quirinale non aveva mai ricevuto risposta. Il sindaco di Napoli ex magistrato aveva praticamente lasciato l'impressione nel pubblico di americani intervenuto alla NYU, che l'Italia fosse un paese dove invece che lo stato di diritto, ci fosse lo "stato della soppressione" dei magistrati che volevano compiere il proprio dovere. "Anni prima per fermarmi mi avrebbero fatto fare la fine di Falcone e Borsellino" ha detto De Magistris, "dopo non c'era bisogno: bastava la loro 'legalità'…" Dichiarazioni gravissime ed era da giorni che ci riflettevamo sicuri che dovevamo riportarle e commentarle (intanto le avevamo messe su youtube).
Quando al consolato di New York, lunedì abbiamo visto il ministro Andrea Orlando che si sforzava invece di rilanciare l'immagine della giustizia in Italia, gli abbiamo accennato al "terrore" diffuso dal sindaco De Magistris sulla materia. Il ministro, senza neanche lasciarci finire un accenno al discorso di De Magistris alla NYU, ha replicato: "Conosco bene De Magistris, sono stato inviato a Napoli come commissario del Pd. E' una brava persona, ma quando parla della giustizia italiana mi ricorda coloro che dicono che il presidente Kennedy sia stato ucciso dagli extraterrestri…".
Il ministro non sapeva che stava dando quella colorita risposta proprio ad un giornalista che aveva scritto un libro sull'omicidio di JFK (ET non c'entra, ma la mafia con coperture dall'alto sì…).
Così questo scambio avuto con il ministro Orlando, e il pensiero al sindaco di Napoli visto alla NYU giorni prima, ci hanno riportato alla mente gli anni di "guerra civile" combattuti in Italia tra una parte della magistratura e gran parte della politica. E come è finita? Chi l'ha vinta questa guerra? Berlusconi, ancora si lecca le ferite per certe sue condanne…
E' bizzarro come a New York, nel giro di sette giorni, si possa passare dagli interventi di un sindaco di una città importante come è Napoli, che agli americani dice che in Italia regna l'ingiustizia dei poteri forti di stato che bloccano i magistrati che vogliono compiere il loro dovere, alle parole di un ministro che rassicura che quel "mostro" giustizia è stato domato, venite ad investire…
Così martedì durante la conferenza al ristorante Gattopardo, invece di rassegnarci al tutto appaia che cambi per restare tutto com'è, abbiamo fatto al ministro Orlando proprio la domanda sulla "guerra civile" tra magistrati e il potere politico. Una guerra di cui non abbiamo capito alla fine chi abbia vinto. Allora ministro Orlando, i suoi rapporti con la magistratura come sono? Ancora da guerra civile o questa guerra è finita?
Sentite e leggete la riposta che ci ha fornito il ministro Orlando. Nel video potete ascoltarla (dal minuto 6). Secondo voi la guerra è finita?
"Io avevo un rapporto idilliaco fino ad un certo punto, oserei dire persino sospetto dato i precedenti non positivi… E soprattutto per una ragione: io ho costruito fin dalle prime settimane un ottimo rapporto con l'avvocatura e il fatto di aver un buon rapporto sia con i magistrati che con gli avvocati colpiva… La luna di miele si è interrotta quando è stata prevista una norma che riguarda la riduzione delle ferie dei magistrati. Che io devo dire avrei anche declinato con più gradualità, ma in consiglio dei ministri è prevalsa una impostazione che mirava ad un obiettivo, che era quello che nel momento in cui in un paese sono tutti chiamati a fare dei sacrifici, chiediamo anche alla magistratura di ridurre le ferie… I magistrati avevano 45 giorni di ferie, una anomalia. Da quel momento in poi si è creata di nuovo la tensione. Ma vorrei essere onesto nella rappresentazione delle posizioni di chi non è qui: non tanto per la riduzione delle ferie, ma perché si riteneva che associare i tempi del processo alla durata delle ferie dei magistrati fosse un modo per dire che i magistrati non lavorano… Cosa che io non ho mai detto e che non ritengo sia vera. I magistrati in Italia sono meno della media di altri paesi con lo stesso contenzioso italiano e hanno una produttività singola elevata. Ci sono anche quelli che lavorano poco… Devo dire che il fatto che tra governo e magistratura si fosse determinato un conflitto come questo, sulle ferie, era anche indice del fatto che una stagione fosse alle nostra spalle, perché in passato il conflitto verteva tutto sul tema dell' indipendenza e autonomia, quindi con una rilevanza costituzionale del conflitto. Oggettivamente il conflitto sulle ferie è un conflitto di carattere sindacale. Quindi lo considero il segno del superamento della guerra civile, per restare al suo riferimento. Posso anche dire che su una parte importante dei provvedimenti abbiamo avuto una collaborazione della magistratura. Sul civile abbiamo avuto anche un apporto di elaborazione. Naturalmente io mi auguro che questo clima sia ripreso a tutto tondo, perché riforme importanti come quelle che stiamo portando avanti si possono fare soltanto con il concorso attivo di tutti i soggetti della giurisdizione. Insomma io considero perniciosa la famosa guerra civile perché ha impedito ogni tipo di cambiamento. Poi ci sono nella magistratura posizioni diverse che non emergono se si determina un conflitto con la politica. Se c'è un confronto frontale, immediatamente si determina una chiusura a riccio. Per esempio su quello che ho trattato prima sul processo civile telematico è stata determinante una parte della magistratura che ha spinto per l'introduzione di questo strumento così com una parte dell'avvocatura. In questo caso la cesura non è stata di carattere politico ma di carattere generazionale. La magistratura più giovane e l'avvocatura più giovane hanno spinto perché ci fosse il passaggio al telematico. E anche perché era un modo per interpretare diversamente il lavoro e soprattutto con gli avvocati è anche un modo per essere più competitivi rispetto a quelli più grandi. In un mercato spesso chiuso come quello delle professioni il fatto di introdurre il computer voleva dire riaprire, diciamo così, la porta a chi in qualche modo diversamente veniva tagliato fuori. Rivedere i presupposti della competizione tra professionisti. In questo caso è stato determinante che una parte della magistratura ha detto: basta con proroghe e rinvii, partiamo col processo civile…".