Addio Pizzo festeggia 10 anni in quella Piazza di Palermo, nel quartiere di Falcone e Borsellino, un tempo teatro di criminalità e mafia. Piazza Magione fu devastata dalle bombe della seconda guerra mondiale. Dopo le stragi del 1992 è rinata, imponente e traboccante di bellezza. L’entusiasmo dei ragazzi di Addio Pizzo e di chi crede nella forza della denuncia al racket presenta, però, un’altra faccia: la faccia di chi, da paladino dell’anti corruzione, è stato preso con le mani nella marmellata: vedi il caso di Roberto Helg, l’ex vice presidente della Gesap ed ex presidente di Confcommercio Palermo beccato con una tangente in tasca. Per non parlare di chi si immortala come mito dell’antimafia per fare affari e ‘pastette’ varie.
Daniele Marannano, tra i fondatori di Addio Pizzo, ci racconta dei 10 anni dell’associazione e delle cose da fare: “Rispetto a 10 anni fa, quando nacque e si svolse la prima fiera in Piazza Magione, la denuncia contro le estorsioni non è più un gesto straordinario ed isolato. Questo grazie al lavoro dei magistrati, delle forze dell’ordine e delle associazioni che sono al fianco di chi decide di collaborare con la Giustizia. C’è anche un altro fattore che assume un peso non indifferente: parlo della crisi che sta divorando il tessuto produttivo locale e nazionale. I commercianti e gli imprenditori, proprio in ragione di questa grave crisi economica, non sono più nelle condizioni di farsi carico nemmeno di piccoli balzelli imposti da Cosa nostra. Questo va detto perché oggi sono oramai molti coloro che hanno compiuto questa scelta. Oggi, rispetto al passato, si può denunciare. Lo dico al di fuori di ogni retorica. Ma c’è il rovescio della medaglia che non possiamo non osservare e che ci deve fare riflettere: nonostante il grosso lavoro delle forze dell’ordine e dei magistrati, la maggior parte delle collaborazioni degli imprenditori e dei commercianti matura solo dopo che i soggetti oggetto di possibili estorsioni vengono chiamati dagli inquirenti a confermare dei fatti. Questo ci dice come la denuncia non sia ancora un comportamento dominante e diffuso nel tessuto della nostra città”.
Gli chiediamo cosa ne pensa del grosso scandalo sollevato dall’inchiesta giornalistica di Pino Maniaci sulla gestione dei beni confiscati alla mafia: “Che ci possa essere un problema sulla gestione dei beni confiscati alla mafia è evidente – ci risponde uno dei fondatori di Addio Pizzo – ma il tema non riguarda soltanto gli amministratori giudiziari, anche se questi devono avere anche delle competenze manageriali ed imprenditoriali per gestire queste attività economiche. Queste imprese, in un libero mercato, senza il supporto della mafia, non sarebbero mai esistite. Una volta che arrivano nelle mani dello Stato, lo stesso Stato deve fare ogni sforzo, perché tali attività possano rimanere in piedi, preservando i livelli occupazionali. Se un’impresa confiscata non è nelle condizioni di essere affidata a una cooperativa, perché presuppone una gestione altamente specializzata, allora si valuti l’ipotesi, come diciamo da tempo, di affittare grandi aziende, di metterle sul mercato. C’è il rischio che possano ritornare alla mafia? Beh, meglio correre questo rischio piuttosto mandare al macero l’impresa e i dipendenti”.
Lirio Abate e Pif
Una kermesse, quella di Addio Pizzo, lunga tre giorni dove si alternano dibattiti, spettacoli e incontri. Molto interessante il libro di Gino Pantaleone: “Il Gigante controvento. Michele Pantaleone: una vita contro la mafia”. Michele Pantaleone è stato uno dei primi scrittori ad occuparsi di mafia (nella foto a sinistra, un momento della presentazione del libro). Basti pensare a “Mafia e politica”, oppure ad “Antimafia, occasione mancata”. Libri grande spessore che raccontano per davvero cos’era la mafia in anni in cui, a parte il giornale L’Ora di Palermo e Leonardo Sciascia, nessuno parlava di mafia. MIchele Pantaleone passava molto del suo tempo nel suo paese, Villalba, piccolo Comune del Nisseno, cuore poverissimo della Sicilia, i cui abitanti malpagati vivevano di stenti, lavorando le terre dei latifondisti locali protetti dalla mafia: mafia che a Villalba aveva il volto di Calogero Vizzini, detto Don Calò.
Negli anni subito successivi alla seconda guerra mondiale, Michele Pantaleone fu vittima di un attentato messo in atto dagli uomini di Vizzini con il lancio di alcune bombe durante un comizio tenuto a Villalba dal leader del Pci siciliano, Girolamo Li Causi, che rimase ferito. Michele Pantaleone ha scritto 14 libri, centinaia di articoli, ha tenuto 965 conferenze, ha subito 39 querele che sono state ribaltate 13 volte. Ha subito decine di processi ed è stato condannato anche da morto, come racconta Gino Pantaleone: “E’ stato buttato su Pantaleone il fango dicendo che era simpatico al padrino, Don Calogero Vizzini. Michele Pantaleone non è mai stato vice sindaco, il documento lo attesta. A Pantaleone, Boris Giuliano affidò le intercettazioni prima di venire ammazzato. La sua casa era un punto di riferimento di tante persone che si occupavano di mafia. Michele non ha mai voluto un partito alle spalle. Eppure lo hanno condannato da morto, gettandogli fango”.
Il libro è stato presentato da Goffredo Fofi, giornalista e scrittore, che ha ripercorso il suo ricordo di Pantalone e di uno spaccato italiano della grande Einaudi dove lavorava. Ha ricordato la sua inchiesta sugli immigrati a Torino, durata due anni e delle conseguenze subite per quella inchiesta. Parliamo dunque di un giornalismo di alto livello, non di ironia e barzellette.
Ma allo Spasimo, nel cortile del ‘600, non mancano ironia e barzellette. Ecco il nuovo spettacolo con Pif, il nuovo maìtre penser dell’antimafia militante. Ecco il suo spettacolo: “Prove tecniche di furto di cuore e abuso di sorriso”, con la partecipazione di Lirio Abbate, giornalista de L’Espresso. Spettacolo ironico, quello di Pif che, dopo “La Mafia uccide solo d’estate”, si addentra nelle intercettazioni telefoniche raccontano la mafia e i mafiosi. Pif utilizza un modo diverso di raccontare l’onorata società, per “smitizzare gli stessi mafiosi”, dice.
Si ascoltano dunque le intercettazioni dei mafiosi per conoscere il loro privato, che siano mafiosi siciliani, romani, campani o calabresi. Sullo schermo si proiettano contributi audio e video estratti dai documenti originali di inchieste condotte dalle Procure. Si ascoltano le voci dei mafiosi che portano in scena la loro vita. Questa è la novità dello spettacolo di Pif, che con “La mafia uccide solo d’estate”, film scritto e interpretato dal giovane siciliano, dovrebbe rappresentare “il nuovo modo di raccontare la mafia”, quella mafia che “non uccide solo d’estate”, ma uccide sempre, tutto l’anno come la corruzione e la falsa antimafia, taroccata come un orologio patacca.
Un tempo c’erano i romanzi di Leonardo Sciascia, i libri inchiesta del già citato Michele Pantaleone e i romanzi e le inchieste di Giuseppe Fava. E i film di Francesco Rosi. Oggi c’è Pif. Come si usava dire un tempo, questo passa il governo. Del resto, un tempo c’era il grande Pci con i suoi intellettuali ‘organici’. Oggi, invece, c’è il Pd di Renzi con il Jobs Act, l’Italicum e la ‘riforma’ della scuola con i presidi-sceriffi… E la cultura, o presunta tale, di una certa sinistra italiana ne risente, non soltanto in ‘estate’, ma anche nelle altre stagioni…
Per fortuna esiste la parte buona, quella dell’antimafia operosa e laboriosa, onesta, concreta che si trova nelle scelte della gente che decide di denunciare la richiesta di ‘pizzo’; nel lavoro degli insegnanti che decidono di educare alla legalità le giovani generazioni; nella serietà di scrittori e giornalisti che magari non partecipano agli spettacoli che affrontano con dedizione e competenza un tema che ha “divorato il nostro Paese”. Insomma l’antimafia dei magistrati, di quelli morti e di quelli vivi come Nino Di Matteo: un’antimafia che lotta contro Cosa nostra, cercando la verità. L’antimafia vera dei poliziotti, dei carabinieri, delle scorte.
Sono tempi difficili, quelli di oggi. Tempi di falsi miti o di miti falsi, di falsi eroi, di professori dell’antimafia e di “Professionisti dell’antimafia”. Un'onda anomala di stupidità latente. Scrive Steve Polyak: “Prima di lavorare sull’intelligenza artificiale, perché non facciamo qualcosa per la stupidità naturale?”. Si può parlare di criminali, di mafiosi con “ironia e leggerezza? Oppure cavalcare barbaramente l’effetto mediatico di un’antimafia di inchiesta giornalistica? Un mafioso, alla fine, è un mafioso. E’ un criminale, non un comico su cui costruire storie per alleggerire la storia della mafia. Diceva Leonardo Sciascia: “E' ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia un cretino”.