In occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita della Croce Rossa italiana e della convenzione di Ginevra, che regola il diritto internazionale umanitario, l’Istituto Italiano di Cultura ha organizzato, mercoledì 19 novembre, un evento dal titolo A lasting commitment to human dignity the role of the red cross in Swiss and Italian society.
L’incontro ha visto come protagonisti Philipp Spoerri, permanent observer of the international Committee of the Red Cross (ICRC) presso le Nazioni Unite e il sociologo Alberto Ardissone, professore all’Università di Bologna. Il ruolo di mediatore del dibattito è stato invece affidato a Gabor Rona, professore di diritto presso la Cardozo Law School.
Il primo a prendere la parola è stato il docente italiano che ha brevemente ricostruito la storia della nascita della Croce Rossa italiana. Tutto ebbe inizio il 24 giugno1859 quando gli eserciti sardo-francese e austriaco si affrontarono nei territori di San Martino e Solferino, a sud del Lago di Garda, ponendo così fine alla Seconda Guerra di Indipendenza italiana. Trecentomila i soldati che parteciparono alla battaglia. In centomila tra morti, feriti e dispersi. L'imprenditore svizzero Henry Dunant, in Italia per affari con l’imperatore Napoleone III, si trovò coinvolto negli scontri e, sconvolto dall’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria militare, descrisse nel racconto Un ricordo da Solferino la situazione di abbandono di morti e feriti. Da questa esperienza nacque l’idea di Dunant di creare un corpo di infermieri volontari che potesse aiutare la sanità militare: la Croce Rossa.
La nascita della Croce Rossa si rivela quindi intrecciata con la storia d’Italia e della Svizzera, così come sottolineato, in un saluto introduttivo, dal console generale italiano, Natalia Quintavalle e dal suo collega svizzero, André Schaller, presenti all’evento.
Continuando nella sua presentazione, Ardissone ha voluto poi porre l’accento sul “ruolo sociologicamente rilevante svolto dalla Croce Rossa italiana nel processo di emancipazione delle donne”. Queste, ha spiegato, erano inizialmente incaricate solo dell’organizzazione di eventi e del rammendo dei bendaggi. Ma dal 1908, con la nascita del Corpo delle Infermiere Volontarie, la compagine femminile della Croce Rossa ha assunto un ruolo di prima linea nei luoghi di intervento. In 260 portarono assistenza ai feriti dal terremoto che colpì Reggio Calabria e Messina in quello stesso anno.
Spoerri si è invece concentrato nel suo discorso sul ruolo svolto da ICRC e dalla Croce Rossa Internazionale nei territori di conflitto. L’intervento può sintetizzarsi nella parabola raccontata per esprimere la filosofia di base dell’organizzazione umanitaria: “Un cavaliere a cavallo incontra sul suo cammino un piccolo topo, in piedi, con le zampe in alto come a sorreggere qualcosa. Il cavaliere si ferma e domanda al topo cosa stesse facendo e questo risponde: il cielo sta cadendo. Il cavaliere lo guarda perplesso e dice: e cosa stai facendo? E il topo: sto facendo quello che posso”.
A conclusione dell’evento, Ardissone ha acconsentito a rispondere a qualche domanda de La VOCE sulla situazione della Croce Rossa e del volontariato in generale in Italia. “Nel 2011 sono 6.6 milioni gli italiani che svolgono una qualche attività di volontariato – ci ha detto – Un 50 e 50 tra uomini e donne, leggermente superiore la partecipazione maschile, ma di pochissimo. Di questi, 140.000 sono volontari della Croce Rossa”. Un dato interessante se confrontato con i 32.000 soci del 1913 e con i 500.000 volontari della Croce Rossa statunitense registrati sempre nel 2011. Se la matematica non è un’opinione, considerando che gli americani sono 361 milioni e gli italiani 60, facendo un rapido calcolo, i volontari italiani nella Croce Rossa sono lo 0,23% della popolazione, mentre i colleghi americani lo 0,13%. Il professore ha inoltre sottolineato come il volontariato sia indirettamente proporzionale alla disoccupazione. Infatti, svolgono maggiormente attività di solidarietà a titolo gratuito persone adulte con una situazione economica stabile rispetto ai giovani disoccupati, preoccupati nella ricerca di un impiego. Fa riflettere come la situazione economica e sociale di un paese condizioni scelte personali come dedicare parte della propria vita ad attività benefiche a favore della società.