La Casa Italiana Zerilli –Marimò il 13 novembre ha ospitato la preview internazionale di Vittima degli eventi, il fan movie ispirato a Dylan Dog, il famoso fumetto di Tiziano Sclavi edito dalla leggendaria casa editrice Bonelli.
Il film, ideato da Claudio Di Biagio, noto per la webserie di fantascienza Freaks!, e Luca Vecchi, uno dei The Pills, è stato realizzato, in collaborazione con The Jackal, grazie a due campagne di crowdfunding e a un investimento privato degli autori, oltre che al lavoro appassionato e gratuito offerto da troupe e attori.
Dopo essere stato presentato con successo in Italia, e dopo oltre 200.000 visioni sul web in una sola settimana, Dylan Dog. Vittima degli eventi è stato presentato anche a New York, in un bell’evento organizzato da The Creative Shake, alla presenza del regista Claudio Di Biagio e dell’interprete Valerio Di Benedetto, già protagonista del successo low budget Spaghetti Story.

Valerio di Benedetto (Dylan Dog, nel film) e Claudio Di Biagio (regista)
Se fan movie è un termine utilizzato per ragioni sia tecniche che emotive – passione degli autori per lo storico fumetto e questioni di diritti che non posso essere sfruttati commercialmente, e qui si apre una lunga storia tra Sclavi, l’editore Bonelli e la produzione americana detentrice dei diritti per lo sfruttamento cinematografico e audiovisivo – la verità è che Vittima degli eventi è un film che coglie pienamente spirito e atmosfere del fumetto, come solo fan appassionati e profondi conoscitori di Dylan Dog potevano fare, e al tempo stesso è un film altamente professionale, che nonostante il limitatissimo budget a disposizione nulla ha da invidiare a film di genere di ben altri budget e ben altre grandiosità produttive. “Il fatto che ci abbia trovati in internet non vuole dire che non siamo dei professionisti”, afferma Dylan Dog incontrando per la prima volta una sua cliente, con una battuta quanto mai appropriata se si considera l’opinione che ancora si ha in Italia (e non solo) su film e serie fatti per il web, che lì trovano non solo il loro pubblico ma anche il mezzo espressivo più adatto.
Pensato per il web, il film di Claudio Di Biagio, per scrittura e regia, si presta in realtà ad essere il pilota di una serie, perfetta per il web ma in questo caso anche per la televisione, vista la notorietà del fumetto ma anche per l'attrattiva di misteri e leggende che il noto investigatore dell’occulto si trova ad indagare. In questo caso le indagini sono ambientate a Roma – illuminata e fotografata con atmosfere gotiche e rarefatte – ma la provincia italiana ben si presterebbe alle inquietanti indagini di Dylan Dog così come all’ironia secca e spiazzante del suo ottimo compagno di detection Groucho, qui interpretato dallo stesso Luca Vecchi. “Questo sarebbe il nostro desiderio – affermano regista e interprete del film nel loro incontro con il numeroso pubblico presente alla Casa Italiana – anche perché Vittima degli eventi è un film che abbiamo fortemente voluto, in cui abbiamo messo tutta la nostra professionalità e la nostra passione, cercando di farne un film sì ambizioso, ma mai presuntuoso, un film che non si prende sul serio e infatti scherza su se stesso. Ma vuole anche essere un biglietto da visita – proseguono – in cui mostriamo cosa sappiamo fare, siamo giovani ma siamo preparati, professionali, nel nostro paese ci sono professionalità altissime, c’è passione, competenza, creatività. Vorremmo che oltre a dirlo, qualcuno cominciasse realmente a investire nei giovani… o forse dicono investire i giovani, non nei giovani!”, concludono scherzando tra le risate del pubblico.
Se Di Benedetto è un ottimo Dylan Dog, Luca Vecchi, oltre a interpretare un laconico ed eccentrico Groucho, scrive una sceneggiatura che funziona bene tra suspense e struttura narrativa serrata, incentrata sulla storia con annessa leggenda di Beatrice Cenci, molto nota a Roma. Di Biagio mette in scena storie, situazioni e misteri con il giusto equilibrio tra paura e umorismo (belli anche i camei di Milena Vukotic e Alessandro Haber).
Lo sfondo è quello dell’Italia di questi anni, tra crisi economica e mancanza di lavoro, tant’è che anche Dylan Dog è senza lavoro da sette mesi. Ma non sono solo questi gli elementi di realtà e realismo del film, nonostante gli ottimi effetti speciali tra horror e supernatural. “Dylan Dog è un contenitore di storie e di fobie” racconta Di Biagio. “E quanto alle fobie non solo ci abbiamo giocato molto, ma ne ho ritrovate alcune che ho io stesso – prosegue Di Benedetto – come la paura dell’aereo, il mal di mare, e ci sono anche altri elementi del carattere di Dylan Dog in cui mi sono ritrovato: per esempio non beve e ha una vita amorosa disastrosa!”.

Stefano Albertini (direttore della Casa Italiana NYU), Claudio Di Biagio (regista) e Valerio Di Benedetto (interprete) durante la conversazione di giovedì 13 novembre
Molte le domande del pubblico, grandissimo apprezzamento dei fan di Dylan Dog ma anche di chi il fumetto non lo conosceva o quasi, a dimostrazione che il film funziona (a differenza dei precedenti tentativi cinematografici piuttosto fallimentari). “Io sono un autodidatta – racconta il regista – solo di recente ho cominciato a studiare, il resto diciamo che ce l’ho per induzione, da film, scelte registiche, cose che ho visto e che più o meno inconsciamente mi sono rimaste dentro e da cui ho imparato. La mia ispirazione maggiore però, se posso dirlo, è Christopher Nolan, che è uno straordinario ‘autore commerciale’, per me il più grande.”
Dodici giorni continuativi di riprese più quattro giorni a distanza di qualche tempo, 40.000 euro di budget, di cui 30.000 circa raccolti con il fundraising, ancora non molto diffuso in Italia purtroppo, come spiega anche il regista, per poca fiducia nella tecnologia da parte degli italiani: “Internet lo usano solo per Facebook, non si informano, non usano o non hanno carta di credito o Paypal, non si fidano di chi fa cinema o audiovisivo (soprattutto se giovane) anche perché non sanno cosa sia e come funzioni…”.
Su questo, in effetti, gli Stati Uniti sono un’altra cosa, anche se il problema dei film cosiddetti low budget è lo stesso in tutto il mondo: “I film low budget non esistono – spiega Di Biagio con una giusta veemenza – fare un film con 40.000 euro significa non pagare le persone, e questo lo fai eccezionalmente se c’è una condivisione, una partecipazione di cast e crew al progetto per libera scelta o per passione comune, una partecipazione agli utili quando ci sono (nel nostro caso non ci possono essere per la questione dei diritti), ma non può essere un modello produttivo”.
E qui si apre un capitolo complesso, in quanto ormai sembra che nel nostro paese il lavoro, soprattutto un certo tipo di lavoro che però ormai sta diventando percentualmente molto rilevante, non viene riconosciuto economicamente (e anche socialmente?): chi fa arte, cinema, musica, letteratura, teatro, non viene riconosciuto come lavoratore, il suo tempo, la sua professionalità, la sua preparazione (per non parlare dell’eventuale talento) in Italia semplicemente non trovano un corrispettivo economico, una tutela legale e spesso nemmeno rispetto. Perché?! Questo è un mistero vero, che Dylan Dog potrebbe cominciare a indagare, su e giù per il nostro bellissimo (perché bellissimo lo è davvero) e inquietante paese.