Il delicato e drammaticamente attuale tema delle morti sul lavoro raccontato attraverso un dialogo tra un operaio e uno studente, entrambi schiacciati da un sistema che non sembra dare chance né all’uno né all’altro. All’interno del festival di teatro italiano In Scena!, il 16 e 18 giugno arriva R.a.e.P., già finalista al premio scenario 2011. Uno spettacolo che è esplorazione del linguaggio, di un linguaggio capace di creare musicalità che a sua volta si trasforma in significato nella drammaturgia, nel corpo, nella parola, nella luce e nella scenografia. Tutto diventa scrittura scenica.
R.a.e.P. è scritto Mauro Santopietro ed è diretto e interpretato dallo stesso Santopietro e da Tiziano Panici .
Ci siamo fatti raccontare la genesi, i significati e i valori dello spettacolo da Santopietro, autore ed attore teatrale e televisivo, formatosi con nomi come Anton Milenin, Saverio La Ruina, Nicolaj Karpov, Juri Alschitz e con Vincenzo Cerami e Ruggero Cappuccio per la drammaturgia. Come attore Santopietro ha lavorato con Giles Smith, Luca Ronconi e Giancarlo Sepe, fra gli altri. A Roma collabora con il Globe Theater, diretto da Gigi Proietti, con la cattedra di teatro dell’Università La Sapienza e dal 2012 gestisce il Teatro della Dodicesima a Roma.
Cosa significa il titolo dello spettacolo?
RaeP è l’acronimo di “racconto del presente”. Il titolo gioca però anche sulla musicalità del testo, lo studente parla infatti in versi reppati… mentre l’operaio parla in dialetto, ma anche lui in versi. Il linguaggio quindi è estremamente poetico.
Una storia, quella raccontata nel tuo spettacolo, dolorosamente attuale. Quanto c’è dell’Italia di oggi nei tuoi due personaggi e nella sceneggiatura?
Tutto. La drammaturgia prende spunto da due fatti di cronaca italiana. Un suicidio, quello di uno studente; ed un omicidio, quello dell’operaio. Vittime del Paese Italia in cui i problemi non si affrontano, ma si consumano, si risolvono per sfinimento o per svilimento di molte vite. I personaggi sono per me due facce di una stessa medaglia. Entrambe sono “morti bianche”.
Perché hai deciso di affrontare il tema del lavoro?
Perché noi siamo il nostro lavoro. La nostra identità è data dalla funzione che rappresentiamo nella società. Molti italiani oggi soffrono il non riuscire a sentirsi utili a qualcosa o qualcuno, come anche il rappresentare qualcosa ma essere impossibilitati a dimostrarlo.
Definiresti il tuo spettacolo teatro di impegno civile? Credi che il teatro possa o debba raccontare l’attualità e far riflettere sulla società contemporanea?
Questa domanda me la sono posta seriamente molte volte… in un tempo in cui il teatro diventa difficile da fare per mancanza di economie, di opportunità per valorizzare la propria ricerca, in un tempo in cui la gente non va più a teatro… che storie si possono raccontare? Come raccontarle? A quale organo dello spettatore è giusto parlare perché abbia voglia di tornare a frequentare il teatro? Quella dell’impegno civile è una possibilità. Perché anche se non è l’arte che risolve i problemi della società, la può interrogare. Come il teatro interroga l’uomo senza voler dare delle risposte.
Autore, regista, interprete: hai fatto tutto in questo spettacolo. Quale il ruolo che ha presentato maggiori sfide per te e quale invece quello più naturale?
Vivo facendo l’attore. Questo solo mi è naturale. Da qualche anno scrivo perché la scrittura rappresenta per me una sfida ancora più affascinante. Sogno di diventare drammaturgo. La regia potrebbe essere un punto di arrivo.. In questo spettacolo la regia non è solo mia, ma anche di Tiziano Panici, in scena con me. Oserei dire che è stata una regia collettiva… fatta anche dalle proiezioni di Andrea Giansanti, dalle musiche di Gabriele Rendina e dalle luci di Alessandro Calabrese. Tiziano è ad oggi un professionista molto giovane ma con un potenziale enorme sia come regista che come attore ed è stato per me molto importante condividere con lui questo lavoro.
È la prima volta che vieni con uno spettacolo a New York? Come ci si sente? Pensi che il tipo di teatro che fai tu (o in generale il teatro italiano) sia esportabile?
Sì, è la prima volta. New York è fantastica. Ringrazio ancora Laura Caparrotti e Donatella Codonesu, tutta l’organizzazione del festival per questa opportunità. Il teatro è confronto, e come tale è esportabile ovunque. Il dialogo lo si costruisce su un linguaggio comune e se si parla con le emozioni allora si parla con lo stesso alfabeto.
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RaeP
Testo e regia di Mauro Santopietro, con Mauro Santopietro e Tiziano Panici
Proiezioni di Andrea Giansanti
Musiche di Gabriele Rendina
Luci di Alessandro Calabrese
Presentato da Produzione Ar.T.è Teatro Stabile d’Innovazione di Orvieto
Lunedì 16 giugno, 8.00 pm, TheaterLab, 357 W 36th St, New York
Mercoledì 18 giugno, 8.00 pm, Triskelion Arts, 118 N 11th St, Brooklyn