Come di tradizione il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York ha presentato una nuova esibizione sulla moda, questo inizio di Giugno. Dopo le coinvolgenti mostre su Alexander McQueen del 2011 e Prada VS Schiaparelli dell’anno scorso, per questo 2013 il prestigioso museo propone PUNK: Chaos to Couture, una presentazione della subcultura punk e della sua influenza nel mondo fashion. Più che una esibizione del lavoro di un creatore nello specifico, questa volta l’immersione è in una corrente che trasversalmente si è propagata nelle arti, musica e moda di mano in mano negli anni ’70 tra Stati Uniti e Regno Unito, la corrente della reazione contro il sistema, del totale rifiuto delle istituzioni attraverso messaggi forti e chiari tanto quanto i suoi linguaggi espliciti e riferimenti hardcore.
La mostra si apre al visitatore un po’ in sordina, con un grande schermo dove scorrono immagini confuse di sfondo a due manichini in parrucche “pungenti” in stile Sex Pistols. La prima stanza, vuota se non animata da altri schermi stavolta televisivi su un lato, offre un’apertura in una parete dove la riproduzione di un bagno pubblico maltrattato e sfigurato da graffiti prepara al peggio. Voltando lo sguardo alla stanza successiva ecco che il brivido di eccitazione di chi la moda punk l’ha sempre adorata si fa subito sentire: un dovuto e soddisfacente tributo a Vivienne Westwood, la stilista madre del movimento punk, con una galleria di t-shirt dai crudi messaggi visivi e verbali prodotte da sempre dal suo marchio.
Una immagine della mostra PUNK: Chaos to Couture al Metropolitan Museum of Art di New York
C’è anche una riproduzione della boutique di Mrs. Westwood di Londra mentre in sottofondo, si sente la sua voce provenire da uno schermo tv. Ma è tutto molto contenuto, ordinato, la moda è punk ma non l’atmosfera quasi da moderno locale notturno con grandi schermi led e strane cornici architettoniche. E questo eccitante momento di flashback agli inizi del movimento termina subito, una volta lasciata questa stanza. Da qui in poi l’esperienza della mostra non è nient’altro che una qualunque passeggiata in stanzoni di diversi colori e semplici ambientazioni, dove manichini imparruccati indossano iconiche creazioni di noti stilisti che a modo loro hanno proposto visioni “punkeggianti”. Fortunatamente la selezione è delle migliori. Si spazia da capi di archivio, a ultime collezioni: gli indimenticabili abiti di Gianni Versace con spille da balia dorate e logate, le recenti creazioni rock di Balmain, la moda couture di Riccardo Tisci per Givenchy con giacche bucate da piercing e catene, le creazioni reazionarie e provocanti di Maison Martin Margiela e originali Moschino assieme a abiti di John Galliano e Gareth Pugh. Tutto questo è accomunato poi, dalle scelte inusuali di materiali di scarto come sacchi di plastica, piatti rotti, tappi di latta trasformati in alta moda. La propaganda sociale e ambientalista sui capi di Katharine Hamnett, le recenti creazioni Westwood e gli inediti Dolce e Gabbana in stile ottocentesco pitturati a secchiate di vernici colorate, per poi finire con il punk anticonformista dell’ingegno tridimensionale e sofisticato dei giapponesi Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo passando dalle creazioni sfracellate di Rodarte, Chanel e Saint Laurent. Gli elementi ci sono tutti, ma l’esperienza della mostra sfuma un po’ nel nulla, anzi dritta nel caro negozio di souvenir.
PUNK: Chaos to Couture è una piacevole raccolta di capi d’autore contestualizzati accuratamente nel riferimento all’estetica e ai valori punk. Per chi la moda la segue, è bello poter riconoscere immediatamente molte delle creazioni per la loro notorietà e valore storico, e indubbiamente il passaggio da subcultura volgare e sfacciata degli inizi a ispirazione per stilisti di moda è ben che servito attraverso il percorso dell’esibizione. Un po’ deludente a mio parere la mancanza di esplosività ed espressione del movimento in più ambientazioni della mostra che alla fine risulta un po’ timida e poco travolgente, un po’ Punk ma niente Chaos.