Il consiglio più appropriato per chi si trova ad amministrare l’immenso patrimonio culturale italiano l’ha confezionato Elisabetta Sgarbi, con il titolo del suo film-viaggio (2011) nella cultura nazionale, preso dalla raccolta di poesie di Tito Balestra: “Se hai una montagna di neve tienila all’ombra”. Chissà se il ministro degli esteri Terzi che mercoledì sera ha inaugurato alla National Gallery of Art di Washington l’Anno della cultura italiana negli Stati Uniti, ha visto quella pellicola e ne ha condiviso il messaggio di sofferta partecipazione. E’ obiettivamente difficile gestire il bene culturale di un Paese che vanta un’eredità di valore incalcolabile, ma anche gli immensi costi di manutenzione e valorizzazione connessi.
La Penisola, in tre millenni di storia, ha espresso un’infinità di civiltà, in particolare quelle antiche romana e cristiana; è stata snodo di tutte le culture mediterranee, centro di movimenti artistici, luogo di invenzione e creatività. Basilare riferimento della cultura europea e in genere occidentale, ha la più alta presenza nazionale di siti patrimonio dell’umanità Unesco, quasi cinquanta, 5% del totale. Il fatto che l’inaugurazione di un evento così significativo per i rapporti bilaterali italo-statunitensi sia avvenuta nell’infelice cornice politica attuale, la dice lunga sulle inadempienze del palazzo verso le urgenze della nostra ricchezza culturale.
A crisi di governo aperta, l’Anno diventa, per l’establishment americano, evento minore, rischiando di passare pressoché inosservato. C’è da augurarsi che l’entrante governo lo assuma come proprio, per non bruciare l’opportunità di immagine e marketing del “paese del bello” nel primo mercato culturale al mondo. In gioco ci sono miliardi di dollari di turismo e soprattutto di sostegno da parte di fondazioni e privati alle nostre obsolete e sotto-finanziate strutture culturali. Un ragionamento passibile di ulteriori risultati se adattato sulla generosa comunità degli italiani americani, che può facilmente ritrovarsi nelle proposte di un patrimonio culturale che le appartiene.
Iosif Brodskij, premio Nobel per la letteratura, citando l’influenza italiana sullo sviluppo artistico del suo paese, la Russia, ha scritto: “Tutto ciò che ha un grande valore nell’arte russa degli ultimi due secoli ha un forte debito verso la grande cultura italiana”. E’ vero per molti altri paesi, sicuramente per gli Stati Uniti. Si pensi quanto hanno dato romanità liberalismo e illuminismo italiani alla strutturazione della società americana, sin dai contributi di Filippo Mazzei a Thomas Jefferson e Gaetano Filangieri a Benjamin Franklin. Se Pushkin traduceva Dante e Gogol abitava in via Sistina a Roma, ieri gli intellettuali mazziniani garibaldini e antifascisti esuli per necessità o dovere (v. don Sturzo), oggi i fuoriusciti volontari dal vincente malcostume economico e politico, hanno travasato sapere e tradizioni nelle scuole e nelle università d’oltreatlantico.
Il nuovo governo dovrà investire sulla cultura, salvaguardando il passato (v. la cadente Pompei), ma ponendosi due obiettivi irrinunciabili a sostegno del futuro: restituire dignità all’istruzione pubblica, proteggere l’italiano. Il sistema scolastico riceve, in percentuale sul reddito nazionale, meno della media dei paesi industrializzati, con quota sul bilancio minore della media delle economie concorrenti.
Per la lingua, si inizi evitando nel gergo pubblico il ridicolo di anglicismi come “ticket”, “spread”, “election day”, “spending review”, “road map”, abusate anche dall’uscente governo. Non si sostituisca il vieto “latinorum” manzoniano con un finto moderno… “inglesorum”.