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June 10, 2012
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INTERVISTA A FERZAN OZPETEK/ Magnifica libertà

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 9 mins read

Venerdì sera si è aperta al Lincoln Center la rassegna del cinema italiano ’Open roads’, giunta alla sua dodicesima edizione. Ad inaugurare il festival che appassiona ogni anno i newyorkesi che affollano la sala del Walter Reade Theater, c’era come ospite d’onore Ferzan Ozpetek, il regista italiano di origini turche che ha presentato il suo ultimo film ’Magnifica presenza’. A New York, alla fine della proiezione, grandi applausi, in Italia, invece, non sono mancate le critiche al film.

Un pasticcere siciliano aspirante attore si trasferisce a Roma. Il protagonista, Pietro, arriva dalla provincia di Catania. A dargli una mano, nella ‘Capitale’, c’è una cugina molto affettuosa, che l’aiuta a trovare un grande appartamento in affitto che stranamente ha un costo basso. La casa si scoprirà abitata da fantasmi, spiriti di attori di una compagnia teatrale degli anni Trenta che morirono in circostanze misteriose in quella casa nel 1943. Ma solo Pietro riesce a vederli. Oltre a Elio Germano nel ruolo del protagonista Pietro, nel cast ci sono Paola Minaccioni, Beppe Fiorello, Margherita Buy, Vittoria Puccini, Yusuf Antep, Claudia Potenza, Andrea Bosca, Ambrogio Maestri e una straordinaria apparizione di Anna Proclemer. Ferzan Ozpeteck ci ha concesso questa intervista.

 In tutti i suoi film c’è qualche cosa di autobiografico. È un po’ cosi per tutti gli artisti. ‘Magnifica presenza’ come si colloca? E’ forse il film dove c’è di più di lei?

No, il film dove c’è più di me è stato ‘Saturno contro’. Nel mio nuovo film, nel personaggio di Pietro, ci sono, ovviamente, molte cose mie, molte mie manie, e anche nella cucina ci sono delle cose mie. Questo è intanto un film diverso dagli altri, il primo film dove ho un protagonista così presente in tutte le scene. È un attore protagonista che aveva fatto finora film piuttosto realistici ed è la prima volta che affronta un film un pò surreale. Ecco mi interessava avere un grandissimo attore come Elio Germano e in qualche modo leggermente trasformarlo.

Anche lei arrivò a Roma dalla Turchia con il sogno di poter lavorare nel cinema e ora è un grande regista. Ha forse scelto che Pietro sia siciliano perché potrebbe avere molto in comune con la cultura turca?

Ma io non penso alla Turchia o alla Grecia o alla Spagna, o alla Sicilia. Io penso ai ’Sud del Mondo’. A me piaceva che il protagonista arrivasse da un’altra parte, doveva staccarsi da qualcosa e avere le nostalgie di chi viene da un altro Paese. Io credo che la vera cultura italiana sia quella del Sud, non quella del Nord. Al contrario di quello che dicono, la vera Italia per me è il Sud, per la mia mentalità, per il mio sguardo. Quindi mi piaceva molto mettere come protagonista un siciliano. Poi il personaggio a cui mi sono ispirato, al quale è veramente successa una cosa del genere, cioè di vedere i fantasmi mentre gli amici pensano che stia male, è un mio amico di Catania.

Quindi la scelta di far arrivare Pietro da Catania non era dovuta al fatto che nel cinema, quando si deve interpretare un siciliano, si preferisce il catanese che ha una cadenza più comprensibile e forse più facile da imitare?

No: ho un amico che è di Catania e mi sono ispirato a lui. E poi Elio è stato bravissimo, i miei amici siciliani dicono tutti che il suo accento è perfetto. Catania poi è una città stupenda, come è meravigliosa Palermo e tante altre città del Sud. Ripeto, io sono un grande estimatore del Sud d’Italia.

Proprio questa settimana, sempre qui a New York, in un incontro alla Casa Italiana della NYU, Pino Daniele e John Turturro nel loro ’duetto’ hanno detto la stessa cosa, con ’la Grande Madre’ che è tutto il Sud d’Italia che abbraccia il resto del Mediterraneo e il Nord Africa e che è fonte della loro ispirazione artistica. 

Esattamente.

Le critiche al film, in Italia, sono state di vario tipo. Non è mancato chi l’ha accusata d’aver messo troppa carne al fuoco. Invece a me il film è piaciuto molto: credo che sfiori dei momenti anche felliniani.

Io questo non l’ho capito, anche se me lo hanno già detto più volte. Quando tu fai il film non ti vengono in mente certe cose. Eppure poi mi hanno detto che, per esempio nella scena dei personaggi che fanno i cappelli, ecco, quella scena, in tantissime cose, ricordava lo stile di Fellini. Ma io l’ho fatto in un modo assolutamente inconscio.

‘Magnifica Presenza’ è anche un film pirandelliano. In cui la realtà appare finzione, mentre la finzione diventa realtà. E gli attori sono coloro che vivono mentre recitano, mentre gli altri recitano nella vita. Insomma chi getta la maschera nei confronti della vita e riesce ad essere se stesso è solo l’attore al momento di recitare.

Infatti la scelta della trans che lui trova ferita per strada rappresenta la maschera. Cioè trovare la realtà nella finzione in qualche modo. Di Pirandello e del film si è parlato molto anche in Italia. Io Pirandello l’ho dovuto citare perché andavo a toccare un periodo, quello degli anni Trenta, in cui lo scrittore siciliano era il re del teatro. A me fa molto piacere, perché anche finzione e realtà si mischiano e si confondono nella mia vita. E così il teatro in cui abbiamo girato parti del film è il Valle, lo stesso teatro dove ci fu il debutto dei ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ di Pirandello. Insomma varie coincidenze…

Forse potremmo chiamarle ’coincidenze cercate’.

Chiamiamole così.

Pietro, il protagonista, è un omosessuale che non riesce, come dice lui stesso alla cugina “a essere gay, figurati se riesco ad essere eterosessuale”.

Io la parola omosessuale non la uso mai nel film. Ma in realtà io ho scelto che Pietro sia diverso nel suo modo di essere, perché è uno che già dalla sua infanzia è abituato ad avere lo sguardo diverso dagli altri. Cioè lui non è come tutti, quindi ha un’accettazione più facile delle ‘presenze’. Questo è molto importante. Perché ha già un’apertura mentale in un modo strano.

Già gli altri inquilini scappano al solo sentirli, i fantasmi. Lui, invece, che li vede…

Lui li vede, secondo me, perché è un puro. Poi parlavo prima con un altro giornalista riguardo al gay o non gay. Non mi piace mai quando si definiscono le cose così. Sette anni fa, cercando dei dvd dei miei film qui negli Usa, non riuscivo a trovarli. "Come mai?", chiedo. Non erano stati distribuiti? Poi mi dicono: "stanno nel reparto gay". Mi sono arrabbiato tantissimo. Questo categorizzare è un atteggiamento da nazisti. È come quando parlano di locali gay: per me non esistono i locali gay, esistono dei locali. Non puoi presentare una persona dicendo: è gay. Perché parli dalla cintura in giù. Una persona non va presentata con la sua sessualità. Deve essere presentata come persona. In questo caso, qui, a me piaceva molto che Pietro fosse uno che è abituato alle visioni.

Capita spesso che un Paese – qualunque Paese, non solo l’Italia – visto dall’esterno, o da qualcuno con una visione diversa, lo si riesca a osservare meglio e a capirlo in profondità. Lei crede che l’essere turco le faccia appronfondire meglio l’Italia nei suoi film?

Io non lo posso dire. Ma a prescindere dalla cittadinanza, secondo me c’è lo sguardo del regista e questo è valido per altri registi come Paolo Sorrentino. A prescindere di che nazione sei, quindi, è un fatto di sguardo. Di dire le cose. In America ci sono tanti registi tedeschi e austriaci che sono considerati registi americani. Perché l’America è fatta dagli stranieri, quindi non c’è questa cosa che c’è in Italia. Io sono molto anomalo in Italia. Sono considerato uno dei registi più importanti del cinema italiano, ma con un nome e cognome completamente straniero.

Lei anticipa quello che sarà l’Italia.

È un’Italia che in alcuni momenti è anche ostile all’emigrato e allo straniero.

Ma con la sua arte lei fa un po’ da apripista, per un Paese dove ancora si discute se dare o meno la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia.

Quando il MoMa fece la retrospettiva su di me, io non capivo. Pensavo: "ma guarda questi che hanno scelto me invece che tanti altri". Poi il discorso che fece il direttore mi fece capire alcune cose: disse che sono un regista che non è mai caduto nelle convenienze, che ha mischiato la sessualità, le religioni, le classi sociali, in un certo modo, senza mai abbassare lo sguardo sulle cose, e allora ho pensato di aver attirato la loro attenzione anche per questo.

Ozpetek, regista italiano o turco italiano, potrebbe o vorrebbe fare un film tutto ambientato negli Stati Uniti, con una storia tutta americana?

Lei ha detto turco-italiano, io invece dico che, siccome mi hanno dato la cittadinanza onoraria di Lecce dopo il film ‘Mine vaganti’, io vorrei essere chiamato un regista leccese (ride). Comunque, cos’è che dicevamo? Ah sì, in America si potrebbe certo, e sono stato spesso sul punto di realizzarlo, un film. Ma poi le cose sono sempre sfumate, perché io penso che fare un film con gli americani per me sarebbe molto difficile. Perché c’è molta più forza della produzione e io vorrei rimanere libero. Poi io riesco a capire bene che i registi del passato che erano emigrati in America, erano considerati americani: una cosa bellissima. Invece in Italia non è ancora così. Io poi ho una condivisione con un certo pubblico in Italia che mi segue: qualunque film faccio, ho la certezza che un certo numero di persone che mi segue andrà comunque a vederlo.

 

*Una versione precedente di questo articolo è disponibile su www.lindro.it/

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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