La rivista “Ridotto” pubblica ogni mese notizie delle tante commedie rappresentate in Italia. Almeno dieci nuovi autori. Molti arrivano anche a New York. Molta attesa per “Giovanni the Fearless” di Carolyn Balducci (musica di Mira J. Spector) il sette giugno al Symphony Space (2537 Broadway @ 95th Street). Avrà la sua prima americana per tre settimane a giugno (Th. New City, 155 East First Avenue) il noto autore italiano Alberto Bassetti (con i due testi “Due sorelle” e “Due Fratelli”).
Nel frattempo l’attivissima attrice-regista Laura Caparrotti (Kairos Th.) presenta novità. Ha presentato un testo che doveva avere la sua prima a Roma. Tutto pronto. Vietato all’ultimo momento. Si tratta di “Vatican Falls” di Frank J. Avella. Il delicato soggetto della pedofilia. I personaggi più interessanti sono Teresa (Liza Harris), una madre che si sente protetta dal sacerdore David (Carlos Dengler) che, nel frattempo, sta seducendo i due figli Peter (Devon Tabott) e Riccardo (Rob Ventre). Peter si suicida. Riccardo si salva innamorandosi di una bella donna. Belle scene del corteggiamento. Compagnia compatta, ben diretta dalla Caparrotti che ha anche diretto un ironico atto unico di Ennio Flaiano, “La donna nell’armadio” (Casa Italiana Zerilli- Marimò @ NYU). L’autore prende in giro due poliziotti che hanno una vittima sotto i loro occhi, nell’armadio, ma non se ne accorgono. Cercano inutili minuzie. Cinque eccellenti attori. Ottima traduzione di Marisa Trubiano. Per una strana coincidenza, nella commedia “In the Company of Jane Doe”, di Tiffany Antone, l’autrice prende in giro dottori ridicoli e bizzarri. Uno (Jason Guy) entra ed esce da una porta venti volte prima di decidersi a restare. Fanno un esperimento su Jane (Marta Kuersten). Creano una clone (Sarah Brill) che porta via il fidanzato di Jane (Robert Maxwell) e diventa una capufficio ribelle. Jane, usando il dito, vorrebbe spararle ma poi rinuncia quando vede troppi cloni. Regia di Paul Urcioli. E’ evidente che anche lui prende in giro i dottori. Second Stage (305 West 43rd Street) presenta “Lonely, I’m Not” di Paul Weitz. Noto ancora una volta che il teatro in Europa offre e costruisce storie. Qui in America si gioca sulle relazioni. Come due si comportano. E non concludono. Porter (Topher Grace) era un giovane di gran successo a vent’anni. Poi il solito crollo. Depressione, disoccupazioni, guai. Il suo amico Little Dog (Christopher Jackson) pensa di salvarlo presentandogli una giovane bella e attivissima, nonostante sia cieca. Heather (Olivia Thirlby) è adorabile ed ha tutta la nostra simpatia. Molti teneri incontri. Forse si salvano. Lo speriamo. No. Lui a destra; lei a sinistra, chiaramente divisi. Volevamo una conclusione, un po’ di speranza per i depressi ed i ciechi. Non ce la danno. Movimentata regia (specialmente sul fondo) di Trip Cullman. Ha scelto bene gli attori. Riappare la moglie di Porter (la simpatica Maureen Sebastian). Vorrebbe fare all’amore perché lo vede infelice e “morto”. Lei, almeno, prova. Applausi.
La compagnia OYL (One Year Lease) di Ianthe Demos e Nick Flint prepara attori che sono dei veri atleti. Energia a non finire ed acrobazie. Ho visto “Pool (No Water)” di Mark Ravenhill (al teatro Space, 150 First Avenue). Non conosco in Italia attori che potrebbero interpretare tale opera. Azione ininterrotta. Poco dialogo, non troppo chiaro a causa dei tanti movimenti e della frenesia in scena. Prima di New York è stato presentato come “Frantic Assembly” a Londra (teatro Plymouth). Testo meravigliosamente coreografato da Natalie Lomonte; concepito da E. Banjou, C. Baker, I. Demos, N. Flint, C.B. Lind e R. Saudek). Scena vuota. Solo cinque atleti e lunghe panche bianche. I cinque attori citati come creatori presentano decine di evoluzioni in tutte le forme. Ci sorprendono ogni minuto. C’è un testo. Brani in cui ammettono gelosia per la sesta attrice che ha avuto fortuna ed ha ora una piscina. Spettacolo insolito, unico.
Il miglior monologo (quasi monologo) del mese è “The Columnist” di David Auburn (MTC @ Friedman Th., 261 West 47th Street).
Il magnifico attore John Lithgow è il centro d’azione nella vita del noto giornalista Joseph Alsop. Nella prima scena lo vediamo a letto con Andrej (B.J. Smith) a Mosca. Unico accenno al fatto che era omosessuale. E’ un giornalista potentissimo presente con i suoi articoli in trecento giornali. Nel passato, durante la guerra in Vietnam, lo ascoltavano tutti, lo temevano tutti. Era un fanatico pronto a mentire continuamente, pur di vedere il suo sogno. Sconfitta del comunismo dappertutto.
Aveva continui contatti col presidente Kennedy ed è lui ad avergli suggerito la guerra in Vietnam. Morto Kennedy, la sua influenza passò nei confronti del presidente Johnson. Viene spesso citata la frase di Johnson: «E va bene. Ho mandato altri cinquantamila soldati. Speriamo mi lasci in pace un po’». Gli altri personaggi sono pallidi alla sua presenza. La moglie di convenienza (Margaret Colin), dolce e passiva. La figlia adottata (Adria Vitlar) che alla fine mostra un minimo di ribellione, il fratello (Boyd Gaines) che collabora con riluttanza. Un attore che fa tremare. Colleghi e spettatori. Un bel successo. Precisa regia di Daniel Sullivan.