C’è dubbio che “Porgy and Bess” di Gershwin sia il miglior testo, la migliore messinscena musicale del musicista (226 West 46th Street). C’è ora un’altra commedia musicale, molto originale, basata sulle note canzoni dei fratelli George ed Ira Gershwin: “Nice Work if You Can Get It” (Imperial Th., 249 West 45th Street). Libretto di Joe Di Pietro (Memphis) che si è ispirato a scene di Guy Bolton e P.G. Wodehouse. La storia è improbabile ed ingenua ma diverte lo stesso.
Durante l’era del proibizionismo si vendevano liquori di contrabbando. Billie (la magnifica Kelli O’Hara) dirige un gruppetto di trafficanti. Perseguitati dalla polizia, cercano un locale dove nascondere le casse. Un ricco ubriacone (il simpatico Jimmy-Matthew Broderick) incontra Billie e le confida che ha una villa con quarantasette camere che lui non usa mai. Decidono di portar lì le tante casse di gin. Jimmy aveva dimenticato di dirle che stava per sposare Eileen, comica ballerina moderna (Jennifer Laura Thompson).
I due sposi arrivano per la luna di miele e sorprendono Billie con i suoi due complici. Il comico Cookie (Michael McGrath) si finge maggiordomo.
Il lento, ingenuo Duke (Chris Sullivan) si finge più tardi cuoco. Ne succedono di tutti i colori. Eileen resta in una vasca da bagno per quasi cinque ore e non vuol essere baciata prima delle nozze. Nel frattempo Jimmy s’innamora di Billie. Finiscono a letto, con un poliziotto (Stanley Wayne Mathis) che vorrebbe arrestare tutti. Il poliziotto finisce poi con lo sposare Eileen che ha rifiutato Jimmy. Arriva il padre di Eileen per il matrimonio con una simpatica duchessa (Judy Kaye). Cento improbabili episodi ma un’abile immaginativa regia di Kathleen Marshall e le magnifiche canzoni dei due fratelli Gershwin ci deliziano per più di due ore. Devo ricordarvi i titoli delle canzoni? No. Le conoscere e riconoscerete tutte. Le cantiamo da oltre mezzo secolo.
Ci sono in città tre commedie musicali che celebrano la religione: “Jesus Christ Superstar”, “Sister Act” e “Godspell”. Aggiungo ora una quarta: “Leap Faith” di J. Cercone e W. Leight (libretto), Alan Menken (musica) e Glenn Slater (liriche). Basato sul film dallo stesso titolo (St. James Th., 246 West 44th Street). Si entra nel teatro e giovani che faran poi parte del coro distribuiscono dollari invitandoci a deporli nei cestini di chi chiederà soldi durante l’azione.
Un autobus con coro religioso si blocca in un piccolo paese. Son diretti dal solito sacerdote imbroglione che promette miracoli e chiede soldi. Coro, canti, preghiere; fan camminare un’anziana che camminava anche prima ma che han costretto su una sedia a rotelle. Il predicatore Jonas (Raul Esparza) è elegantissimo in una giacca con brillantini e sa predicare e ingannare. Ma incontra un grave problema in questa cittadina.
C’è una donna-sceriffo (Jessica Phillips) che non crede a quei ridicoli miracoli e dà loro una multa. Lo mette poi in prigione e, incredibilmente, si concede e fanno all’amore. Sceriffo Marla ha un figlio in una sedia a rotelle che non può camminare (il bravo Talon Ackerman). Il govane crede ai miracoli e spera di essere salvato e guarito. Jonas viene aiutato dalla sorella (Kendra Kassebaum) e dagli angeli della pietà (guidati da Kecia Lewis-Evans). Come risolvere il problema? Jonas prega. Il giovane ha fiducia in lui e muove qualche passo. Forse… Finanziato da gruppi religiosi che hanno buone intenzioni.
Molti applausi. Teatro serio. Dramma di giovani che bevono galloni di liquori, usano droghe ed hanno pochi sogni e poche speranze. “An Early Hi story of Fire” di David Rabe, prodotto dal New Group (410 West 42nd Street). Opera giovanile di Rabe. Ricordi dei suoi primi anni. 1962. Danny (Theo Stockman) vive a casa con il padre (Gordon Clapp), uomo piuttosto ignorante e insensibile e porta a casa i suoi assetati amici. Bevono molto e parlano di una vita senza prospettive. Danny è l’unico ad aver sogni. Ha incontrato una giovane universitaria ricca, la porta a casa ma vuole rispettarla. Se si comporta bene, da giovane onesto, forse lei lo sposa. Ma Karen (Claire van der Boom) è il tipo moderno che usa droghe, beve e vuole sesso. Vengono interrotti spesso da genitori ed amici che sono incredibilmente rudi e volgari. La insultano con aggettivi che non si usano mai con la fidanzata di un amico. Lei non si offende. Forse perché è ubriaca e vuole solo sesso, prima del ritorno al suo amante all’università. Un incendio distrugge l’ultimo tentativo di fare all’amore. Gli amici gli fanno capire che una donna ricca non lo sposerà mai. Lei torna a scuola. Lui, nell’ultima scena, lascia la casa paterna. Applausi. Sciolta regia de Jo Bonney.
Ferenc Molnar era un noto autore ungherese, ben tradotto anche in America. Ma viene rappresentato raramente perché usa molti personaggi. “The President”, adattato da Morwyn Brebner, ne abbiamo ventidue. Ben scelti dal regista Peter Dobbins. Il gruppo teatrale Storm (Church Notre Dame, 405 West 114th Street) ha coraggio nel rappresentare testi insoliti. Si ride ed applaude ad una storia edificante. Il presidente di una banca (Joe Banbusky) corteggia la gentile Lydia (Becca Pesce). Quando scopre che è sposata con un comunista decide di trasformarlo in poche ore. Ha il timore di perdere un ricco cliente se lui scopre che Tony (Matthew Waterson) è un semplice operaio. Sotto i nostri occhi, venti fedeli servi lo trasformano. Bravissimi. Commento amaro. Molti applausi.