Il presidente Obama è amato in molti paesi. Suscita simpatia. Scrivono molto su di lui. Ci sono già undici commedie in quattro paesi. Quella che preferisco ha appena avuto la sua elegante, festosa “prima” a New York. “Obama in Naples” del noto giornalista italiano Claudio Angelini. Avete occasione di vederla fino al 6 maggio nel bel teatro June Havoc-Abington Th. (312 West 36th Street). Ottimi attori e cantanti ben scelti e diretti da Stephan Morrow. Raccomandata caldamente. Chi vuole andare a Broadway ha una larga scelta. Hanno ripreso il pop-musical “Jesus Christ Superstar” di Tim Rice (liriche) e Andrew Lloyd Webber (musica); al teatro Neil Simon (250 West 52nd Street). Lo vedemmo a New York nel 1971. Riappare dappertutto perché ci ricorda una storia di dolore, tormento e sacrificio. Questa volta Gesù è il biondo Paul Nolan. Nella realistica regia di Des McAnuff lo arrestano, picchiano, torturano sotto i nostri occhi. Ci sono anche staffilate laceranti che mostrano poi una schiena torturata. Il suo comportamento è serafico. Accetta con rassegnazione una condanna voluta prima dal Padre, poi dai soldati romani, poi dai mercanti ebrei. Particolarmente, in questa versione, dai mercanti che sono stati cacciati dal tempio.
Vecchia storia che si ripete anche oggi. Chi osa toccare i ricchi viene punito. Spettacolare coreografia di Lisa Shiver, nell’elegante, funzionale scena di Robert Brill. Anche gli altri protagonisti sono ben scelti. Giuda (Josh Young) è molto umano. Ha i suoi dubbi. Tradisce con riluttanza. Dopotutto il suo destino era scritto in anticipo da un Dio onniscente. Maria Maddalena (la bella Chilina Kennedy) è veramente innamorata del protagonista e lo dimostra in ogni momento, ogni atteggiamento. Musica che genera il desiderio di applaudire. Successo, anche questa volta. Hanno ripreso anche il capolavoro di Tennessee Williams “A Streetcar Named Desire”, al teatro Broadhurst (235 West 44th Street). Una bella produzione diretta da Emily Mann con una compagnia mista; prevalgono bravi attori della minoranza. Stella (Daphne Rubin-Vega) è la moglie maltrattata dal violento marito Stanley (Blair Underwood). E’ un bruto che sa affascinare e dominare. Vive nel modesto, povero quartiere di New Orleans nel 1952. Una scena ben disegnata da Eugene Lee. Nessuno di noi vorrebbe vivere in un luogo simile. E’ qui che arriva la dolce, vulnerabile sorella di Stella, alla ricerca di un letto, di ospitalità. Blanche (Nicole Ari Parker) incontra due simpatiche vicine, chiede informazioni, non crede ai suoi occhi. Non immaginava che sua sorella vivesse così poveramente.
E’ una benvenuta per Stella ma non di certo per il rude, scontroso Stanley. Diventa volgare ed aggressivo quando scopre che Blanche confessa di aver perduto l’unica casa che apparteneva alle due sorelle. Vuole tutti i documenti. Si sente derubato perché, secondo la legge napoleonica che cita ostentatamente, la casa era anche sua.
In foto, Claudio Angelini
Situazione tesa nonostante Blanche sia gentile e cerchi di placare un marito che maltratta una timida moglie, ciecamente innamorata. Stanley ha un gruppo di amici con cui gioca, rumorosamente, a carte. Uno di loro vive con la madre che sta per morire. S’innamora di Blanche e vorrebbe sposarla. Blanche accetterebbe una vita modesta a New Orleans perché fugge da un passato pieno di errori e disgrazie. Le è morto un giovane marito. Ha dovuto accettare compromessi e amanti. Stanley fa le sue ricerche e sorprende sua moglie Stella con particolari morbosi. Blanche viveva in un albergo equivoco ed è stata cacciata. Con crudeltà lo dice pure all’amico Mitch (Wood Harris) che era pronto a sposarla ed amarla. Quando scopre il suo passato dice freddamente: “A casa mia non porto di certo una prostituta”. Un’accusa feroce che distrugge ogni speranza per Blanche. Restati soli in casa, Stanley la violenta e le offre un biglietto che la porti via. Un finale diretto con grande abilità. Vediamo una donna terrorizzata che si nasconde dietro al letto e non vorrebbe andar via. Arrivano un dottore (Count Stoval) e un’infermiera (Rosa Evangelina Arrendondo) L’infermiera la spinge a terra e vorrebbe ammanettarla. Il dottore è più umano e la tratta da vera signora. Blanche si sente rispettata e pronuncia la famosa frase: “Ho sempre dipeso dalla gentilezza degli estranei”. Questo dramma è senza dubbio uno dei migliori del XX secolo. Commuove. Ho visto spettatrici che piangevano. Una novità al teatro Lab (155 Bank Street): “Ninth and Joanie” di Brett C. Leonard, diretto da Mark Wing-Davey. Ci vuole molta pazienza per i primi venti minuti. Nella semioscurità un padre (Bob Glaudini) è su una poltrona, fuma sigari e beve. Poche battute col figlio (Kevin Corrigan). Poi sale al piano superiore. Arriva il secondo figlio (Dominic Fumusa). E’ rumoroso, beve e balla freneticamente; costringe il fratello a bere; poi si uccide. Migliora il secondo atto con Isabella (Rosal Colon) che rivela segreti di famiglia.