Lorenzo Del Boca e Pino Aprile alla St. Jhon’s University
Pino Aprile e Lorenzo Del Boca sono gli autori ripettivamente di ‘Terroni’ e “Polentoni”.
In queste interviste con i due giornalisti-scrittori, sono stati anticipati alcuni temi affrontati durante il dibattito organizzato da ILICA (Italian Language Intercultural Alliance), l’organizzazione per la promozione della lingua italiana fondata dagli imprenditori Vincenzo Marra e Michele Siracusano. La conferenza si è tenuta il 10 novembre alla St. John’s University di New York grazie alla collaborazione del vice-president dell’università Joe Sciame. Al dibattito con gli autori dei libri, moderato dal Prof. Anthony Tamburri del Calandra Institute, hanno partecipato anche il linguista Massimo Vedovelli, il sindaco di Chioggia Giuseppe Casson (con Del Boca seduti dalla parte dei “polentoni”) e il sindaco di Bari Michele Emiliano con il direttore di “America Oggi” Andrea Mantineo (che con Aprile erano seduti dalla parte dei “terroni”).
Pino Aprile, com’è nata l’idea di scrivere “Terroni: Tutto quello che è stato fatto perché gli Italiani del Sud diventassero meridionali”? Quanto studio c’è dietro?
“Avevo sempre creduto ai libri di storia. Ma qualcosa non quadrava: perché, se i meridionali erano poveri, arretrati e oppressi, quando li hanno liberati, modernizzati e arricchiti, invece di essere contenti, si sono opposti per anni, armi in mano? Davvero tutti quei briganti, al Sud? E perché, quando la risposta delle armi è risultata perdente, piuttosto che godersi il “paradiso di importazione”, se ne sono andati a milioni, mentre prima non emigrava nessuno? Più trovavo risposte, più crescevano le domande. Ho cominciato a scrivere, ma senza ancora l’idea di ricavarne un libro (avrebbe dovuto essere il mio primo, è venuto fuori ottavo): dopo trent’anni, duranti i quali, fortunatamente, ho anche fatto altro…, è nato “Terroni”.
La storia del Risorgimento va riscritta? Stiamo vivendo su delle menzogne quindi…
“Ogni popolo, ogni Stato, ogni grande im-presa ha bisogno di miti fondanti, sintesi fiabesche e un po’ bugiarde, ma facilmente trasmissibili: che ne dite di Guglielmo Tell, del Cid Campeador, di Rolando, paladino di Francia? Teniamoci pure Garibaldi e la favola di mille idealisti che sconfiggono, da soli, un regno di nove milioni di persone, un esercito di oltre centomila uomini; poi raccontiamoci come sono andate davvero le cose: una congiuntura storica di entusiasmi e interessi che offre al Piemonte l’opportunità di allargarsi oltremisura, in nome dell’Unità d’Italia, e mettere le mani nelle casse dei vari Stati preunitari, via via annessi. L’Italia andava fatta; anche gli Stati Uniti, il Giappone, si unificavano, negli stessi anni, con guerre e stragi; ma dopo, eroi e ragioni delle parti opposte sono approdate con pari dignità nei libri di storia e nella memoria della nazione. In Italia, il Sud continua a essere diffamato, prima per giustificare l’invasione, oggi la discriminazione: meno soldi, meno strade, meno ferrovie, meno aeroporti, meno opportunità, meno potere, meno rispetto”.
Il tuo libro provoca subito una forte reazione emotiva. Da una parte o dall’altra. Immagino che però il tuo intento siaquello di portare chi ti legge a riflettere. Hai qualchje consiglio di metodo?
“Finito il libro, mi sono chiesto come mai opere ben più valide, di giganti come Salvemini, Dorso e tanti altri, non avessero prodotto i risultati che, non solo secondo me, meritavano. Mi sono detto che forse erano troppo attenti a esporre con la distanza del professore (e sì che alcuni, vedi Salvemini, erano dotati di grande ironia e humor). Così, ho deciso di raccontare anche i miei sentimenti, la dolorosa meraviglia, la rabbia, il senso dell’essere stati traditi. E mi sono accorto che reagivo come un lettore del mio libro. Questo mi ha reso uno di loro”.
Terroni, ha riscosso un gran successo di vendite e ha suscitato un forte dibattito in Italia. Ora è tradotto anche in inglese. Che cosa ti aspetti dal lettore americano, italo-americano? Hai già dei feedback?
“Lo racconto con un episodio: lessi una recensione al mio libro, da parte di un italo americano (appresi dopo che lavora alla Nato, a Bagnoli). Era un testo molto ragionato e ben scritto, al di là delle lusinghiere cose che diceva di Terroni”. Scrissi all’autore per ringraziarlo. Lui mi rispose che era lui a dirmi grazie, per aver finalmente capito perché, pur chiamandosi Quattrone, lui, come suo padre, è nato a New York, e in Italia è un extracomunitario”.
Non credi che l’orgoglio meridionalista rischi di creare un’anti lega del Nord, insomma una nuova lega del Sud?
“Assolutamente no. La Lega è un partito Razzista (ma non significa che lo sono tutti quelli che la votano, in buona fede); e si è inventata una identità e una patria, la Padania, mai esistita, per continuare a pretendere privilegi per una parte del Paese, a danno della parte più svantaggiata. Il Sud chiede equità, pari trattamento e questo vale per qualsiasi area del Paese cui non si offrano le stesse possibilità di viaggiare, studiare, curarsi, trasformare in opportunità di sviluppo le proprie doti.
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Quella di Lorenzo Del Boca non è una risposta a Pino Aprile, autore del controverso libro Terroni, e non è un manifesto “nordista” contro il sud. Ci tiene a dirlo subito.
Senza rivendicare inutili paternità, l’ex presidente dell’Ordine dei giornalisti ho scritto “Maledetti Savoia” nel 1996 e “Indietro Savoia” nel 1999. Una dozzina di anni prima di Pino Aprile che, del resto, mi cita abbondantemente come riferimento bibliografico.” Precisa del Boca autore di Polentoni il libro che spesso viene affiancato ad un altro caso editoriale “Terroni’ di Pino Aprile.
Prima del dibattito organizzato da ILICA a New York, ho chiesto a Del Boca di anticiparci qualcosa, di riassumere in poche parole il suo lavoro con “Polentoni”.
“Ho documentato come il Sud sia stato spogliato, derubato e massacrato. Sotto il fiume Tronto (che indicava il confine settentrionale del regno delle Due Sicilie) si sono presentati 60 battaglioni di bersaglieri che hanno trattato quelle popolazioni come gente da conquistare. La libertà da portare era lo schermo ideologico per rendere l’aggressione spendibile agli occhi dell’Europa. Dissero che i fratelli liberatori avevano aiutato i fratelli da liberare. In realtà, la libertà la portarono sulla punta delle baionette e, alla fine, “liberarono” gente che non voleva essere liberata. Fu una pagina infame ma il Nord da questo massacro e da questa spogliazione non ci ha guadagnato. Almeno il popolo del Nord.”
E perché il Nord avrebbe avuto la peggio?
“I contadini della pianura padana si trovarono devastati da eserciti che si rincorrevano. Ora attaccavano gli austriaci ora gli austriaci si ritiravano davanti ai piemontesi. Il “sogno” del Savoia cominciato nel 1848 terminò (al nord) nel 1866 dopo tre guerre di indipendenza e una quantità sterminata di battaglie. Quanti contadini sono morti di fame perché i raccolti al momento di essere portati in tavola venivano distrutti.
I veneziani e i veneti combatterono con gli austriaci. Furono loro i marinai che sconfissero gli italiani di Persano a Lissa ma, il giorno dopo, scoprirono che facevano parte di un altro stato. Pagavano 11 lire l’anno al governo di Vienna che era efficiente per definizione e si trovarono a pagarne 32 a Torino senza che le opere pubbliche venissero realizzate”.
Cifre alla mano dimostri che le risorse nazionali sono state usate a senso unico. Ci anticipi qualcosa?
“Da allora vennero realizzati una quantità di “piani” per fare decollare l’economia del paese, soprattutto al Sud che era diventato “la questione meridionale”. Soldi ne spesero una quantità di realizzazioni poco o nulla. Pagarono gli industriali per trapiantare al Sud fabbriche che non funzionarono. Non producevano posti di lavoro ma stipendi. L’Alfa Sud, le acciaierie di Taranto, le aziende di Pomigliano d’Arco, Termini Imerese e i vari interventi della “Cassa del Mezzogiorno” si sono rivelate un fallimento. Un costoso fallimento”.
E sostieni che abbia prodotto subito una grande delusione…
“Sì, l’Unità d’Italia, come era stata fatta, non piaceva più a nessuno, nemmeno a quelli che l’avevano fatta, Giuseppe Garibaldi, nel 1867, da Caprera, scrisse. “non rimpiango niente ma non posso riprendere la via del Mezzogiorno per timore che mi prendano a sassate a causa dei dolori che ho cagionato laggiù”.
“Gli stessi garibaldini che evidentemente al risorgimento credevano si trovarono delusi. Alcuni – pochi – fecero buon viso a cattivo gioco e si infagottarono nel nuovo stato indossando divise da ufficiali superiori o accaparrandosi un posto in parlamento. Ma gli altri – la maggior parte – fecero una brutta fine: emrginati, disgustati, impazziti, suicidi. Il più clamoroso Giovanni Cerutti, di Pavia, si alzò di mattina che ancora non faceva giorno, baciò la moglie e la figlia che stavano ancora a letto, si coprì la testa con un asciugamano. Poi appoggiò un chiodo sulla fronte e se lo piantò nel cranio con una martellata. Aveva appena scritto una riga sul foglio di carta. “Non è questa l’Italia per la quale ho rischiato la vita. Un punto esclamativo a sghimbescio appena coperto da una macchiolina di sangue.”
* Letizia Airos è il direttore del portale multimediale www.i-Italy.org dove potete leggere queste interviste nella loro versione integrale