Nella foto, Jeremy Shamos, Jessica Collins e Amy Irving, in “We Live Here”
Vado ogni sera a teatro. Spesso, sono stimolato e incuriosito da un primo atto. Propongono e promettono tesori. Deludono poi nel secondo atto. Non sanno concludere. Zoe Kazan è una giovane, bravissima attrice. Il Manhattan Th. Club (131 West 55th Street) ha prodotto “We Live Here” della Kazan nelle vesti di autrice. Nella bella ed elegante scena di John Lee Beatty, vediamo una madre che apre e controlla pacchi. Maggie (Amy Irving) è intensa e nervosa. Sta controllando i regali mandati per il matrimonio di sua figlia Althea (Jessica Collins). Arriva la seconda figlia. Dinah (Betty Gilpin) sembra nervosa come la madre. Nasconde qualcosa. Lo dice poi, con cautela. Può invitare per il matrimonio della sorella il suo fidanzato? Chi è? Un suo professore che ha superato i trent’anni. Anche il genitore Lawrence (Mark Blum), uomo passivo che prende ordini dalla moglie, è più o meno d’accordo. Ma perché Dinah è così tesa e nervosa? Chi sarà questo misterioso fidanzato? Arriva la coppia dei promessi sposi. Althea è cupa e non di certo felice di sposarsi. Sandy (Jeremy Shamos) è dolce e passivo. Come il genitore delle due sorelle. Anche lui diventerà forse il tipo di marito che ubbidisce. Gli spettatori sono ansiosi di scoprire chi sia il fidanzato di Dinah. Come mai è così nervosa? Non di certo perché lui ha molti anni più di lei. Deve esserci un’altra ragione. Arriva il misterioso Daniel (Oscar Isaac). E’ allegro e pieno di vita. Ma non è gradito perché rievoca un passato di dolore. Piaceva ad Althea ed a sua sorella gemella Andi. Era forse il suo amante ed è forse responsabile del suicidio di Andi. Son tutti a disagio ma fan buon viso a cattiva sorte. La più colpita è naturalmente Althea che sta per sposarsi senza vero amore. Tensione. Althea e Daniel decidono di fuggire insieme su una motocicletta.
Il secondo atto comincia con la notizia di una morte. Uno dei fuggiaschi? No. Siamo tornati al passato ed alla lugubre morte per suicidio della gemella. Qui le cose si complicano per gli spettatori. Alla fine c’è un dibattito. Gli spettatori possono far domande. Dimostrano di avere decine di dubbi. Son morti i due sulla motocicletta? Quella che sale al piano di sopra per suicidarsi è la gemella? Chi arriva da Mosca con un volo urgente? E tante altre domande. Forse era meglio non invitare il pubblico a commentare.
“The Submission” di Jeff Talbott al teatro L. Lortel (produzione MCC, 121 Christopher Street). Una buona idea. Danny (Jonathan Groff) ha scritto una sua prima commedia e chiede il parere del suo amico Trevor (Will Rogers). Risposta positiva. Ha solo quattro attori in una scena semplice. E’ producibile. Danny e il suo giovane amante Pete (Eddie) sono “visi pallidi”. La loro commedia sarà respinta. Ma se convincono un’afro-americana a fingersi autrice, sarà certamente accettata. Un ragionamento che fila al giorno d’oggi. Si cerca di incoraggiare le minoranze. “Submission” viene accettata nell’importante Humana Festival. Grande successo. Cominciano qui i conflitti e i dubbi. Devono rivelare la verità e distruggere il futuro della commedia? A complicar le cose la bella Emilie (Rutina Wesley) è diventata l’amante di Trevor, l’amico che aveva scoperto e suggerito di inviarla al festival. In un teso dialogo sembra che Emilie voglia raccogliere tutta la gloria. Termina con Danny che distrugge le pagine della commedia. Un bel finale. Purtroppo aggiungono una scena inutile. Non sanno quando fermarsi. Nel teatrino 59E59 un’altra novità: “The Bus” di James Lantz. Due giovani (Bryan Fitzgerald e Will Roland) s’incontrano in un autobus rotto e bloccato in un cortile di chiesa. Il padre di Ian (Roland) li scopre e non dice niente, ma fa causa alla chiesa per eliminare, distruggere l’autobus. Il padre Harry (Travis Mitchell) sta divorziando da sua moglie Sarah (Kerry McGann). Conflitti e liti. Il veicolo viene incendiato e Ian muore. La madre è religiosissima. Quando l’amico-amante le dice che stavano solo pregando, lei accetta e ringrazia il buon Dio. Testo ben rappresentato dalla giovane abile attrice Julia Lawler. Bravi attori anche nell’originale “Mangella” di Ken Ferrigni al teatro Drilling (236 West 78th Street). Il modernissimo mondo dei computer che creano comiche immagini di gangster orientali. La bella e brava Ali Perlwitz ha sul petto un computer che trasmette originali immagini. Non è una persona ma un simbolo. Un figlio amorevole vuol riprogrammare l’anziano padre che crede di essere il musicista Mangella. Arriva poi una donna bella e sorprendente. Bravi Hannah Wilson, Anthony Manna e Bob Austin McDonald. Si ride ed applaude. Un attore-cantante pieno di energia è Trent Armand Kendall. In “Picture Incomplete – A One Man Musical”, allo Studio Th. (410 West 42nd Street). Ci dice che è il suo compleanno e lo sta passando in strada. Canta con passione i vari momenti della sua difficile vita. Per dimenticarla beve ed ha provato anche droghe. Le liriche delle sue canzoni sono chiarissime e spesso drammatiche. Fra le migliori “Tic, Toc…”, “A Father’s Lament”, “Walk-in-Closet” e “Should Be”. Diventa anche Mavis e canta “Complete” e “Morning, Grrr!”. Si tra- sforma anche in sacerdote e canta “Let the Church Say Amen” e “Incomplete”. Una vita piena di dolore e speranze. Ottimo attore e cantante. Caldi applausi anche ai tre musicisti. Musica e liriche di Michael Polese. Convincenti.