Il 25 giugno Tyler Gregory Okonma, conosciuto maggiormente come Tyler, The Creator (classe 1991), ha lasciato il suo settimo album intitolato “Call me if you get lost” (“Chiamami se ti perdi”, in italiano), creando anche un numero di telefono al quale è collegata una linea di messaggi automatici. Non ci si può aspettare niente di più strabiliante e creativo da Tyler. L’artista si fa sentire al telefono, con Twitter e su Instagram, ma soprattutto con tutto se stesso in questa sua settima opera musicale, su ogni canale mainstream di musica.
“Call me if you get lost” è un album fresco come anche di vecchio stampo, che riprende i toni più scuri e veraci dello stile ecclettico di Tyler. Un crossover di generi e ritmi musicali, dal rap al pop, dal soulful al jazz. Chi conosce Tyler fin dai tempi di Goblin (2011), Wolf (2013) e Cherry Bomb (2015) sa bene di che cosa si parli quando si accenna ai toni più salienti nella sua arte.

Il suo tocco artistico sta infatti nell’essere “un duro” con le parole, con parolacce, con ossimori, metafore che sfociano nel metafisico per tornare con un tuffo in acqua gelida nella realtà. Si parte con il rap rauco e corposo per arrivare a suoni più dolci e sfumati, con violini e romantici fiati, sintetizzatori di ogni tipo e collaborazioni melodiche con personaggi come Kali Uchis, Roy Ayers e Pharrell Williams (presente anche in quest’ultimo album). La schiettezza e la complessità di Tyler si rivelano costantemente in una collezione di stili e generi musicali e questo ultimo suo album non è da meno.
In sedici brani vengono esplorati diverse tematiche, dall’amore non corrisposto alla condizione sociale e politica delle comunità afroamericane in America, dall’autostima fino all’amicizia. A differenza degli album precedenti, “Call me if you get lost” esplora ritmi dal tono più soffice in perfetta sintonia con i rispettivi visuals dallo stile French New Wave rilasciati insieme all’album (per “Wusyaname”, “Lumberjack”, “Juggernaut” e “Sweet”). In questo album Tyler ha collaborato con diversi artisti di grande rilievo nel mondo del rap, fra cui DJ Drama, Youngboy Never Broke Again, Pharrell Williams, Ty Dolla Sign, Brent Faiyaz, Lil Wayne e Lil Uzi Vert.
Ascoltare un brano di Tyler è come assaporare un dolce e un salato insieme, senza disgusto e pregiudizi. Gli ossimori sono tanti, ma i messaggi sono pochi ed essenziali: proprio come il Pride Weekend, pieno di colori con un unico obbiettivo da diffondere: l’amore verso sé stessi e la comunità. Tyler ha scelto il momento migliore per rilasciare questa sua gemma, sottolineando un messaggio di comunità e solidarietà nei confronti dei gruppi LGTBQ+ e degli afro-americani (una settimana esatta dopo le celebrazioni del Juneteenth).
Tyler è uno dei modelli più seguiti nella comunità LGBTQ+, non solo perché ha uno stile contradditorio e peculiare, ma anche perché’ è molto diretto con le sue parole. Non porta con sé alcuna aura da diva, pur avendo vinto un Grammy nel 2020 per il suo sesto album “Igor” (con il quale l’artista avrebbe fatto coming out mostrando cenni di bisessualità e gender fluidity). Ciò nonostante, Tyler si mostra più che presente ai suoi fans e con questo album si rende ancora più trasparente e politicamente consapevole (“woke”, in inglese).
Tyler è un trendsetter nel campo della moda e nell’industria televisiva, con una fan base ben curata che si può descrivere in pochi aggettivi: sociali asociali, creativi, filosofi. Chiunque si trovi al di fuori degli schemi convenzionali della società si presenta come ottimo candidato per apprezzare la personalità di Tyler.
Se siete alla ricerca di un nuovo sound, “Call me if you get lost” può aprirvi un mondo di personalità e gusti che riflettono bene piccoli grandi spaccati di società che gli Stati Uniti presentano al mondo. A tutti quelli che si sentono persi e non rappresentati: provate a chiamare Tyler.