Domenica 13 Dicembre 2020, ore 20 Roma ore 2 PM New York, sulla piattaforma Americana Groupmuse verrà trasmesso in prima mondiale il film concerto “La Voix Humaine” diretto e interpretato da Natalia Pavlova, che debutta come regista. Il film concerto è stato girato durante il primo lungo lockdown della Pandemia, con il pianista Igor Stepanitch che suonava in diretta da Mosca, il sound engineer il Maestro Venus Rey Jr. che gestiva il suono da New Mexico e la cantante e regista che girava e cantava a Roma, questa è la recensione che ha fatto il Maestro e critico Marcello Lippi che lo ha visto in anteprima per la Voce di New York
Questa produzione home-made de “La voix humaine” (la voce umana) di Francis Poulenc, è innanzitutto un grido ed un’affermazione: nulla mai potrà spegnere il talento, che può essere mortificato da eventi catastrofici come l’attuale pandemia, alla quale la produzione suddetta fa esplicito riferimento, da governi insensibili, guerre e crisi economiche mondiali, ma trova sempre il modo di riemergere potente e di non lasciarsi soffocare.
In questo filmato, coraggiosamente realizzato durante il primo lockdown della primavera 2020 nello spazio angusto di una casa, con gli oggetti di una vita normale che normale non è più, e, come unico sfogo visivo onirico, la terrazza del palazzo, c’è tanto talento creativo e realizzativo, a partire dal concepimento dell’idea, fino alla sua efficacissima realizzazione.
L’opera di Poulenc è la trasposizione in musica di un celebre monologo di Jean Cocteau che già allora, nel 1958, faceva tremare i polsi alle celeberrime attrici che ci si misuravano ed ha conservato questa dimensione di pezzo di bravura attoriale e musicale ai limiti della capacità dell’interprete, chiamata ad avere una concentrazione totale sul personaggio per un tempo tra i 40 e i 50 minuti, sola sulla scena, riempiendo i silenzi dei momenti nei quali la parola passa all’amante che l’ha abbandonata, esprimendo tutta una gamma di emozioni e di stati d’animo contrastanti, con cambi d’umore e di voce repentini: una vera madness-scene in monologo che ebbe in Berthe Bovy la sua interprete per eccellenza sulle scene teatrali.
Molto differente da quello che pensava Cocteau, ma ugualmente magica, fu la donna (non ha un nome, viene indicata nell’opera come Lei) ricreata da Anna Magnani, che calò il personaggio nella propria sensibilità e maestria, trasformandosi nel film di Rossellini in una belva ferita assai lontana dall’ambience parigina.
Ma proprio con la musica di Poulenc (amico di Cocteau) la pièces trovò l’apogeo espressivo, perché la voce della protagonista aveva a disposizione anche tutte le infinite colorazioni del canto (della voce umana, appunto). Ecco allora che l’intenzione iniziale dell’ideatore del progetto Cocteau-Poulenc (tra l’altro amici nella vita), cioè Hervé Dugardin, rappresentante della casa editrice Ricordi in Francia, fu quella di affidare l’opera ad una grande interprete che fosse anche un grande nome delle scene: Maria Callas.
A questo episodio fa riferimento la produzione filmografica in oggetto, che dichiara nei titoli che l’opera fu composta per Maria Callas e a lei viene dedicata. In realtà Poulenc non accettò la Callas come interprete, proprio per il suo grande nome ed il suo divismo e pretese ed ottenne quella che ne fu la prima leggendaria interprete, Denise Duval che, come voleva Poulenc, ben lungi dall’interpretazione da pantera ferita della Magnani, doveva essere una giovane donna bellissima, emaciata, sfiorita, già sconfitta sin dalla prima nota, fragile e disposta a chiedere persino perdono all’amante che la sta tradendo, una donna insomma già predisposta ad un suicidio che si suppone solamente, dato il finale “aperto” dell’opera.
Natalia Pavlova, che è sicuramente una bellissima donna, come voleva Poulenc, si rivela un’interprete meravigliosa, degna delle intenzioni dell’autore: la fissità dello sguardo, la capacità di gestire la narrazione nei momenti attivi ed in quelli passivi, la costrizione in un ambiente ristretto, angosciante, nel quale la protagonista non fa un solo gesto fuori posto o al di fuori di un’essenzialità estrema, risolvendo la recitazione perfettamente con viso e occhi, il gioco con le altre “se stessa” che prendono vita ovunque, sullo schermo da proiezione, sullo schermo del computer, nello specchio in un gioco di riflessione, e che sono all’aperto, cioè in libertà da quell’orribile prigionia di un amore infranto e finito, colto nel momento della rottura; tutte queste situazioni sono gestite da attrice talentuosissima.
I suoi occhi scavano dentro l’anima dello spettatore, dopo i primi istanti di adattamento al contesto: sono occhi dolenti e pieni di un’intensità sovrumana, non lasciano mai la telecamera, chiedendo intensamente un soccorso, un aiuto allo spettatore del suo dramma, non si sa quanto reale.
La regista e interprete, infatti, esclude la presenza dell’oggetto più scontato della narrazione: il telefono. “Lei” non è mai al telefono, del quale compare, sin dalla prima scena, il filo che nel finale s’attorciglierà intorno al suo collo.
La narrazione può dunque essere realistica o dettata da uno stato d’alterazione, vera o sognata e ben accettiamo l’inserto in cui “Lei” danza sulla terrazza, sognando di essere libera, con il vento che le scompiglia i capelli, sulle note di una canzone francese estranea all’opera.
Il taglio delle riprese, affidate ad un pittore, scrittore ed artista completo come David Colantoni, che quanto a talento non è senz’altro inferiore alla protagonista, denota una ricerca simbolica profonda, sempre leggibile nei suoi tratti essenziali, mai avulsa dalla pièce originale.
La gestualità della cantante è ricercatissima e vera, anche quando una metà del suo corpo diventa, con un intelligentissimo gioco dei costumi, parte del corpo dell’amante, in un estremo tentativo di riunificazione delle due anime.
Vocalmente Natalia Pavlova non teme il confronto con le grandi interpreti del passato (Olivero, Zeani, Scotto e più recentemente Antonacci) e non le imita mai: fa un suo personaggio, assai vicino all’idea di donna fragile e vinta che desiderava Poulenc.
Un po’ meccanica nelle prime frasi, un po’ frivole, che contraddistinguono il dialogo, la voce si fa poi duttile nei legati dei pochi cantabili, nella essenzialità del declamato, nella sicurezza degli acuti e nell’adesione totale alo stato d’animo del personaggio.
Tra le presenze che accompagnano il suo monologo, oltre alle varie “se stessa” di cui si è detto, che spesso vengono proiettate sul suo corpo, quasi entrassero in lei, ha una grande importanza la sua ombra, con la quale interagisce e che diventa, grazie all’intelligente gioco di luci, un presagio di morte, se non la morte stessa.
Molto precisa musicalmente, Natalia Pavlova non perde la concentrazione nemmeno per un istante, con quegli occhi che, in primo piano, così vicini allo spettatore, commuovono profondamente e straziano l’anima.
Solo le grandi attrici sanno essere così espressive in tanto minimalismo: praticamente il suo viso racconta già tutto anche a chi non comprendesse la lingua francese. Il prodotto finale, la proiezione filmografica, è assolutamente meritevole di essere vissuta, non solo guardata ed ascoltata, perché non permette alcuna presenza passiva allo spettatore, coinvolto emotivamente fino al pianto.
E’ un’esperienza da non perdere e nel contempo un segnale forte a coloro che questi talenti vorrebbero fossero chiusi e in silenzio.
Presto per dire se l’opera potrà trovare una vita simile a quella dei cristiani nelle catacombe all’epoca delle persecuzioni, sfruttando la risorsa del web, ma assolutamente da lodare l’impeto con cui questo immenso lavoro è stato realizzato in pieno lockdown.