La scrittura di un disco è un’estemporanea di esperienze di vita accumulate nel tempo, ricercate nella memoria che si macchia d’inchiostro su fogli di carta. Entrare nel mondo introspettivo di un musicista non è mai facile. Si può solo interpretare la musica filtrata su nastro magnetico; un momento di vita cristallizzato in un compact disc che gira vertiginosamente sulla piastra di uno stereo e che si consuma tra i profumi e gli odori delle case. Nulla più. Un disco è sempre figlio del suo tempo, del periodo storico in cui viene concepito e inciso, ma soprattutto di una storia estremamente intima e personale.
Mario Mariani è un musicista pesarese, che si è distinto nel panorama internazionale per il suo stile imprevedibile, sciamanico, e che si è avvalso di tecniche estese al pianoforte. Con le sue performance è riuscito a conquistare i più importanti palchi nazionali ed internazionali. The Rossini Variations è il suo quarto album per pianoforte. Una rivisitazione, anzi, una riscrittura dei più celebri brani di Gioacchino Rossini, interpretati in modo creativo, ironico ma mai eccessivo. Il disco è uscito in occasione del 150ennale della scomparsa di Rossini (1868-2018), prodotto da Intemporanea Records e distribuito da Artist First e si compone di nove tra i più famosi brani e overture del Maestro pesarese.
“La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia. Chi penetra il senso della mia musica potrà liberarsi dalle miserie in cui si trascinano gli altri uomini”, asseriva Ludwig Van Beethoven. Per conoscere a fondo il lavoro di Mario Mariani e poterlo comprendere nella sua interezza, è doveroso fare un passo indietro di 150 anni, rispolverare i vecchi testi e rileggere la storia di Gioacchino Rossini. All’anagrafe Giovacchino Antonio Rossini, nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792. Il padre Giuseppe, detto Vivazza, era un soprano e suonava la tromba nella banda delle orchestre locali. La madre, Anna Guidarini, era invece una cantante discretamente brava. Il suo approccio alla musica, ma soprattutto alla composizione, fu precoce. Studiò Clavicembalo e canto a Lugo, successivamente imparò a suonare la viola. La sua crescita musicale cresceva in parallelo con il fanatismo del padre per la Rivoluzione Francese. Idee politiche che indussero la famiglia Rossini a continui spostamenti di città in città per sfuggire alla cattura a seguito della restaurazione del governo pontificio. Il piccolo Gioacchino trascorse gran parte dell’infanzia con la nonna. Si iscrisse presso il liceo musicale di Bologna, dove studiò pianoforte, violoncello e contrappunto. Sin da giovane si dedicò alla composizione delle prime opere. Prima che compisse vent’anni, le sue opere venivano già rappresentate nei più importanti teatri d’Italia e il numero di composizioni da lui realizzate cresceva a dismisura.
Il suo stile unico e brillante, racchiude dinamicità e frenesia che segnano un netto contrasto con lo stile tipico del Settecento. Uno stile in divenire, fantasioso, a tratti surreale, quasi folle, ma perfettamente contenuto in una struttura compositiva bilanciata che si perfezionava con l’apertura di un sipario e l’applauso fragoroso del pubblico. Mario Mariani, nel suo disco The Rossini Variations, ha preso in mano le più importanti opere del repertorio rossiniano; destrutturando per la prima volta quei componimenti dai fasti settecenteschi, sgrassando da essi la pomposità e mettendoli a nudo con il solo pianoforte.
Il disco di Mariani si apre con L’Italiana in Algeri: Ouverture (Arr. For Piano), un’opera lirica in due atti, scritta nel 1871, quando Rossini aveva appena venti anni. L’opera appartiene al genere buffo/semiserio, suddivisa in due atti e ha un’overture propria. Fu subito un enorme successo in tutti i teatri italiani. Rossini avrebbe composto l’opera in pochi giorni (alcuni sostengono 27 giorni, altri addirittura 18) ispirandosi ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1805: il rapimento di Antonietta Frapolli, una signora milanese portana nell’harem del Bey di Algeri Mustafà-ibn-Ibrahim e poi tornata in Italia. Il libretto usato da Gioacchino Rossini presentava dei cambiamenti apportati da Gaetano Rossi.
“Mi lagnerò tacendo della mia sorte amara, ah! Ma ch’io non t’ami, o cara, non lo sperar da me. Crudel, in che t’offesi farmi penar così? Crudel! Non lo sperar da me”. Sono i versi di Pietro Metastasio, musicati da Rossini per Mi lagnerò tacendo, composti a seguito della sua perentoria decisione di non scrivere più musica. La versione di Mariani spicca di originalità, con una sola nota che si sostiene al piano e sorregge un brano dalla storia lunga e complessa.
Rossini aveva circa trent’anni e giunto a Vienna, diventa ben presto il compositore più importante di quel momento. Olympe Pélissier era modella e cortigiana, divenuta in seguito la seconda moglie di Gioacchino Rossini. A seguito di un’epidemia di colera si trasferirono a Bologna, ove la Pélissier conobbe Isabella Colbran, la prima moglie di Rossini. Le due donne andavano stranamente d’accordo, c’era molta sintonia tra le due. Olympe, però, non si trovava bene a Bologna, si sentiva oppressa dalla città e chiedeva insistentemente al suo uomo un cambiamento. La sua richiesta fu accolta. Vissero per un periodo a Milano, anche se la posizione della compagna risultava discutibile. Isabella, prima moglie di Rossini, morì nel 1845. Esattamente undici mesi dopo i due si sposarono. Dopo una breve fase fiorentina, si ritirarono in un lussuoso appartamento nelle campagne parigine; un salotto frequentato da personalità importanti come Delacroix, Verdi e Liszt. Proprio in quel contesto così ricco di stimoli, carico di impulsi artistici e culturali che Rossini riprese a scrivere e produrre. Proprio in quella fucina di input riscrisse “Mi lagnerò tacendo”.
La Gazza Ladra: Ouverture (Arr. For Piano) è la terza traccia del disco. Una rullata di tamburo introduce il brano che si apre con l’inconfondibile Pianoforte energico, eclettico e dinamico di Mariani. Tocchi di primavera all’orizzonte, leggiadri e variopinti, si mostrano timidi alla luce del sole dinnanzi alla minacciosa presenza di una natura in continuo mutamento. Un rullante scandisce spazio e tempo, riportando a galla polaroid sporche di polvere che si abbandonano tra le foglie di un ricordo ormai lontano. L’opera rossiniana è suddivisa in due atti su libretto di Giovanni Gherardini, presentata per la prima volta al grande pubblico il 31 maggio 1817 al Teatro alla Scala di Milano, nel corso della stagione primaverile.
La quarta traccia del disco è Petite messe solennelle (Variations, Arr. For Piano). Mariani ha destrutturato l’opera sacra rossiniana, alleggerendola dal peso della sua solennità e della sua storia. Allegra, frizzante, viene inframmezzata da parti lente che fanno ricordare all’ascoltatore attento lo spirito autentico dell’opera, sorprendendolo con una variazione della Famiglia Addams con tanto di schiocco di dita! L’opera fu composta da Rossini nel 1863, si tratta di un’opera sacra ed è dedicata a Louise Pillet-Will. La scrisse mentre si trovava a Passy, Parigi. Per l’esecuzione, diceva, bastavano dodici cantori di tre sessi: uomini, donne e castrati. “Cioè otto per il coro, quattro per il solo, in totale di dodici cherubini: Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena”. L’Opera fu eseguita per la prima volta il 14 marzo 1864, all’interno della cappella di famiglia del banchiere Pillet-Will. Terminata la composizione, il musicista –su richiesta del committente- diede copia del manoscritto per coro, due pianoforte, solista e armonium. Recentemente sono stati rintracciati gli eredi Pillet Wills ed è stato possibile recuperare la versione originale del manoscritto.
Figaro’s dream (Variations on Il barbiere di Siviglia, Act 1 Scene 2: Largo al factotum) ci riporta improvvisamente nei lunghi salotti impagliati di stucchi e merletti, con tavolate ricche e sedie in pregiato tessuto. Ci riporta alla mente i quadri di Pierre Allais, o Jean-Baptiste Audebert e la sua maniacale cura nei dettagli e nel raffigurare animali. Mariani riesce ad incastrare all’interno del componimento rossiniano un omaggio al Maestro Beethoven, citando la famosa 5° Sinfonia. La prima volta che “Il barbiere di Siviglia” di Rossini andò in scena vi furono numerose proteste da parte del pubblico, essendoci già un’opera lirica di Giuseppe Paisiello con il titolo “il barbiere di Siviglia, ovvero La Precauzione inutile, con libretto di Giuseppe Petrosellini. I sostenitori di Paisiello cercarono in tutti i modi di sabotare la prima. Il giorno dopo, però, il successo fu clamoroso!
Guillaume Tell: Ouverture (Arr. For Piano) è il tredicesimo componimento operistico di Rossellini, presentato per la prima volta il 3 agosto 1829 al Théàtre de Opéra di Parigi. Originariamente l’Opera era composta di quattro atti e durava cinque ore. Calisto Bassi la tradusse in italiano, intitolandola Guglielmo Tell. Fu presentata per la prima volta il 17 settembre 1831 a Lucca, ridotta in tre atti. Qui Mariani l’ha ridotta a 12.57, mantenendo intatto il suo prestigio.
La settima traccia del disco è Duello buffo di due gatti (Variations on Duetto buffo di due gatti, Arr. For Piano), il cui miagolio è stato sostituito da Mariani con una chitarra slide, dal sapore country, quasi noise, che si sovrappone al delicatissimo pianoforte che si muove lento. Suoni onomatopeici che sostituiscono le parole, gatti che miagolano e che mettono a fuoco un’immagine gioiosa, a tratti dolorosa ma pur sempre leggera rispetto ad altri suoi componimenti rossiniani. Il brano è sempre stato attribuito a Rossini, in realtà si tratta di una sequenza che riprende alcuni passaggi dell’Otello. Robert Lucas de Pearsall potrebbe essere l’autore di questa composizione di brani che nell’ordine riprendono la “Katte-Cavitte” di Christoph Ernst Friedrich Weyse, un estratto del secondo atto dell’Otello di Rossini e un estratto di “Ah, come mai non senti”.
Rossiniana ci catapulta indietro nel tempo, con il suo ritmo incalzante e raffinato, pregiato e colto.
Il disco si chiude con Les Soirées musicales: 8. La danza – Tarantella napoletana (Arr. For Piano) con un’introduzione sperimentale, rumorosa e contemporanea, che si discosta nettamente dalla struttura del brano ma si amalgama perfettamente con l’insieme. Si mantiene fedele all’originale, rispettando quel sapore di tradizione che viene arricchito da tamburi, percussioni che arricchiscono ulteriormente lo spirito folkloristico del brano. La composizione è nata dopo il successo del Guglielmo Tell. Furono dodici le canzoni per pianoforte e voce create da Rossini tra il 1830 e il 1835. Dopo il ritorno a Parigi, abbandonò le composizioni teatrali per rifugiarsi in una dimensione più intimista con il fine di curare i suoi problemi di esaurimento nervoso. Un brano talmente importante da essere stato interpretato dai più grandi tenori italiani: nel 1912, Enrico Caruso ne incide una sua versione; nel 1986, Katia Ricciarelli esegue il brano a Mosca, nel 1989, Luciano Pavarotti lo canta in Spagna.
Noi abbiamo intervistato il Maestro Mario Mariani, che ci ha raccontato il suo album The Rossini Variations.
Come mai ha voluto reinterpretare e riscrivere Rossini?
“Un insieme di eventi mi ha portato, dopo il precedente album The Soundtrack Variations, ispirato al cinema, a concepire questo lavoro monografico dedicato al mio illustre concittadino tra cui il restauro del mio amato pianoforte Steinway “O” del 1906, sul quale ho per l’appunto inciso l’album. Dopo anni di performance e sperimentazioni di ogni genere e tornandomi dunque il piacere di suonare musica classica, Rossini è venuto prepotentemente alla mia personale ribalta”.
Lei è un Maestro, musicista professionista. Nei suoi studi si è certamente imbattuto nella vita musicale e personale di tanti suoi colleghi. Come mai ha scelto proprio Rossini e non altri?
“La sua musica è sempre stata presente nella mia vita, calpestando il suolo della stessa città, studiando nell’omonimo Conservatorio, che Rossini ha fortemente voluto, donando alla città di Pesaro una larga parte del suo cospicuo patrimonio. Di Rossini mi ha ispirato, a parte la vicinanza geografica, la sua storia così singolare. Lui, il più famoso compositore della sua epoca, che si ritira dalle scene in piena carriera, all’età di 37 anni. Come non pensare ad un altro grande tormentato, il pianista Glenn Gould, ritiratosi dalla vita concertistica all’età di 32 anni, altro mio grande mito”.
Rossini ha vissuto un’infanzia fatta di continui spostamenti a causa delle idee politiche del padre. Crede che oggi, nel cuore degli italiani, sia rimasto qualcosa di quello spirito che infuocava Giuseppe Rossini, detto il Vivazza?
“Penso ben poco. Già Vivazza ai tempi era probabilmente un caso “particolare” nella sua sonnolenta Pesaro, che ad oggi non è poi cosi cambiata. A livello generale il discorso è molto complesso e probabilmente non c’è una risposta univoca. Oggi la gente sembra infuocarsi, a parole e a colpi di like o di commenti sui social network, per i più disparati motivi, per la maggior parte inutili e senza conseguenze, se non quella di incrementare la forza del sistema che credono di combattere”.
Riscontra elementi comuni tra il periodo storico vissuto da Rossini e quello che stiamo vivendo attualmente in Italia?
“Direi veramente pochi. Rossini non voleva più vivere il suo tempo in cui non si riconosceva più e questa è stata sicuramente una delle cause del suo ritiro sia dalle scene musicali che dalla vita pubblica, se non protetta dalla sicurezza della sua grande casa. Il 1800 è stato un secolo pieno di eventi importanti e risolutivi. Si è aperto con l’ascesa e la caduta di Napoleone, proseguendo con il tentativo di restaurazione del Congresso di Vienna per arrivare ai concitati anni del Risorgimento e l’Unità di Italia. Le fazioni e di conseguenza i nemici erano chiari, visibili, nominabili. E oggi, nel nostro periodo “liquido” dove si annida il nemico? Nella globalizzazione? Nella pirateria finanziaria? Nei governi più o meno occulti? Nei social network? Si è avverata in pieno la triste profezia di Orwell: agire sulla storia e la memoria, minando l’oggettività dei fatti e privilegiare la menzogna alla verità. Se è così difficile capire cosa ci sta accadando nell’adiacente, figuriamoci cambiare il mondo…”.
Come è avvenuta la selezione dei brani e secondo quale criterio li ha scelti?
“Ho scelto principalmente le musiche più conosciute come appunto le Overtures dalla Gazza Ladra, dall’Italiana in Algeri e dal Gugliemo Tell, la Tarantella napoletana, in modo che il pubblico potesse concentrarsi maggiormente su variazioni su ciò che si presume conosca già molto bene”.
Ha selezionato molti brani che sono stati composti da Rossini quando aveva circa trent’anni. E’ stata una scelta mirata, casuale o c’è una ragione ben precisa?
“I brani più conosciuti fanno capo al periodo dell’intensa attività giovanile. Comunque figurano anche brani della maturità come la Petite Messe Solennelle, il suo ultimo grande capolavoro oltre a brani più “musicologici” come il Mi lagnerò tacendo sul cui testo di Metastasio Rossini compose decine di versioni musicali diverse di cui ho scelto quella per me più emblematica con la melodia di una sola nota, che mi permette di inserire variazioni e citazioni che vanno da Jobim a Ligeti, a Scelsi”.
L’Italiana in Algeri è un’opera lirica ispirata ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1805: il rapimento di Antonietta Frapolli, una signora milanese portata nell’harem del Bey di Algeri Mustafà-ibn-Ibrahim e poi tornata in Italia. La scelta di collocarlo in cima in scaletta è casuale o vi era l’intento di conferire un senso di contemporaneità al disco anche alla luce delle notizie di cronaca che hanno caratterizzato l’Italia?
“Onestamente no: la scelta è stata meramente musicale volendo iniziare l’album già con un colpo di scena. Abbiamo infatti i pizzicati che portano l’ascoltatore in uno stato di attesa per poi irrompere in un fortissimo che lo fa letteralmente saltare dalla sedia. E comunque il senso che ci arriva da questa opera buffa che dopo il Don Giovanni di Mozart è la mia preferita è la scaltrezza della donna italica in barba al sultano islamico (“le femmine d’Italia son disinvolte e scaltre”), quindi direi ben lontano dalla cronaca odierna”.
Come nasce Rossiniana?
“Rossiniana è il mio omaggio al compositore, cercando per un attimo di immedesimarmi in lui e lasciare fluire ciò che di “rossiniano” si è sedimentato in me in tutti questi anni e in particolare nel periodo passato a concepire e realizzare le “Rossini Variations”. Non è una composizione nel senso classico del termine – con carta e penna per intenderci – che non pratico più da tanti anni, ma piuttosto una “composizione istantanea transpersonale” in cui registro in presa diretta le idee musicali catturando la “scintilla creativa” e con un minimo editing il brano è pronto. Questo del fluire musicale è un concetto a cui tengo molto e pratico nei miei workshop di creatività musicale e improvvisazione dove mostro a pianisti, generalmente di estrazione classica, di che cosa sono essi stessi capaci. Quando per la prima volta si trovano a suonare senza spartito e fare della musica che è la loro musica è sempre un momento magico e non smettono più di ringraziarmi!”.
Cosa ha significato per lei destrutturare Rossini, introducendo per esempio i tamburi ne La Gazza Ladra, le chitarre ne il Duetto buffo di due gatti, destrutturare la sacralità di Petite messe solennelle con l’intermezzo de La Famiglia Addams o la citazione della 5° Sinfonia di Beethoven ne Il barbiere di Siviglia?
“La Gazza Ladra si apre con il rullo di tamburo, ad evocare lo spettro del patibolo per la povera servetta accusata di aver rubato le posate al padrone, ed è peraltro ispirata ad una storia vera, quindi mi è piaciuto riportare un po’ di “verismo musicale” che dal vivo fa anche il suo effetto! Il rullo è ottenuto con il mio consueto “frullino” questa volta usato sulla cordiera del rullante. Le tecniche estese, molte delle quali di mia invenzione, mi consentono di trasformare notevolmente il suono del pianoforte imitando il suono di altri strumenti ed è tanto una necessità sonora che un gesto, perfettamente chiaro al pubblico. Le citazioni sonore, da me utilizzate in tante altre mie composizioni sono come una sorta di “remix” che mi permettono di avvicinare mondi e generi che normalmente non si incontrerebbero, quasi a sottolineare l’unicità del flusso musicale, creando felici cortocircuiti mentali e mettendo in pratica la mia visione della vita in cui mi piace riconoscermi: un incrocio tra un uomo rinascimentale e un hacker”.
Progetti futuri?
“Il “Rossini Variations tour” dopo aver toccato diverse nazioni europee proseguirà con date in Centro America e Asia e ci sono vari progetti che stanno bussando alla porta di cui ovviamente al momento non posso dire nulla e prima o poi diventeranno album. La musica sarà il centro, ma altre arti e discipline le ruoteranno intorno, come pianeti attorno al sistema solare. Sarà come mi auguro qualcosa di sorprendente che sorprenda me prima di tutto, come è sempre stato, e porti al pubblico la magia della musica, quella vera, che si crea e si rinnova ad ogni istante e che fa così bene al nostro essere”.