Italiano, bianco, cresciuto nel Sud Italia, in provincia di Brindisi, sfida a colpi di beat e metriche i veri rapper newyorchesi. Un sogno non da poco quello di Mimmo Francesco Attanasi, rapper italiano non ancora trentenne che ha trovato la risposta alla sua vita in un letto di ospedale. Fu allora, quasi in fin di vita, che un sogno rivelatorio gli indicò la strada del rap.
Convertitosi sulla via di questo genere che nasce soprattutto nelle strade di NY, Chicago e LA, Mimmo Francesco, in arte Jay-Carter music, vola a New York per imparare la vita da rapper. Quello vero.
Una volta ha anche rischiato di morire ma oggi, dopo aver vinto nel Bronx una competizione free style con trenta barre in due minuti, è entrato nel circolo dei rapper di New York. Tre singoli all’attivo, di cui due lanciati dal canale musicale Vevo, Jay-Carter non gioca solo a fare il rapper indossando collane, diamanti, orologi d’oro ma prova a fare sul serio.
Per lui questo genere musicale è affermazione della sua identità, riscatto. I suoi versi nascono dalla vita: sofferenze, la gelosia di amici e colleghi, la vita nella provincia italiana. Ma soprattutto NY, la sua New York, “dove si sente a casa” dice lui e dove oggi la comunità di rapper lo chiama fratello.
Di questo mondo Jay-Carter dice: “La violenza è una componente reale, non si può negare ma il rap porta avanti anche valori come la fratellanza, solidarietà”. Con il sogno di un album in testa, Jay ci porta dentro un mondo che ha disegnato parte dell’iconografia musicale della Grande Mela.
La tua passione per il rap nasce in un letto di ospedale dove sei rimasto per tre mesi a causa di alcune cure urgenti e della patologia di cui da anni sei affetto Cosa è successo in quel sogno?
“Ho avuto come un’illuminazione. Ho sognato di essere in sala di registrazione e di incidere canzoni rap. Ho interpretato quel sogno come un messaggio rivelatorio: era il rap la mia strada. Prima ascoltavo molta musica rap e lavoravo nel settore informatico, sentivo che mi mancava qualcosa. Dopo quel sogno e tre mesi di degenza sono partito per New York, mi sono messo a studiare il rap americano, ho cominciato a mettere giù rime. Sono partito da zero. Sono arrivato a NY e non conoscevo nessuno, non parlavo l’inglese. E’ stata durissima e lo è spesso ancora ma il mio sogno è più forte di qualsiasi ostacolo”.
Il rap americano ci ha sempre consegnato un’iconografia precisa: street gang, violenza, belle ragazze, collane d’oro, soldi, macchine e champagne sullo sfondo di metropoli come New York e Los Angeles. Cosa ci fa un ragazzo italiano bianco della provincia del Sud Italia, che non parla inglese in mezzo ai black rapper di NY?
“E’ davvero una bella sfida ma anche molto difficile. All’inizio ho anche rischiato di essere vittima di una faida tra gang all’uscita di una discoteca. Tutto è molto complicato nel mondo del rap di NY e per questo è necessario conoscere a fondo la loro cultura, vedere come si muovono, cosa mangiano, dove vanno, per capire come nascono i loro testi che affondano nella vita quotidiana di quartieri del Bronx, Brooklyn, Harlem. Storie di droga, soldi, donne ma non solo. Il mondo del rap gira intorno al rispetto, alla fratellanza, alla solidarietà, la famiglia. La cosa più difficile è proprio guadagnarsi quel rispetto e fiducia. Per me all’inizio è stato difficile ma oggi posso dire che mi sento accolto nella comunità di alcuni rapper newyorchesi”.

Cosa li ha convinti?
“Il fatto di aver vinto una free-style competition nel Bronx. Sono rimasti molto stupiti che un ragazzo italiano bianco, cresciuto in Italia, sia riuscito a vincere su un rapper di NY con 30 barre in due minuti. Da quel momento tutto è cambiato e oggi mi sento parte di loro. Mi hanno accolto, mi trattano come un fratello, faccio parte della loro vita”.
Resta il fatto che la violenza è purtroppo una componente fondamentale di questa cultura. Come è la vita quotidiana di un rapper a NY?
“Si va nei club, si ordina champagne, ci si circonda di ballerine, ci si veste sfoggiando diamanti, orologi d’oro. Si fuma, si guarda la TV, si registra, si fanno delle gare di free style. Molti criticano l’ostentazione di collane, diamanti ma in realtà c’è una motivazione meno superficiale di quanto si possa pensare. La loro ostentazione è simbolo di riscatto. Molti hanno sofferto fame e violenza e il fatto di potersi permettere una collana d’oro o diamanti, andare in giro con belle ragazze, diventa un mezzo per poter dire “ ce l’ho fatta”. La violenza è una componente reale, non si può negare, ma rimane nella fase iniziale quando i rapper competono per guadagnarsi la scena ed entrare nel circolo giusto. Una volta entrati nel gruppo di rapper affermati diventi uno di loro, un fratello e ti sei guadagnato il rispetto”.

I tuoi due singoli “My Pain Turned Me Into A Monster Success” e ” They Dont
Want To See Me Rich ” parlano di quanto in Italia gli amici, i colleghi siano invidiosi del tuo lavoro e non supportano la tua musica. Anche per te il rap è strumento di riscatto?
“Il rap mi consente di esprimermi al meglio come non potrei fare in una normale conversazione. E’ libertà, riscatto, passione. E’ affermazione della mia identità”.
Come vedi il rap italiano che oggi sta crescendo in popolarità diventando una forma di musica molto seguita tra i ragazzi e anche per loro uno strumento di riscatto.
“Non lo seguo moltissimo perché per me il rap che seguo è quello americano. Il rap italiano nasce da contesti diversi, è un rap perbene, politicamente corretto perché non vive le dinamiche dei rapper americani. Il rap statunitense è autentico, vero, le metriche e i beat sono molto intensi. Sono però contento di vedere che anche in Italia sta diventando molto popolare e che molti ragazzi si stanno avvicinando ma non ha nulla a che vedere con la musica nata nelle strade di NY. I miei riferimenti sono Souljaboy, Puff Daddy, Meek Mill, Rick Ross, DC Young Fly”.
A proposito, quali sono i luoghi dove nasce il rap a NY e dove si vive l’atmosfera del free-style?
“Franklin Avenue a Brooklyn, per me è palestra di vita e di musica, il Bronx, le strade di Harlem. Sono questi i quartieri e le strade dove nasce il rap”.
I tuoi singoli sono stati lanciati dal canale musicale VEVO, con cui hai firmato un contratto ma resta ancora il sogno di un album.
“Sto lavorando a nuovi progetti, a nuovi singoli che poi faranno parte di un album. Per me ora è importante trovare un produttore che creda nella mia musica e trasferirmi a New York”.
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