Il termine emo nell’ultimo decennio ha assunto dei connotati quasi dispregiativi nell’immaginario musicale, a causa delle sue degenerazioni mainstream adolescenziali e modaiole che ne hanno snaturato l’essenza. I Pity Sex, che hanno pubblicato il secondo LP, White Hot Moon, lo scorso 29 aprile, non si vergognano di essere definiti emo. Non si definiscono una band emo, ma propongono un revival rock che riesce ancora a far sognare i nostalgici della scuola emo riportandoci agli albori del termine, ma con spunti nuovi rispetto al disco d’esordio del 2013.
Quando nel mezzo degli anni Novanta emergeva un fenomeno musicale e culturale che nasceva come l’urlo di una generazione di giovani bianchi amanti delle chitarre e alienati dalla noia e dal vuoto esistenziale delle realtà periferiche del Midwest, città come Chicago, Madison, Kansas City e Cleveland diventarono gli epicentri di un movimento underground, emulato anche oltreoceano da giovani discepoli delle periferie più benestanti e culturalmente desolate del pianeta.
Musicalmente si seguiva l’eredita dell’indie rock degli albori, della West Coast e di etichette hardcore diventate leggenda come la Dischord Records di Washington DC, inserendo nelle melodie un approccio molto spontaneo, viscerale ed emozionale. Si pensi agli American Football e i Braid, dai sobborghi dell’Illinois, ai The Promise Ring, da Milwaukee, Wisconsin o ai Cursive, dal Nebraska. Dal Midwest al resto degli Stati Uniti e del mondo la generazione emo si diffonde grazie a nomi quali i texani Mineral, Sunny Day Real Estate e i Pedro The Lion da Seattle e i Texas Is The Reason da New York. Fino alle tendenze ancora più alternative rock e quasi pop che deriveranno da maestri del genere come The Get Up Kids, dal Kansas, e i Jimmy Eat World.
La stessa attitudine sembra essere viva e vegeta nel cuore di questi quattro ragazzi del Michigan che non si vergognano di usare la parola emo, né si vergognano di risultare pop, nel senso più genuino e innocuo del termine. Come gli omologhi colleghi del Midwest, Empire! Empire! I Was A Lonely Estate, Into Over It, Joie De Vivre, hanno un nome che è molto a tema con lo spirito di questa tradizione. Pity Sex significa nell’uso comune “sesso fatto per compassione” e tutti i testi del quartetto richiamano quell’immaginario di vuoto esistenziale e crisi di valori che identifica l’ambiente emo. I quattro vengono da Ann Arbor, antica città di centomila abitanti del Michigan a un’oretta di macchina a Ovest di Detroit e un centinaio di miglia a nord rispetto all’Ohio. Nota per aver cercato di legalizzare nel 1974 l’uso di marijuana, musicalmente non ha mai donato alla scena americana dei fenomeni particolarmente degni di nota. Tante band che si rifanno alla musica garage di Detroit e al punk-rock figlio del maestro Iggy Pop. Per il resto musica noise ed elettronica come in molte aree bianche e culturalmente avanzate del Paese.
Sean St. Charles, Brennan Greaves, Britty Drake e Brandan Pierce sono, con fortune alterne, studenti della University of Michigan. Come ogni gruppo di amici e musicisti insoddisfatti nasce insieme e dà vita a tutte le tracce con lo spirito collaborativo tipico delle sale prove rimediate nei garage. Anche i testi sono scritti a quattro mani da Sean e Britty. Suonano emo, ma si rifanno a giganti dell’indie rock a stelle e strisce come i Dinosaur Jr. e i Pixies, cui rendono tributo nella cover di Gigantic. Il primo EP, Dark World, inizia a girare nei circuiti sotterranei della critica indipendente. Basta a garantire ai quattro una firma per Run Of Cover Records, etichetta di Boston, specializzata nel revival di queste sonorità. Il primo album in studio, Feast Of Love, esce nel 2013 e diventa subito un piccolo caso discografico. Le asperità di chitarre e crescendo sono addolcite dalla rassicurante vena pop delle voci di Brennan e Britty, molto abili nello scrivere ritornelli accattivanti e intensi, di quelli che si scolpiscono subito nella mente.
Il seguito arriva dopo tre anni di tour in giro per gli States e cerca di aggiornare questa formula tipicamente indie rock, malinconica e agrodolce, inserendo elementi affini da filoni musicali europei. In White Hot Moon, i quattro rispolverano le malinconie shoegaze e twee pop delle band esplose in Inghilterra e Scozia a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Si resta sempre negli Stati Uniti con i capisaldi Dinosaur Jr. e Yo La Tengo che riecheggiano nei momenti più avvolgenti e rievocativi della raccolta. Nei momenti meno sostenuti ritmicamente, i Pity Sex cercano una via di fuga dal richiamo dell’emo e ci riescono, aspirando a diventare una delle formazioni indie rock più promettenti del Midwest. E oltre. Anche se il loro tour parte a giugno dal Midwest.
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