Dopo il documentario Senna, dedicato al pilota brasiliano di Formula Uno, morto tragicamente in un incidente sul circuito di Imola, il regista britannico di origini indiane premio BAFTA, Asif Kapadia, si cimenta con altrettanta efficacia e bravura professionale con un personaggio emblematico e suggestivo, Amy Winehouse, la cantante inglese scomparsa nel luglio 2011 all’età di 27 anni, come Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain.
Presentato al festival di Cannes e in Italia al Biografilm Festival di Bologna, Amy – The Girl behind the Name, racconta la persona dietro il personaggio, attraverso la musica e le parole di Amy, e un repertorio di video inediti ed interviste ad amici, familiari, guardie del corpo e manager.
Un’esistenza complicata quella della sei volte vincitrice del Grammy, che era riuscita persino a fare della capigliatura dall’effetto cotonato il suo marchio di fabbrica. Considerata una delle principali interpreti del cosiddetto mondo del soul bianco, a cui appartengono quegli artisti in grado di evocare la vecchia estetica rhythm & blues afroamericano in stile Motown, Amy Winehouse si è creata in pochi anni un successo internazionale con soli due album pubblicati, Franknel 2003, e Back to Black, tre anni più tardi. Una notorietà inaspettata che la stessa Amy Winehouse ha dichiarato più volte di non sopportare.
I video sono davvero tanti, molti anche privati, messi a disposizione dagli amici più intimi, forse le uniche persone ad aver conosciuto Winehouse per quello che era veramente. Le immagini vanno dalla sua infanzia, a dodici anni canta Happy Birthday con una voce vellutata che lascia presagire già un grande futuro, agli anni del successo, fino a quelli del declino. Fin da subito è evidente l’intenzione del regista di non restituire l’immagine di Amy esposta quotidianamente dalla stampa. Il Daily Mirror definì la cantante “un talento perseguitato dall'autodistruzione”. Ai fatti noti, la dipendenza dalla droga e dall’alcol, la riabilitazione, il rapporto problematico con gli uomini della sua vita, i concerti e le sessioni di registrazione interrotti, Kapadia preferisce gli aspetti inediti della vita tormentata della cantante. L’uso delle parole delle sue canzoni come sottotitoli alle immagini di alcuni momenti della sua vita si rivela un efficace espediente narrativo – che a tratti ha un che di morboso – per catapultare lo spettatore tra i demoni incontrollabili con i quali Amy si confrontava quotidianamente.
Il quadro che emerge è quello di una persona che aveva bisogno di amore più che della fama. Per Kapadia, Amy avrebbe dovuto essere protetta. Da cosa e da chi? Non ci sono dubbi. E punta il dito contro coloro che consapevoli di una vita al limite hanno continuato a ripetere, “va tutto bene, lei sta bene”. Ma sul banco degli imputati c’è spazio anche per i paparazzi che non hanno mai perso occasione di pubblicare foto imbarazzanti che ritraevano Winehouse in condizioni impresentabili. Poco hanno potuto le sue guardie del corpo, i suoi amici d'infanzia, il suo primo manager, Nick Shymansky, per salvare Amy dall’abisso. , secondo il regista, di comprendere come i tentativi di autodistruzione di Amy fossero richieste di aiuto. “Durante una premiazione Amy mi confessa che senza droga è tutto molto più noioso”, dice un’amica nel documentario.
Immediata la reazione del padre di Winehouse, Mitch, un ex tassista di Londra che tramite la stampa britannica ha fatto sapere che lui e la sua famiglia non condividono i contenuti del documentario. “Mi sono sentito male quando ho visto per la prima volta il film. Amy si sarebbe infuriata. Questo non è quello che avrebbe voluto. Io sono dipinto come un padre assente durante i suoi ultimi anni. Dà l'impressione che la famiglia non ci sia stata. Ci sono accuse specifiche mosse contro la famiglia e il management che sono infondate e squilibrate”. invece lei lo adorava: è stato lui ad introdurla alla musica ed era sempre lui che decideva se Amy aveva bisogno di andare in riabilitazione o meno.
“Non era mia intenzione offendere nessuno”, dichiara Kapadia al Telegraph. “Volevo raccontare la realtà dei fatti. Quello che stava accadendo nella vita di Amy. C’era un sacco di agitazione nella sua vita ed è per questo che le cose sono andate come tutti sappiamo”.
Il film esce il 3 luglio negli Stati Uniti e arriverà nelle sale italiane a settembre.
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