King Tuff arriva in questi giorni da Los Angeles all’Italia per una data esclusiva al Bronson di Ravenna, domenica 30 novembre, poi seguirà Julian Casablancas degli Strokes in tour nel resto dell’Europa. Torna dopo un anno, dopo che la band aveva infiammato il pubblico di Roma e del Beaches Brew Festival, la rassegna gratuita sulla spiaggia di Marina di Ravenna di fine primavera.
Il nome per chi non l’ha mai sentito prima, fa pensare all’ennesimo autoproclamato monarca del rap. L’estetica è smaccatamente hard-rock metal, grezza. Baffi e barbe da bulli anni Settanta, cappelli con la visiera, smanicati, giubbotti di jeans e tatuaggi. Roba da comparse del drama americano Sons Of Anarchy sulle gang di motociclisti. King Tuff non è niente tutto di questo o lo è solo in parte.
Tornato in queste settimane con il suo terzo LP ufficiale, Black Moon Spell, è diventato uno dei nomi di riferimento della scena garage-rock a stelle e strisce. Anche questo lavoro è stato distribuito dalla leggendaria etichetta di Seattle Sub Pop che ha contribuito non poco ad amplificare la popolarità di un progetto che ha guadagnato fama e reputazione con delle performance irresistibili e coinvolgenti, anche per i meno avvezzi al genere. Le origini di Kyle Thomas, vero nome del titolare del progetto, sono ben lontane dall’assolata California. Nato trentuno anni fa a Brattleboro, desolante periferia dell’anonimo Vermont, è esploso relativamente tardi rispetto alla media anagrafica di molti suoi colleghi del mondo indipendente. Da piccolo è un tipo molto solitario e serioso, ben lontano dal guascone rock’n’roll che smuove le platee più diffidenti e snob del pianeta.
Nell’amena villetta dei suoi, dove ha abitato fino a mezzo decennio fa, c’è addirittura un rifugio a prova di bombe, risultato delle fobie anticomuniste del nonno. Il piccolo Kyle si rifugia invece nella chitarra e nell’ascolto di tonnellate di musica rock. Non suona in giro, il Vermont non gode certamente di una reputazione particolarmente ricca dal punto di vista musicale. Così Kyle resta uno dei tanti fenomeni da bedroom autoprodotti che divide il suo tempo tra cameretta, salette di registrazione e una caffetteria, ma riesce a dare alla luce, già nel 2003, Mindblow, primo LP assolutamente autoprodotto. Parallelamente si dà al folk con il progetto Feathers che diventerà presto uno dei nomi di nicchia più seguiti del filone.
La svolta arriva nel 2006, quando entra a pieno organico nei Witch, progetto stoner capitanato dall’icona dei Dinosaur Jr., il chitarrista J Mascis che nella band si siede dietro alla batteria lasciando l’onere della chitarra proprio a Kyle. È l’amico di Mascis, Dave Sweetapple, a coinvolgerlo nei Witch, così il nome inizia a girare. Il nome inizia a circolare, così Kyle riesce a ottenere la firma con l’etichetta di culto Tee Pee Records per il secondo disco, Was Dead. La label è nota per le sue sonorità psichedeliche e hard-rock: nel suo roster ha The Brian Jonestown Massacre. E così, un po’ frettolosamente, anche per le sonorità acide, il nome di King Tuff è associato a questo genere di sonorità. Un peccato perché, dalla sua, Kyle ha un’abilità nel comporre dei brani dal potentissimo impatto melodico, molto più assimilabili al punk-rock della West Coast, rispetto alle sperimentazioni a bassa fedeltà della East Coast.
Il salto verso il successo arriva un po’ per caso, quando un fan della Burger Records, etichetta indie californiana nota per le sue sonorità garage-pop solari, segnala ai boss della label il nome di King Tuff. La Burger Records non ci pensa due volte, lo assolda e inizia a distribuire rigorosamente su musicassetta le produzioni di Kyle. La Burger sembra fatta apposta per King Tuff, tanto che Kyle andrà a vivere a Los Angeles, sempre nel 2011. Lo shop della Burger a Fullerton diventa il suo punto di riferimento, come racconta, per l’attitudine da festa in casa, tra gente che dorme ovunque sui divani e canne a profusione.
King Tuff, è pronto al grande salto che arriva nel 2012 con il passaggio sotto Sub Pop e l’uscita del suo LP eponimo. Anthem, Alone & Stoned, Bad Thing sono alcuni degli inni che lo uno degli album più apprezzati nel mondo indipendente americano. Tra chitarroni hard-rock, asperità garage, momenti glam e ritornelli da sing-along immediato, la sua band completata dagli eccentrici Magic Jake al basso e Old Gary alla batteria, suona ogni angolo del Nord America e poi d’Europa. Ed è ovunque delirio. Nonostante tutto riesce a partorire un nuovo album, sempre con Sub Pop. Black Moon Spell ha un impatto meno ruffiano del suo predecessore, ma conferma quest’anima fuori dal tempo che dall’autunno perenne del Vermont al sole della California, è diventata una delle icone indie-rock più improbabili e autentiche d’America.