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November 14, 2014
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Cult Of Youth, dark-folk spirituale da Brooklyn

Piero MerolabyPiero Merola
Time: 4 mins read

Esce in questi giorni Final Days, l’apocallitico – a partire dal titolo – quarto capitolo dell’affascinante saga dei Cult Of Youth, progetto nato nella seconda metà dello scorso decennio dalla fervida mente di Sean Ragon. 

Ragon si potrebbe definire un personaggio fuori dal tempo, nonostante la relativamente giovane età. Va sulla trentina, si rifa a un’estetica pagana e pre-cristiana, con rimandi a spiritualità arcaiche molto eterogenei, dai culti magici runici alla tradizione tibetana. Affascinato dall’occulto, ha un passato in progetti punk estremi molto underground, ora vive dalle parti di Bushwick, novello epicentro degli indie post-Williamsburg dove gestisce un negozio di dischi molto ricercato. Non è un personaggio facile. Il nome del suo progetto, Cult Of Youth, ha creato non poche polemiche per chi lo ha ricollegato a un’iconografia da avanguardia fascista, con riferimento al culto della gioventù dei primi ideologi fascisti. Anche il nome del suo rinomato negozio di dischi di Brooklyn, Heaven Street Records ha scatenato le ire di molti gruppi newyorchesi vicini alla sinistra radicale. Deriva infatti da una canzone degli ancor più controversi Death In June , storica band inglese nata negli anni Ottanta dark-folk, più volte accusata di una complice apologia per l’orrore nazista. In Heaven Street parlano del campo di concentramento di Sobibor dove furono uccisi nelle camere a gas almeno duecentomila ebrei, ma Sean Ragon dalla sua ha sempre smentito vaghe simpatie per l’immaginario politico nazi-fascista, parlando più semplicemente di amore e passione per una delle band più importanti e significative della storia del dark-folk.

Più volte nelle sue interviste, quando si è caduti sull’argomento, ha lamentato l’ormai automatica associazione tra la sua band e neo-nazismo per lo scomodo nome scelto nel 2007. Per lui i Cult Of Youth sono un progetto nato nella sua bedroom con il quale ha voluto dare sfogo artistico ai suoi turbamenti, umani e psicologici, svincolati da significati nascosti di natura politica e sociale. Ispirandosi ai leggendari pionieri della musica industrial, i Throbbing Gristle, considera la sua musica una reazione ai meccanismi di controllo sociali, ma senza alcun manifesto programmatico dai connotati politici. Ha dato la colpa a Google e a Internet dove spesso bastano un paio di articoli di denuncia, privi di fonti e contraddittorio, a scatenare voci incontrastate. E poi ancora alle correnti politicamente più oltranziste dei nostalgici punk-hardcore della scena di New York, in cui lui è nato e si è formato, prima di questa svolta più introspettiva e mistica. Sean è sempre andato per la sua strada, senza rispondere alle strumentalizzazioni. 

Polistrumentista fin da bambino, a dieci anni ha iniziato a suonare il piano, appassionandosi al jazz. Cresciuto nella Cambridge di Harvard e dell’MIT, ha a disposizione archivi e archivi di testi antichi da cui attingere nella sua singolare formazione spirituale. C’è Futhark: a Handbook of Rune Magic di Edred Thorsson a segnare il suo percorso metafisico. Prima di arrivare ai Cult Of Youth, si fa le ossa in band industrial-punk che non raggiungono la notorietà. Scrive e compone in completa solitudine nel caos artistico e musicale di Brooklyn, ma trova la sua strada con l’esordio A Stick To Bind, A Seed To Grow che arriva fino alla Sacred Bones, etichetta indie di Brooklyn tra le più note al mondo. 

L’etichetta decide subito di assoldarlo, nonostante la proposta musicale oscura e fuorimoda dei Cult Of Youth che lui definisce “Post-Illuminismo”: evidenti rimandi al folk oscuro di Current 93 e ai già citati Death In June, ma un potentissimo impatto lirico. Il secondo disco, omonimo, è realizzato con una vera e propria band, si arricchisce negli arrangiamenti ed è registrato al fianco di uno dei guru dell’indie newyorchese, il producer Chris Coady (Tv On The Radio, !!!, Grizzly Bear, Blonde Redhead, Beach House). Grazie a queste collaborazioni, il mondo di Sean si apre verso l’esterno, conquista i cuori della famigerata scena di Brooklyn. 

Il terzo album Love Will Prevail (2013) abbandona in parte quegli spunti neo-folk e le invocazioni ancestrali e tibetane lasciano il posto a rigurgiti post-punk e new wave vicini a Joy Division, Galaxie 500, Nick Cave e The Gun Club. Sean Ragon, sempre più inquieto, annuncia di voler abbandonare il progetto, nonostante numerosissime date live nei club più influenti d’America. E invece ritorna dopo soli due anni con Final Days, dopo una gestazione a dir poco problematica. Accompagnato da stati d’ansia, incubi e sintomi di depressione, diventa ossessionato dalla morte, si dà a strambi riti con ossa umane acquistate in appositi negozi esoterici e si chiude in casa a registrare. Il risultato è  un ammaliante affresco di folk non privo delle influenze del precedente album, a tratti ancora più liberatorio e viscerale. Final Days è il prodotto più maturo, compiuto e consapevole di un artista che nessuno riuscirà mai a decifrare del tutto.  

 

I Cult Of Youth arriveranno in Europa a febbraio, con tre date già confermate in Italia, il 4 marzo a Milano, il 6 marzo a Pordenone e il 7 marzo a Bologna. 

La band di Sean Ragon è su Facebook.

 

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Piero Merola

Piero Merola

Laureato in Relazioni Internazionali, lavoro come consulente di comunicazione, pubbliche relazioni e nuovi media. All'interesse per la storia e la politica americana, ho sempre unito quello per la musica. Dopo uno stage in Ambasciata Italiana a Washington, ho seguito per America 24 le presidenziali del 2012, e oggi scrivo per Rivista - Il Mulino. Editor del magazine online Kalporz, dal 2006 scrivo recensioni, interviste e report da ogni dove. Collaboro come ufficio stampa e copywriter con etichette, agenzie di booking, eventi e festival. In passato ho lavorato per festival estivi come Beaches Brew e Ortigia Sound System, oggi per la comunicazione del Diagonal Loft Club e di Deposito Zero Studios dove sono responsabile della direzione artistica del video format Live Zero. In questa rubrica vi presento nomi emergenti della scena americana, alcuni dei quali, intanto, sono diventati grandi.

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