Jackson Scott sembra il nome di un bluesman attempato. In realtà è il nome di battesimo di un giovane sfaccendato di Asheville, North Carolina. Nessun bisogno di un nome d'arte, come ha spiegato, nei suoi primi messaggi alla rete: “L'omonimia con un attore hard americano complica le cose su Google, ma sembra una trovata dissacrante che farà impazzire le ragazzine hipster”, ha spiegato il musicista nelle sue prime presentazioni ufficiali. Classe 1994, nato e cresciuto nell'assonnata periferia benestante di Pittsburgh, lascia la Pennsylvania per il North Carolina. Va a studiare in un college immerso nel verde delle Blue Ridge Mountains e si paga gli studi con lavori occasionali tra gelaterie e vendite al dettaglio: “Lo scenario ideale per coltivare le arti creative”, ha più volte ribadito nelle sue prime interviste per spiegare lo strambo trasferimento da un'area culturalmente più vivace di Asheville.
https://youtube.com/watch?v=mh_UIIcsvr8
Figlio degli anni Duemila, appassionato come Jim Morrison della poesia di William Blake (ma con un mood da slacker sociopatico e annoiato anni Novanta vagamente grunge), Jackson Scott è cresciuto ascoltando icone del cantautorato psichedelico, come Syd Barrett, compianta icona e membro fondatore dei Pink Floyd. Si professa fan dei Weezer di Rivers Cuomo e le sue influenza musicali fuggono dagli schemi dei suoi coetanei. “Tutti i cantautori in erba del North Carolina a differenza mia sono ossessionati dai Neutral Milk Hotel, mi ritengo una minoranza” ha affermato per eludere facili paragoni con la band simbolo del nuovo folk americano anni Novanta appena riformatasi per un attesissimo tour. E ha ammesso di non aver ascoltato gli altri nomi della gloriosa etichetta-collettivo del Colorado, la Elephant 6 (Apples In Stereo, The Olivia Tremor Control, Elf Power, Of Montreal) che dal 1991 ha riportato in auge la tradizione folk più psichedelica. Dopo un passato nella band autodenominatasi “voodoo pop” dei Siin Kitty, si avvia, giovanissimo, alla carriera solista. Senza fare la classica gavetta tra demo ed EP, Scott arriva presto all'esordio con la Fat Possum, roba non da poco. L'etichetta del Mississippi, nata nel segno del blues, è diventata col tempo uno dei punti di riferimento della scena indie a stelle e strisce (The Black Keys, Dinosaur Jr, The Fiery Furnaces, vedi anche nostro contributo sugli Smith Westerns). Si fa conoscere con tre brani pubblicati su un tumblr accompagnato da una breve presentazione e da una polaroid sbiadita. Poco avvezzo ai nuovi mezzi di comunicazione social, Jackson sarà presto costretto a creare un profilo Facebook contro la sua volontà, per le numerosissime richieste di contatto, mentre la traccia più riuscita, The Afwul Sound, rimbalza tra i principali blog musicali degli Stati Uniti.
La Fat Possum si accorge di lui dal profilo Soundcloud e decide subito di dargli una chance. Così Scott abbandona gli studi e diventa un artista vero e proprio che calca tutti i club di riferimento della scena indipendente americana. Nonostante il contratto discografico non rinuncia alla sua attitudine indie e decide di mettere a disposizione il suo esordio sul web gratuitamente. L'album si intitola Melbourne senza alcun rimando particolare all'Australia e contiene 12 canzoni registrate in camera tra computer e musicassette senza troppi artifici digitali, o l'aiuto di collaboratori e produttori. Melbourne è segnato in tutto e per tutto dall'approccio intimo e introspettivo della sua composizione. Scritto nell'isolamento della sua cameretta, è il frutto di un periodo di distacco da TV, internet e amici. Tuttavia non mancano i riferimenti all'attualità. La toccante Sandy, fiabesca negli arrangiamenti ma spietata nelle parole, è ispirata ai noti fatti di Newtown, la strage perpetrata dal suo coetaneo Adam Lanza nella scuola elementare di Sandy Hook in Connecticut dove il 14 dicembre scorso hanno perso la vita 20 bambini (“la luce si spegne nel nulla e questi legami diventeranno eterni, parlate finché il tempo non vi prenderà, bambini in cerchio che si sentono perduti”).
Il suo cantautorato diventa assimilabile, come in altri brani quali Evie e Only Eternal, al pop sbilenco di Bradford Cox alias Atlas Sound (voce e chitarra dei Deerhunter, band della Georgia tra le più importanti della nuova scena indipendente). Le inquietudini di Syd Barrett si dispiegano in brevi gemme pop scanzonate e a bassa fedeltà. Tra ballad per cuori infranti dagli anni Novanta come Together Forever e virtuosismi paranoici à la Elliott Smith (Tomorrow), il talento cristallino del giovane di Asheville emerge dal primo ascolto. Ad agosto è riuscito anche a fare una puntatina in alcuni festival europei dove è stato subito celebrato dalla critica specializzata e, in Francia, persino dal quotidiano Liberation, tanto che si parla già, per sua immensa gioia, del nuovo Syd Barrett dal North Carolina.