Ha fatto il suo esordio in Italia mercoledì 31 luglio a Bologna, unica data dalle nostre parti, nel suggestivo Quadriportico di Vicolo Bolognetti, per la rassegna estiva di concerti in centro storico organizzata dal Covo, storico club bolognese. Basta vedere il look per capire come Mikal Cronin sembri veramente uno di quei tizi nostalgici fermi agli anni Novanta: capello lungo sfibrato, abiti scoloriti, abbinamenti di colore completamente casuali. Mikal è nato in California, nell’Orange County, a Laguna Beach, centro d’origine della celebre Fratellanza dell’Amore Eterno (anche nota come “mafia hippie”), l’associazione di beneficenza ideata dal profeta John Griggs per diffondere l’uso di droghe psichedeliche negli Stati Uniti. Ma nel 1967, in piena Summer Of Love, probabilmente i genitori di Cronin non si erano nemmeno conosciuti. Quella di Mikal Cronin è infatti tutta un’altra storia.
Nato nel bel mezzo dell’era reaganiana, dopo una parentesi di studi musicali classici, si appassiona al rock quando la parabola del grunge e della scena indie rock della West Coast era già in fase discendente. Nella scuola superiore di Laguna Beach conosce Ty Segall, instancabile garage-rocker, oggi uno dei nomi di punta della scena indie californiana. I loro party e le loro tendenze sono ben lontane dalla Laguna Beach resa nota oltreoceano dal reality show di MTv. I due mettono su una band molto do it yourself, gli Epsilons e poi entrambi collaborano a un altro progetto dalle fortune alterne, I Party Fowl. Fanno esperienza suonando praticamente ovunque e con chiunque. Mikal, dopo una breve parentesi in Oregon, al Lewis & Clark College, torna in California, al California Institute of the Arts di Valencia, e si cimenta nei progetti più disparati. Si reinventa sassofonista in un’ensemble death metal e poi polistrumentista in gruppi punk e in un complesso di musica popolare indonesiana.
Ma la svolta artistica arriva quando entra in contatto Charlie & the Moonhearts, band surf-rock’n’roll dell’underground di San Francisco molto seguita nei circuiti più alternativi della città. Presto diventa il bassista di quelli che sarebbero diventati The Moonhearts e conosce uno dei guru della scena, John Dwyer l’eccentrico frontman dei Thee Oh Sees, storica band molto popolare anche in Italia dove ogni anno accresce il numero di adepti grazie a live particolarmente incendiari e coinvolgenti anche per i meno appassionati del genere. Il prolifico Ty Segall nel 2011 ha già pubblicato quattro album da solista a cui Mikal collabora a vario titolo. Al quinto tentativo, Goodbye Bread uscito per l’etichetta indie di Chicago Drag City, Ty Segall esplode, e nel successivo Slaughterhouse il contributo dell’amico delle superiori si estenderà a composizione, voci e cori. Nel 2009 era uscito il chiassoso Reverse Shark Attack, a oggi l’unico LP firmato ufficialmente Mikal Cronin & Ty Segall, riscoperto da fan e addetti ai lavori dopo l’esplosione commerciale di Segall nei circuiti indipendenti.
Sempre nel 2011 anche Mikal decide di tentare la via solista sfruttando quel suo gusto pop e cantautorale spesso messo in sordina nelle scatenate collaborazioni a base di chitarre distorte, urlacci e ritmi incessanti da garage rockers di strada. A Cronin piace il rock degli anni Novanta ma non solo. È un vero fan dei Nirvana e della scena di Seattle e ha il padre putativo della scena, Neil Young, tra i suoi punti di riferimento. Eppure, sorprendentemente, nel suo esordio sono quelle venature da pop psichedelico anni Sessanta e da discepolo dei Beach Boys a emergere.
Cronin sa scrivere canzoni con la C maiuscola (vedi Apathy o la beatlesiana Get Along) la Columbia se ne accorge, ma lui preferisce restare indipendente e per il secondo LP si mette nelle mani di una vera istituzione, come la Merge Records. Una scelta di campo, quella di accettare le lusinghe dell’influente etichetta del North Carolina, che ha lanciato alcuni tra i nomi più popolari dell’indie rock d’autore degli ultimi vent’anni (Neutral Milk Hotel, Arcade Fire, Spoon, The Magnetic Fields, Destroyer). Così da ventisettenne ormai navigato, senza rinunciare alle chitarre elettriche ruvide e graffianti da dipendente dell’effetto fuzz, prova a rendere ancora più matura e armonica la sua propensione da songwriter. Ne esce fuori MCII, disco fresco, estivo, maturo che tecnicamente contiene nove potenziali singoli su dieci dischi (l’ultima traccia è un esperimento al pianoforte dal titolo Piano Mantra). Le canzoni si piantano subito in testa, i break da frequentatore di cantine polverose ancora si sentono, così come si percepisce quell’eredità grunge nei momenti meno leggeri. Il pathos dei suoi crescendo rende i brani molto narrativi e rievocativi, nonostante i testi siano impregnati di riflessioni e spunti più o meno intimisti.
Weight e Change sono degli inni power pop figli del sound dei Weezer, non privi di quel gusto da folk a stelle e strisce da grandi classici. MCII è uscito alla fine della primavera, ma è un urlo estivo, composto e viscerale, ideale colonna sonora “on the road” per le calde settimane di agosto.