Cecilia Bartoli sembra stare antipatica agli italiani. Chissà perché. Alcuni la definiscono “una creazione discografica”. Alla Scala nel 2012 l’hanno fischiata. Che sia un esempio illustre della fuga dei cervelli dall’Italia, l’ennesima eccellenza costretta a migrare?
Mah. Ricordiamoci che Riccardo Muti, il più grande direttore d’orchestra della nostra epoca, fu cacciato dalla Scala — dai dipendenti, non dal pubblico, ma l’episodio lascia intravedere lo stesso una certa ottusità meneghina in materia d’arte. Se di cervelli in fuga trattasi, tanto meglio per noi che stiamo all’estero: le persone di qualità, italiane e non, sono sempre benvenute. E per quanto riguarda l’accusa di “creazione discografica”, benedetta sia la Decca che sforna dischi belli e rivelatori della Bartoli quali Sacrificium (arie scritte per castrati), Mission (rarità di Agostino Steffani) e, fresca di stampa, la Norma di Vincenzo Bellini.
La foto di copertina mostra una Bartoli stile Anna Magnani, omaggio a un’altra dea romana e allusione all’incensatoallestimento salisburghese della Norma, che ambienta il dramma nel periodo della Resistenza. (Accorta conoscitrice di cinema, Ceciliona posò a mo’ della Ekberg nella Fontana di Trevi per il disco Opera proibita.) L’incisione è basata su un’edizione critica del capolavoro belliniano preparata da Maurizio Biondi e Riccardo Minasi, e Giovanni Antonini dirige l’Orchestra La Scintilla, con strumenti d’epoca. La distribuzione rispecchierebbe la pratica ottocentesca, con una Norma (sacerdotessa, amante, madre) dalla voce scura e un’Adalgisa ingénue, dal timbro verginale.
Già, non è una Norma verista, con nei panni di Pollione un Turiddu che si spolmona e con una partitura ridotta a brandelli. Sì, qua e là nei testi di presentazione si esagera, invocando “essenze” inesistenti e “origini” irreperibili. Certo, alla Bartoli si può rimproverare qualche fioritura aspirata. Ma questa Norma frizzante e vitale ti prende alle viscere.
Nella Casta diva i toni iridescenti della Bartoli ti fanno vedere i raggi di luna che inargentano il paesaggio notturno. I signori professori della Scintilla sotto la direzione geniale di Antonini plasmano suoni diafani e pungenti, e i tempi veloci (ad esempio, del duetto In mia man alfin tu sei) mettono in maggior rilievo i larghi grandiosi ed ipnotici del Bellini: “Qual cor perdisti”, il dialogo sottovoce e titubante di due amanti, e “Deh! non voleri vittime”, una supplica intrisa di lacrime. (Presso SoundCloud potete ascoltare brani dall’incisione Decca.)
E allora, italiche genti, decidetevi. C’è posto o no nei vostri cuori per Cecilia Bartoli? Perché se voi la disdegnate quest’artista estrosa e raffinata, questa donna di spessore, questa lavoratrice accanita, ce la teniamo noi. E non sarebbe che l’ennesimo nostro vantaggio tratto dalla vostra miopia.
La Norma della Decca è reperibile presso iTunes, Amazon.com e altri venditori in rete.
Luciano Berio: © Universal Music/Eric Marinitsch
Se la Bartoli è un esempio eclatante di un’artista italiana osannata all’estero ma disprezzata a casa sua, un caso classico di nemo propheta in patria, Luciano Berio invece è un compositore più ammirato che ascoltato, una situazione altrettanto ingiusta. E per aggiungere al danno la beffa, a quanto pare, anche Berio nel loco natio è trascurato. Povera Itaglietta.
Nato ad Oneglia nel 1925, morto a Roma nel 2003, Berio ha vissuto ed insegnato anche negli Stati Uniti, dove ebbe fra i suoi allievi Steve Reich, Louis Andriessen e Phil Lesh (dei Grateful Dead). Una nuova serie di riedizioni della Sony Masterworks, Prophets of the New, rende onore a Berio con la prima edizione digitale di diverse sue composizioni (Nones, Allelujah II e il Concerto per due pianoforti) e la ripubblicazione della Sinfonia (versione della prima mondiale del 1968).
In una anti-civiltà come quella odierna del capitalismo multinazionale, un’opera colta come la Sinfonia ti piomba addosso come una doccia scozzese. Testi da Le cru et le cuit di Claude Lévi-Strauss, un omaggio a Martin Luther King, Jr., citazioni musicali da Beethoven, Berlioz, Mahler, Debussy, Stockhausen e altri: la Sinfonia presuppone consapevolezze civiche e intellettuali che vadano ben oltre Angry Birds e Keeping up with the Kardashians, trasudando (a soli quarantacinque anni dalla creazione) un pathos addirittura utopico. L’esecuzione della New York Philharmonic e degli Swingle Singers sotto la direzione del compositore è mirabile.
La raccolta ha pure i suoi risvolti edonistici: i timbri variopinti (ed agghiaccianti) della Nones; le trasformazioni tematiche dell’Allelujah II, che brillano come una manciata di gemme preziose; e il virtuosismo irrequieto di due grandi solisti italiani, Bruno Canino e Antonio Ballista, nel Concerto per due pianoforti.
Imprescindibili le musiche, esemplari le rimasterizzazioni, ma c’è da chiedersi se un’età volutamente idiota come la nostra meriti un tale disco. Dai, superiamo le aspettative.
Luciano Berio: Sinfonia / Concerto for Two Pianos della Sony Masterworks è reperibile presso iTunes, Amazon.com e altri venditori in rete.