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June 5, 2013
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Il Jazz? Agli inizi era una cosa nostra…

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Renzo Arbore durante la presentazione del documentario a New York

Renzo Arbore durante la presentazione del documentario a New York

Time: 3 mins read

​Ci voleva Renzo Arbore, da anni paladino del jazz italiano, per farci scoprire che la musica americana per eccellenza ha origini siciliane. Il documentario Da Palermo a New Orleans. E fu subito Jazz, scritto da Renzo Arbore e Riccardo Di Blasi, rivela una storia poco nota ed estremamente affascinante.

È la storia del figlio di Girolamo La Rocca, un ciabattino siciliano emigrato a New Orleans da Salaparuta (Trapani) insieme ad altre migliaia di compaesani, ai tempi in cui l’America, dopo aver comprato la Louisiana dai francesi, regalava la terra ai contadini disposti a coltivarla. A Salaparuta il ciabattino faceva parte della banda di paese in cui suonava un cornetto che arrivò con lui fino a Crescent City. Il figlio, James Dominick, amava rubare quel cornetto al padre ed esercitarsi per lunghe ore. Papà Girolamo, contrario alle aspirazioni musicali del giovane Dominick che avrebbe voluto medico, non visse abbastanza per vedere suo figlio inventare il jazz. Il mondo, tuttavia, si accorse presto di lui.

“Appena quattro anni prima che imparassi a suonare la tromba nella Waif’s Home, ovvero nel 1909, a New Orleans un cornettista di nome James Dominick La Rocca formò la prima orchestra jazz. Lo chiamavano “Nick” La Rocca”. Queste parole, tratte dall’autobiografia di Louis Armstrong e citate in apertura del documentario scritto da Renzo Arbore, cercano di ristabilire una verità storica per troppo tempo sottaciuta dagli americani.

La Rocca e la sua band, la Original Dixieland Jass Band (poi diventata Original Dixiland Jazz Band) con una formazione inusuale e ritmi sincopati, ebbero un enorme successo e portarono quel nuovo e dirompente genere in giro per gli USA e l’Europa. La storia della musica ha poi dimenticato il contributo di questo straordinario artista e il jazz viene considerato musica quasi esclusivamente nera. Ma, come ricorda Joe Maselli, direttore del American-Italian Museum, in un’intervista (in pugliese, perché come tanti figli di emigranti Maselli parla solo dialetto) contenuta nel documentario: “Al tempo neri e siciliani stavano sempre insieme”.

E infatti La Rocca non è l’unico siciliano ad essersi cimentato con questo nuovo genere musicale. La lista è lunga e i cognomi parlano chiaro: i primi jazzisti di New Orleans erano tutti siciliani. Tra questi il più famoso è forse Louis Prima, anche lui originario di Salaparuta, che nelle sue canzoni mescolava dialetto e inglese e che, qualche anno dopo La Rocca, rese celebre il genere conosciuto come jive.

Molti di quei primi jazzisti italoamericani non sapevano leggere la musica, ma avevano il ritmo nel sangue e improvvisavano cambiando i modelli di ritmo. Era inevitabile che prima o poi qualcuno notasse questi ragazzi che facevano una musica così innovativa. La Rocca, che suonava in una banda di strada, venne contattato da un impresario di Chicago che lo aveva sentito suonare e da quel momento in poi la musica non sarebbe stata più la stessa.

Il 26 febbraio del 1917 la Dixieland band registrò il primo disco jazz della storia. Si chiamava Livery Stable Blues e, nel girò di pochi mesi, arrivò a vendere un milione e mezzo di copie. Un successo enorme che portò l’orchestra di La Rocca a Chicago, New York, Londra. Il documentario di Renzo Arbore, proiettato lunedì all‘Istituto Italiano di Cultura di New York, ripercorre la storia di questa incredibile avventura seguendo le tracce della famiglia La Rocca, della band e di tanti altri musicisti italiani o di origine italiana che continuarono e continuano tutt’oggi la tradizione del jazz. Tra questi il figlio dello stesso La Rocca, Jimmy, che Arbore è riuscito a portare a Salaparuta dove ha partecipato a un festival musicale organizzato dal Centro Studi Nick La Rocca.

È un viaggio di andata e ritorno perché, se è vero che il jazz fu creato da dei coloni italiani nell’America del Sud, è altrettanto vero che le influenze di quella musica sono poi tornate in Italia e hanno ispirato e contaminato generazioni di artisti, come ricordano le immagini del documentario di Arbore che è, tra l’altro, presidente dell’Umbria Jazz.

“L’origine siciliana del jazz è ancora molto poco conosciuta e avvolta nel mistero – ha detto Renzo Arbore in occasione della proiezione del film – ed è difficile stabilire che cosa ci sia nella cultura siciliana che ha portato quei musicisti a creare un genere così innovativo”. Forse sono le melanzane, scherza Arbore alla fine del film. O forse è la naturale musicalità della nostra lingua. O forse tutto dipende dal fatto che, come ipotizza il jazzista americano Ben Sidran, se si dice che il blues è quella musica che ti fa sentire bene quando stai male, gli italiani sono da sempre maestri in questa arte.

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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