Vado a memoria, ma l’esperimento ha funzionato più o meno così: ad un gruppo di intervistati hanno chiesto di nominare due grandi scrittori francesi, mentre all’altro gruppo hanno chiesto di nominare due grandi scrittori o scrittrici francesi. Risultato: il numero di scrittrici donne nominate dagli intervistati del secondo gruppo è stato molto più grande.
Se seguite anche sbadatamente questioni linguistiche, sicuramente avete sentito parlare dello schwa (o scevà, per dirlo all’italiana). Se non le seguite, ma sfogliate i giornali o vi informate sui social, invece, probabile che vi siate imbattuti nel simbolo ‘ə’ – la ‘e’ rovesciata, lo schwa appunto – come fulcro di infuocati dibattiti (pseudo)linguistici tra….
Già mi devo fermare. Questa è roba che scotta. Un argomento radioattivo. Fatemela prendere un pò più alla larga. Partiamo dal Festival di Sanremo. Come tutti gli italiani sanno, il Festival non è solo una competizione canora, è molto più. Sanremo è una riunione di famiglia su larga scala. Un punto di incontro tra nuove e vecchie generazioni, e l’occasione per monitorare di anno in anno l’evoluzione culturale, sociale e linguistica della società italiana.
Anch’io guardo Sanremo. A causa del fuso orario, non posso guardarlo in diretta e quindi lo guardo in differita su Raiplay.it, skippando allegramente le parti meno interessanti risparmiando così svariate ore. Sanremo è cambiato moltissimo rispetto a com’era quand’ero ragazzo io.

“Sembra di vedere il gaypride, porcozio!”
Artisti omosessuali dichiarati ci sono sempre stati, ovviamente, ma oggi è diverso. Il look gender fluid è diventato la norma perfino per artisti che gay non lo sono. Sono convinto che molti della mia generazione reagiscano pensando che quello che va in scena all’Ariston sia un gay pride in piena regola, e forse lo direi anch’io se il mio essere cittadino del mondo non mi avesse insegnato che in queste reazioni si annida il seme dell’intolleranza e lasciando che sia il mio superego a ricacciare indietro quel pensiero.
Se parlo con i ragazzi italiani e americani in età da liceo, mi rendo conto che in effetti il mondo è cambiato: la “fluidità sessuale” non è una discussione per loro, ma una specie di dato di fatto. Essere gay, non essere gay, non averlo capito, non averlo ancora deciso… discussioni oziose, senza senso o quasi. Discriminare qualcuno perché gay? Al limite dell’inconcepibile per le giovani generazioni.
I tempi cambiano e la mentalità pure. Più si è avanti con l’età, però, e più è difficile per il singolo rimettere in gioco il sistema di valori che si davano per assodati. Uno passa decenni credendo di aver capito come funziona il mondo, e invece no, ti dicono che quello che credevi di sapere è tutto sbagliato. Normale che alcuni rimangano confusi e magari si ribellino pure quando i cambiamenti avvengono troppo in fretta, magari votando buffi movimenti populisti, ma non divaghiamo troppo. Trovo che i grammarnazi, i leoncini da tastiera che si stracciano le vesti per qualsiasi evoluzione linguistica o per l’uso di qualche parola inglese, siano in fondo un esempio da manuale di quant’ho appena descritto: “Ho faticato tanto per il mio diploma di liceo e ora mi dici che le regolette che ho imparato con tanta fatica non contano più?!? Ma io ti denuncio!”
Visione distaccata
Personalmente, per capire il mondo mi è utile immaginarmi come turista. Ma non un turista che fa un viaggetto a Milano o prende un volo low-cost per andare a Barcellona per quattro giorni, bensì un turista che sale su una navicella spaziale e, sfruttando la capacità di distorcere il tempo, torna a visitare la Terra ogni 20, o 50, o 100, o 200 anni terrestri che magari per lui sono solo una settimana.
Dallo spazio si possono apprezzare i cambiamenti della società senza farsi prendere dalle emozioni come chi, invece, sul pianeta ci vive giorno per giorno. Da quel punto di osservazione risulterebbe più facile vedere in maniera nitida i movimenti e le spinte che animano le società umane senza sentirsi costretti a prendere posizione con questo o con quello schieramento.
E quali sono le forze in gioco?
Tante. Quella rilevante per questo articolo è il femminismo: le donne che, statistiche alla mano, in misura sempre maggiore esigono di contare di più nella società.
Giusto? Sbagliato? Se vivete sulla Terra, basta un attimo di distrazione per trovarsi arruolati in uno schieramento ideologico o nell’altro (e guai a sgarrare, una volta che si è entrati tra le file di una delle parti belligeranti!), ma se siete turisti spaziali potrebbe anche essere che la domanda perde di senso, e che riusciate a vedere il tutto per quello che è: uno scontro a cui non siete tenuti a prendere parte.
Come ogni movimento, anche quello femminista ha le sue avanguardie. E come ogni movimento anche quello femminista ha qualcosa da recriminare sulla lingua. L’assunto (giusto? sbagliato?) è che la lingua che usiamo sia stata creata a immagine e somiglianza dei maschi un pò come gli uomini si sono fatti a loro immagine e somiglianza perfino Gesù Cristo.
Ricordate l’esperimento di cui ho parlato a inizio articolo? Ecco quello è un esempio che una linguista femminista potrebbe farvi a dimostrazione di come la lingua, in modo subdolo, favorisca i sapiens maschi rispetto ai sapiens femmina.
E ora arriviamo al sodo: se parliamo di linguiste femministe in Italia non possiamo che parlare di colei che è una vera e propria papessa di questa avanguardia, Vera Gheno, inventrice dello schwa ad uso “neutralizzante”, nonché membra di un club molto esclusivo: l’intersezione tra l’insieme delle femministe militanti e quello delle mie amiche (è una donna intelligentissima).

Lo schwa e la banana di Albione
Breve riassunto delle puntate precedenti: siccome dire “signore e signori”, “colleghe e colleghi”, “amici e amiche” dopo un pò stucca, in italiano usiamo il maschile sovraesteso. Basta che in un gruppo ci sia un maschietto e usiamo il maschile per intendere uomini e donne. E qui arriva Vera a dire che non va bene, e che facendo così si discrimina l’altra metà del cielo. E come facciamo allora? Le proposte sono state tante (Ciao a tutt*, ad esempio), ma nessuna ha avuto molto successo anche perché la lingua melodiosa che tutti conosciamo finisce per suonare come il dialetto di Carrara.
Qui è entrata in azione Vera. Dall’alto della sua competenza linguistica, Vera ha capito che occorre anche avere un suono pronunciabile se si vuol dare ad una nuova grafia gender-agnostica qualche possibilità di farsi adottare dagli italofoni. Vera ha proposto di introdurre lo schwa, un suono tra la A e la E che non esiste in italiano, ma che si trova in inglese quando pronunciamo banana, e che – si dice, si mormora – esiste anche in napoletano.
A questo punto, si potrà dire “Carə amicə”, prendendo due piccioni con una fava senza che nessuno si senta messo in disparte.

Ovviamente la cosa ha fatto incazzare un pò di gente che – a torto o a ragione – non ama il cambiamento. Tra queste anche molte donne, va detto. Le personalità più conservatrici ci sono andate a nozze nell’additare come assurda una proposta che attacca gli strati più profondi del nostro essere (come parliamo, e quindi come pensiamo). Ma persino il gotha dei linguisti nostrani (uno per tutti la Crusca) e l’intellighenzia riformista (e di sinistra) si sono trovati presi in contropiede per lo stesso motivo: il tentativo di imporre un cambiamento linguistico a furor di social ha causato una forte reazione avversa. Quando poi a dicembre, travalicato il confine dei social network, lo schwa ha fatto capolino in un documento semiufficiale (il verbale di un meeting al Ministero dell’istruzione), Massimo Arcangeli, un linguista italiano, ha raccolto il consenso (e la firma) di pezzi grossissimi dell’establishment culturale e linguistico italiano (Barbero, Serianni, Cacciari e Marazzini, solo per nominare quelli noti al grande pubblico) e ha fatto partire una petizione su Change.org per chiedere – se capisco bene – una generica adesione popolare all’idea che lo schwa sia una cagata pazzesca.

Giusto? Sbagliato?
Non lo so. O meglio, ho una mia opinione personalissima dello scevà (“txetnoc suoires a ni awhcs eht esu em ees reve uoy fi dekcuf eb ll’I”), ma la mia opinione da lassù in orbita intorno alla Terra conta poco. Quello che conta è che quaggiù esiste uno Zeitgeist femminista che ha cambiato il mondo e ancora lo cambia. Quando dietro una spinta propulsiva ci sono milioni di persone, ci sono anche avanguardie pronte ad immolarsi per la causa. Vera Gheno è l’avanguardia e lotta per ciò in cui crede. L’uso della ‘e rovesciata’ nel verbale ministeriale rappresenta in qualche modo una vittoria per Vera, anche se una rondine non fa primavera e difficilmente l’amica sociolinguista otterrà quello che chiede (cambiare la lingua italiana a livello morfologico, fonetico, sintattico e quant’altro) . Detto questo, la sua battaglia qualche risultato l’ha già portato. Quoto un frammento significativo dal già citato intervento della Crusca di Settembre su questo argomento:
L’unico problema relativo alla scelta del genere di un nome che ci è stato sottoposto è quello di transessuale per indicare “chi ha assunto mediante interventi chirurgici i caratteri somatici del sesso opposto” (anche questa definizione è del GRADIT). Qui, in effetti, si assiste tuttora a un’oscillazione tra maschile e femminile (a partire dall’articolo che precede il nome). A nostro parere, sarebbe corretta (e rispettosa) una scelta conforme al genere sessuale “d’arrivo” e dunque una transessuale se si tratta di un maschio diventato femmina, un transessuale, se di una femmina diventata maschio, posto che proprio si debba sottolineare l’avvenuta “trasformazione”
Un professore della Crusca che discettasse su “l’aeroporto di partenza” e “di atterraggio” di un transessuale che cambia sesso sarebbe stata fantascienza solo pochi anni fa. Oggi avviene, segno che riconoscimento e rispetto delle differenze sono ormai patrimonio comune: oneri e onori di questa evoluzione vanno anche assegnati all’opera evangelizzatrice che Vera indefessamente ha portato avanti.
Conclusione
Qual’è la morale di tutto ciò? Nessuna. Vedo il più possibile le cose con distacco. Solo qualche consiglio.
Ai professori che ce l’hanno con Vera rivolgo l’invito a non essere cattivi con lei. È una brava ragazza con una missione ispirata dallo spirito del tempo. Va capita. Se non ci fosse lei, ci sarebbe qualche altra femminista a fare la stessa cosa. E poi. Chi usa lo schwa ha diritto di farlo, ovviamente a suo rischio e pericolo, incluso quello di apparire ideologicamente motivati. Del resto una grammatica italiana normativa non esiste, come sappiamo tutti, e la Crusca non sembra avere intenzione di accollarsi l’onere di crearne una oggi.
A Vera riconosco che sentire di avere una missione superiore è cosa bella, ma è saggio ricordare che di vite ne abbiamo una sola, e quando affrontiamo da avanguardisti un sistema intero, rischiamo di pagare un prezzo salato. Cerca di non farti troppo male mentre dai l’assalto al sistema, Vera. Potrebbe non valerne la pena. Potrebbe essere che le donne possano vivere una vita felice anche se la lingua italiana è un pò maschilista. O potrebbe essere che una mattina ci sveglieremo e il problema non esisterà più: <accento barese ON>parleremo tuttə inglese e chi si è vistə si è vistə.