Quando lasciai l’Italia la prima volta nel 1994 alla volta della Scandinavia, l’uso del Tu e del Lei mi appariva patrimonio condiviso di tutti gli italofoni: alle persone più anziane e agli sconosciuti grossolanamente identificabili come coetanei ci si rivolgeva con il Lei transazionale e agli altri con il Tu personale. Pacificamente. Senza bisogno di discussioni.
Ma quello era un uso veramente comune a tutti gli italiani? Oppure percepivo io come panitaliano quello che, avendo fatto per anni la spola tra Carrara e Pisa, era forse solo un uso toscano degli allocutivi Tu e Lei?
Difficile dirlo. Quello che so è che otto anni più tardi mi sono nuovamente materializzato a Roma. Abducted by aliens, ironizzerebbero gli anglofoni. Rapito dai marziani. Nei racconti di fantascienza, un bifolco misteriosamente scomparso dalle campagne inglesi nel ‘700 riappare al centro della Londra di oggi, con i vestiti dell’epoca, parlando una buffa lingua lontana parente dell’inglese contemporaneo. Un pover’uomo spaesato dinanzi al nuovo mondo, un mondo che arriverà a comprendere solo con grande fatica.
Ecco. Quello ero io a Roma nel 2002 di ritorno dai ghiacci eterni. Facevo ancora le battute del Drive-In, declamando convintamente espressioni tipo “Has Fidanken!” e “Tanardo di un lecchino”. La gente, giustamente, mi guardava come se fossi un marziano.
Ma quello non era l’unico aspetto della comunicazione che non trovava riscontro tra gli italofoni. Un po’ di altre cosine erano cambiate. Lessico a parte, gente che non avevo mai visto né conosciuto, incluse persone più giovani di me, mi si rivolgeva col Tu. Non solo. Il mio uso del Lei veniva spesso frainteso come un modo di mantenere le distanze. Complice anche il mio accento (universalmente percepito come “nordista” anche a Roma, nonostante io sia toscano), l’uso del Lei era ricambiato da una freddezza non sempre piacevole, magari dalla cassiera del supermercato, confusa da quello che gli appariva come un voler tenere le distanze.
E che dire di tutte quelle volte in cui, uscendo dal negozio, sentivo l’urlo: “Fermo, lo scontrino!”
Possibile che tutto d’un tratto a Roma la fedeltà fiscale fosse così importante? La mia ipotesi è che, a causa del Lei e dell’accento, molti pensassero che fossi un finanziere in borghese.
Fissatomi l’obiettivo di riuscire a integrarmi di nuovo nel mio paese, ho così finito per ampliare progressivamente l’uso del Tu in situazioni in cui prima sarei andato senza esitazione sul Lei: se all’inizio mi pareva eccessivo usare il Tu col il cassiere, magari attempato, che continuava a leggere il giornale anziché degnarmi di uno sguardo, col tempo la cosa aveva finito per venirmi perfettamente naturale. “Che ti stai leggendo di bello? Pago un cornetto e un cappuccino.”
In fondo, mi dicevo, che problema c’è? Avevo abitato per anni in paesi in cui l’uso del Tu era universale. Tanto per fare un esempio, in Norvegia esiste sì il Loro (De/Dem/Deres, significato 7) come forma di cortesia, ma va usato solo ed unicamente rivolgendosi al re (non che abbia mai avuto l’onore di incontrarlo personalmente). Per non parlare poi dell’inglese, dove userei you anche se incontrassi il presidente americano (mai, come oggi, mantenendo il distanziamento sociale, s’intende!)
Quindi, mi ripetevo, qual’è il problema se anche l’italiano va mutando verso un uso della lingua giovane, universale ed essenzialmente “democratico”?
Not so fast, kid
In realtà non era tutto così semplice come credevo di aver capito. Ad esempio, il lavoro mi ha portato spesso a Milano. L’uso del Tu col baffone alla cassa del bar veniva recepito con lo sguardo e l’atteggiamento riservato a chi ha infranto il più rigido dei protocolli diplomatici. All’ombra della Madonnina, il Tu personale non andava bene, ovviamente.
E cosa vogliamo dire della Sicilia, allora? Trovandomi a Palermo e San Vito lo Capo per vacanza, il Tu veniva a volte ricevuto come troppo confidenziale e personale persino in una pizzeria al taglio. Una frase tipo “potresti darmi anche una bustina?” aveva sì l’effetto sperato, ma il ragazzo della mia età (o anche più giovane!) dall’altra parte del banco si premurava di usare un Lei che ristabilisse, se non le distanze, almeno le forme. Sento di poter affermare che l’uso del Lei transazionale in Sicilia sia ancora più esteso, forse addirittura molto più esteso, di quanto lo fosse in Toscana negli anni ‘90!
Come regolarsi quindi?
Insomma, se siete stranieri e state imparando l’italiano, sicuramente le regole per quando scegliere l’uno o l’altro vi appariranno problematiche. Sappiate che la situazione non è sempre facile neppure per gli italofoni nativi: la scelta del Tu e del Lei in italiano è una questione delicata. Se da una parte è vero che con il Lei si rischia di meno, dall’altra c’è sempre il rischio di apparire come uno snob che non dà confidenza.
La mia opinione è che la scelta tra il Tu personale e il Lei transazionale sia una scelta sociologica e culturale, prima ancora che linguistica. A Roma ci si dà del Tu come tra comunisti ci si sarebbe chiamati “compagno” fino a pochi decenni fa. In Sicilia ci si dà il Lei transazionale magari anche tra persone in rapporti amichevoli, in ossequio a norme sociali locali che non privilegiano certo il livellamento della società (del resto Giovanni Verga era siciliano, non è mica una coincidenza).
La scelta tra il Tu e il Lei non avviene con meccanismi condivisi dagli italofoni di tutto il paese, e questo perché non esiste una comprensione condivisa da tutto il paese di quali debbano essere i rapporti sociali tra le persone. La cosa ha radici molto più profonde della sola dimensione linguistica, quindi, ma sta di fatto che una norma generale panitaliana per la scelta dei pronomi allocutivi fondamentalmente ancora non c’è (oppure, in alternativa, che poi all’atto pratico è la stessa cosa, possiamo dire che la norma ci sarebbe, ma viene applicata diversamente in diverse parti d’Italia!)
Che fare in pratica?
Se siete stranieri, siete avvantaggiati: le “sbavature”, questa e altre, vi verranno perdonate seduta stante. Questo è un lusso che noi madrelingua non abbiamo.
Se siete italiani, la situazione è più complessa, ma potete usare una delle mie tecniche affinate negli anni.
- Regola 1: se parlate con una persona anziana, usate il Lei transazionale, a meno che l’interlocutore non faccia esplicita richiesta del Tu. Anziano è chiunque non vi lasci il minimo dubbio sulla sua anzianità (il che potrebbe tranquillamente portarvi a riconoscere come diversamente-giovane gente che ne ha settanta suonati. Nessun problema).
- Regola 2: se vi trovate in contesti formali, come, ad esempio, rivolgendovi ad un carabiniere in divisa o ad un funzionario pubblico, allora il Lei transazionale (reciproco) è d’obbligo, a prescindere dall’età delle persone coinvolte. In ambito scolastico e universitario, la conversazione tra studente e professore deve avvenire con il Lei da parte dello studente. I professori universitari spesso optano per il Lei a loro volta, ma alcuni usano il Tu; e lo fanno non per condiscendenza di solito, ma per non dare al proprio ruolo un’aura di eccessiva formalità.
- Regola 3: con uno sconosciuto non-anziano, partite col Lei transazionale, poi, strada facendo, lasciate scivolare una frase col “Tu” personale. In quella frazione di secondo in cui il vostro interlocutore ancora elabora l’accaduto, come la seconda lama di un rasoio da barba della Gilette, tirate fuori un: “Va bene se ci diamo del Tu? Tanto abbiamo più o meno la stessa età”.
Dal momento che quel “più o meno” copre vent’anni per lato, difficilmente colui con cui parlate avrà da eccepire. E poi eccepire su cosa? Sull’utilizzo di una forma di cortesia in odore di eccessiva formalità? O, peggio, sul fatto che si è anziani e si vorrebbe tenere per sé il diritto di invocare la lesa maestà?
A quel punto il Tu è smarcato e la conversazione può proseguire amichevolmente, senza quella sottile barriera del Lei transazionale ad intralciare la comprensione.
Attenzione: è fondamentale, ovviamente, che il Tu personale sia reciproco. Se così non è, qualcosa non torna. Se chi vi parla insiste nell’uso del Lei, valutate anche voi se non sia il caso di fare la stessa cosa, anche facendolo notare (“Va bene, allora. Usiamo il Lei”), ma vedrete che accadrà di rado.
“Diamoci del Tu. Facciamo prima.”
Quando avrete preso confidenza col metodo sopra, ne esiste una variante veloce, che potete adoperare specialmente se il vostro interlocutore è di Roma.
Potrete semplicemente dire: “Diamoci del Tu. Facciamo prima.”