In un mondo nel quale la guerra, quella con fucili, cannoni o bombe atomiche, sembra non essere più possibile tra le grandi potenze, la politica estera si manovra con il “soft power”. Il termine è di Joseph Nye, della Harvard Kennedy School of Government, che lo ha coniato negli anni ’90 per indicare la capacità di uno Stato di persuadere, convincere, attrarre e cooptare tramite risorse intangibili. Non quindi con la forza, ma con il solo potere dell’influenza.
All’Italia, da tempo, manca la capacità di stabilire quali aree siano prevalenti per l’interesse nazionale. Su quali, cioè, poter esercitare il proprio soft power. È per questo motivo che accadono eventi come quello di Asmara, in Eritrea, dove la scuola italiana è stata chiusa. La causa? Pare sia il disinteresse del governo italiano.

La scuola italiana di Asmara è una delle più prestigiose e rinomate istituzioni educative in Eritrea e il più grande istituto di istruzione italiana all’estero. Al suo interno, oltre mille studenti adottano il nostro programma ministeriale e studiano tre lingue: l’italiano, il tigrino e l’inglese. È un mezzo importante attraverso il quale diffondere la cultura dello stivale nel Corno d’Africa, eppure questo sembra non importare.

Tutto ha origine con i decreti di riforma dell’Istruzione del 2017 e 2018. Un decreto legge e un decreto ministeriale con i quali viene ridotto in modo drastico il contributo finanziario agli istituti di formazione all’estero, impedendo l’impiego di personale supplente e ricorrendo al reclutamento di docenti locali. Così, ad Asmara arriva un plotone di insegnanti eritrei e la struttura perde il suo carattere distintivo: non si tratta più di una scuola italiana, ma di un semplice istituto linguistico.
Dopo un lungo periodo di tensione tra Italia ed Eritrea, l’epilogo è stato il peggiore. Alla porta principale della scuola sono stati apposti i sigilli.

In merito alla questione, la senatrice Isabella Rauti del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, ha presentato un’interrogazione al Ministro degli Esteri chiedendo “di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della situazione, quali iniziative intenda intraprendere in relazione alla mancata costituzione del comitato tecnico congiunto e se intenda procedere alla rinegoziazione degli accordi in materia con il Governo eritreo, al fine di evitare una gestione unilaterale dell’istituto italiano statale onnicomprensivo di Asmara”.
La Vice Ministra Marina Sereni ha replicato all’onorevole Rauti, sottolineando come “Da parte italiana è stata più volte sollecitata la piena attuazione dell’accordo, tra cui la costituzione del Comitato Tecnico Congiunto” e che “sin dall’inizio della vicenda il Governo italiano ha mostrato, e continuerà a mostrare, ampia disponibilità al dialogo. Considerata l’importanza storica dell’Istituto Italiano Omnicomprensivo di Asmara ed il suo ruolo a beneficio delle giovani generazioni eritree ed italiane, il Governo proseguirà con determinazione nella ricerca di ogni soluzione utile alla ripresa e al rilancio delle attività scolastiche. La recente assunzione in servizio del nuovo Ambasciatore d’Italia ad Asmara, Min. Plen. Marco Mancini, è espressione e conferma di tale determinazione a ricercare ogni utile soluzione alla vicenda”.

Una risposta istituzionale, verrebbe da dire, che non convince appieno. L’Eritrea, la cui capitale viene chiamata “piccola Roma”, è da sempre amica dell’Italia. Per fare in modo che i rapporti continuino ad essere buoni, però, da parte del governo occorre più impegno. “Nella risposta manca ogni impegno del Ministero degli Esteri – sostiene Aldo Rovito, Presidente dell’Associazione Culturale Identità Italiana/Italiani all’Estero, per giungere alla riapertura della Scuola, attraverso una politica di ampia visione per ravvivare la presenza politica dell’Italia nel Corno d’Africa, come stimolo a un pacifico sviluppo economico di quella Regione”.
Mentre i colossi dell’economia mondiale, con la Cina in vantaggio su tutti, investono sul “continente nero”, all’Italia manca una solida politica africana. Non soltanto nelle zone economicamente più convenienti, ma addirittura in quell’Africa Orientale dove, nel secolo scorso, è stata un’importante potenza coloniale. L’interesse che l’Italia attribuisce alla cooperazione culturale è scarso, ma è proprio da lì che si formano intere generazioni di intellettuali, tecnici, politici e professionisti cresciuti con la cultura italiana. Non rendersene conto genera un problema che si ripresenterà nel futuro.
Per questo è necessario investire nella cultura. Sperando che nei caldi corridoi di Asmara torni a suonare quella campanella che scandisce lo scorrere del tempo dal 1903.