Erin Kitchens è una ragazza di 21 anni, nata a Beaverdam, in Virginia, che sta frequentando il semestre di study abroad presso la Siena Italian Studies.
Erin, stai trascorrendo un periodo di study abroad a Siena. Ci spieghi meglio in che cosa consiste la tua esperienza?
“Certamente! Da gennaio scorso mi trovo a Siena per un semestre di study abroad con la Siena Italian Studies, presso cui insegnano professori italiani e americani. Qui studio italiano, immigrazione, cucina, arte e svolgo anche attività di volontariato. Per quanto riguarda l’arte, in questi mesi ho dipinto il fazzoletto della Contrada del Drago su una stoffa di seta, grazie ai consigli di un senese molto bravo, che appartiene alla Contrada dell’Onda. La città di Siena è, infatti, divisa in diciassette storiche “contrade”, ognuna delle quali ha il proprio simbolo. Nell’ambito dell’immigrazione, invece, ho approfondito interessanti storie di italiani che sono partiti per l’Argentina e gli Stati Uniti e, per me che studio antropologia, queste lezioni si sono rivelate molto utili e mi aiuteranno a scrivere la tesi di laurea. Questa esperienza in Italia è stata molto importante perché ho avuto la possibilità di conoscere un nuovo mondo, dal momento che negli Usa vivo praticamente in una foresta, a Beaverdam (Virginia). Frequento il “College of William and Mary “, una delle più vecchie università americane – la seconda con esattezza dopo Harvard University -. Sono iscritta a un “major” in Anthropology e a un “minor” in Italian Studies; nell’ambito di quest’ultimo, studio in particolare la storia d’Italia, la letteratura post-coloniale e il prossimo semestre studierò avanguardismo e sperimentalismo”.
Qual è il tuo rapporto con l’Italia e con la lingua italiana?
“La mia prima volta in Italia è stata a 13 anni, quando ho trascorso un mese e mezzo a Firenze con un gruppo di americani. Quella attuale è la mia seconda esperienza di studio nel Bel Paese. Ho scelto di studiare italiano perché ero curiosa di conoscere questa lingua. Al liceo ho studiato latino, ma solo per sei anni; non è stato uno studio intenso e all’Università ho deciso di imparare un’altra lingua, che mi sarebbe sicuramente servita di più. Studiare italiano, almeno all’inizio, è stato difficilissimo, anche se amo la lingua italiana e le lingue in generale, perché mi piace l’idea di parlare, pensare in un’altra lingua e di vedere il mondo in maniera differente. Ad esempio, negli Stati Uniti diciamo “Over our head”, che significa che la cosa di cui si parla è troppo difficile da comprendere, e in Italia faccio spesso questo gesto, ma la gente mi guarda stupita perché non capisce a cosa mi riferisca! Tutto questo si riconnette all’antropologia e al modo in cui le altre persone vedono il mondo ed è importante avere consapevolezza di questa diversità. Oggi posso dire di avere un buon rapporto con la lingua italiana. L’anno scorso ho letto i miei primi libri in italiano e mi sono sentita molto fiera del risultato raggiunto. In particolare, ho letto “Pecore nere”, “Il venditore di elefanti” e il monologo “Novecento”. La grammatica italiana è particolarmente difficile per me e vivo una sorta di conflitto interiore, perché a me la lingua piace ma qualche volta sembra che io non piaccia alla lingua! Ho una grande passione per i gesti e i suoni italiani. Ad esempio, in inglese quando abbiamo dolore diciamo “auh” ma qui dite “aiah” e ieri un gatto mi ha graffiato e io ho detto “aiah” e la mia famiglia ospitante ha esultato e ha detto: “Ora sì che sei una di noi!””.
Sei una ragazza molto impegnata nel sociale, in particolare nel campo dell’integrazione multiculturale. Ci spieghi i progetti che stai seguendo?
“A Siena faccio attività di volontariato nell’ambito di un progetto legato alle richieste di asilo in Italia con l’organizzazione governativa OXFAM Intercultura. Loro gestiscono delle case dove alcuni stranieri vivono in attesa della risposta alla loro richiesta di vivere in Italia. Si tratta di migranti che sono arrivati in Italia con i cosiddetti “barconi”, che non hanno documenti e saranno clandestini fino a quando non ottengono il permesso per vivere legalmente in Italia. Al momento a Siena ci sono molti stranieri di cui si occupa Oxfam e il loro futuro dipende dalla situazione del paese di provenienza, perché se i problemi sono di natura economica la richiesta di asilo non viene accettata, mentre si accetta se c’è in corso una guerra civile. Queste persone vivono in un limbo per circa due anni, durante i quali cercano di imparare l’italiano. Anche io, come volontaria, ho provato a insegnargli le basi della lingua italiana. Negli Usa abbiamo, ormai da tempo, il fenomeno della migrazione, soprattutto dal sud America – Messico, Guatemala, Venezuela, Colombia, Argentina – e verso gli immigrati, in qualche caso, da parte degli americani non manca il pregiudizio. Alcuni emigranti vanno in Canada, anche se è più semplice entrare negli Stati Uniti, o meglio lo era, e, a maggior ragione, vorrei capire come tale processo funzioni in altri paesi per poi un giorno poter lavorare in questo campo negli USA.
Per la mia seconda attività, lavoro in particolare con i ghanesi e faccio attività di ricerca in Ghana con una NGO, chiamata Hstp Ghana, e farò una ricerca nelle comunità ghanesi utilizzando un metodo che si chiama “Community based participatory research”, con l’intento di capire i veri bisogni di alcune comunità ghanesi. Sia in Ghana, sia in Italia ho trovato persone molto gentili, eppure avverto che tra i due popoli ci sia un po’ di tensione e sto studiando queste problematiche, che saranno oggetto della mia tesi. Capire questa cosa è fondamentale, anche perché risulta assai complicato fornite un aiuto internazionale se non si conoscono le vere esigenze di un popolo. Perché si possono fare cose buone e cose molto meno buone e l’errore sta sempre dietro l’angolo, quindi si deve partire da ciò di cui la comunità necessita, rendendola consapevole del fatto che questo è il “loro” progetto e non il nostro. L’aspetto molto positivo degli USA è che l’analisi dei bisogni di una comunità si può fare tramite borse di studio e raccolte di denaro. I bisogni di una comunità possono essere i più variegati, dall’esigenza di avere dei bagni pubblici a quella di una maggiore conoscenza dei rischi legati alle malattie e alla necessità di imparare di più in merito anche a caratteristiche fisiologiche dell’essere umano, tipo il ciclo mestruale, perché su alcune tematiche ci sono ancora forti tabù. Un esperto, ad esempio, ha scritto un libro molto semplice su queste tematiche e sulla salute nel campo del sesso e, con un gruppo di donne, lo abbiamo letto e analizzato insieme. Le interviste che di solito facciamo si svolgono in inglese o con l’aiuto di traduttori, che sono persone di quell’area. Ci vuole molta sensibilità e tatto nell’approccio a culture che non si conoscono. Noi prendiamo nota di tutto e il gruppo di studenti, che provengono dai campi dell’antropologia, relazioni internazionali, sociologia e statistica, riporta le ricerche in un riassunto finale. Quando tornerò a Siena, continuerò a fare ricerca in Italia attraverso il volontariato con OXFAM Intercultura”.
In queste tue varie e intense attività, che tipo di aiuto ti ha dato la lingua italiana?
“Un grande aiuto. Soprattutto per la mia tesi su OXFAM e Ghana, perché la lingua in comune per tanti di noi è l’italiano e Siena è perfetta per mettere in pratica la mia lingua. L’italiano mi ha insegnato anche ad avere più disciplina e a capire che non sempre le cose vanno come vogliamo e che non tutto è facile come al liceo, quando si prendono sempre buoni voti. Con l’italiano ho capito che bisogna puntare a migliorarsi, provando e riprovando. A questo punto, non posso immaginare la mia vita senza la conoscenza della lingua italiana e lo studio ha rafforzato il mio carattere e la personalità. E a chi vuole venire a studiare italiano in Italia voglio dire di non scoraggiarsi se all’inizio non è facile, perché proprio il fatto che non sia facile significa che è importante, anche perché conoscere un’altra lingua e cultura arricchisce il nostro essere e io che vivo in una campagna, dalla quale tante persone non hanno l’opportunità di andare via, ringrazio la mia famiglia per la preziosa opportunità di crescita che mi ha offerto”.