Agli italiani che studiano inglese viene insegnato che il Trapassato Prossimo italiano va tradotto col Past Perfect inglese. Agli studenti anglofoni che studiano italiano viene insegnata la stessa cosa, in direzione opposta ovviamente. Dopo anni passati a confrontarmi con le due lingue, mi sento di avvisare: “Not so fast, kid!”. Quello che è, in prima approssimazione, un ottimo punto di partenza, richiede in realtà qualche ragionamento in più.
Non ho studiato lingue a livello universitario, ma avevo ottimi voti in inglese al liceo. Questa cosa di per sé non mi qualificherebbe a discernere pubblicamente di finezze grammaticali. Quello che mi ha spinto a scrivere questo articolo è, però, una lunga esperienza sul campo, unito alla virtù di essere diventato io stesso professore di italiano per mio figlio, altrimenti avviato inesorabilmente al monolinguismo a stelle e strisce.
Sono madrelingua italiano. Il mio primo impatto con l’inglese è stato nella scuola media del bel paese. Negli anni, ho scritto parti di libri in inglese e svariati articoli sia in inglese che in italiano. Sempre su argomenti informatici ovviamente. Come CTO di un’azienda di informatica statunitense, spesso mi trovo a scrivere email, documenti ad uso interno e anche blog post pubblici diretti ad una platea internazionale.
La domanda a cui provo a rispondere un po’ tutti i giorni riguarda la tensione tra due requisiti in contrasto tra loro, e i compromessi che, di volta in volta, vado trovando per risolvere il contrasto. Ecco la domanda:
“Come padroneggiare un inglese corretto che abbia però l’espressività che riesco a raggiungere in Italiano?”
L’obiettivo non è sempre facile da raggiungere, ma con l’esperienza ho accumulato un certo arsenale di trucchi che utilizzo con successo tutti i giorni. Oramai ho finito per considerare la grammatica, sia che si parli di quella italiana o di quella inglese, come un’impalcatura. È uno strumento utilissimo e formidabile per arrivare a capire come si formano frasi corrette. Ma non si illuda chi vuole imparare davvero una nuova lingua. La grammatica da sola non basta. Esiste di fatto una “sensibilità della lingua” che non può essere data da una mera conoscenza delle regole grammaticali, ma solo da anni di esperienza sul campo. Ed esperienza sul campo significa non solo riuscire a farsi capire in una lingua che non è la propria, ma osservare quotidianamente come i madrelingua siano in grado di creare frasi e utilizzare espressioni che (ancora) non fanno parte del nostro armamentario, quello che i linguisti chiamano, credo, il “vocabolario attivo” di ciascuna persona. Un esempio significativo che mi torna in mente viene dal giorno in cui raccontai ad un americano di come, mentre guidavo, mi si era parato dinnanzi un ostacolo improvviso, e così “I braked”. “You…braked?”. Sì! Frenai. Il mio interlocutore mi fece notare che l’espressione era sbagliata e che quella corretta era “I jammed on the brakes”. Vocabolario alla mano eccepii che il verbo “to brake” esisteva ed era regolare. Niente da fare. Era meglio che registrassi quel “I braked” come errato. In America proprio non si dice. (Che poi non è proprio così. Quelli che hanno studiato mi confermano che l’espressione è corretta ed utilizzabile. I madrelingua senza studi specifici sostengono, però, che l’espressione “I braked” stona e proprio non gli torna. Interessante).
Questo è uno dei tanti esempi di come la grammatica aiuti, ma, al tempo stesso, la lingua vada oltre la grammatica. Le reti neuronali della nostra mente registrano pattern, e sono quelli a decidere se la lingua usata da qualcuno sia corretta oppure no. La grammatica è un tentativo a posteriori di descrivere quei pattern, ma il dominio completo della lingua ce l’ha solo chi l’ha imparata da bambino, magari senza avere le strutture di altre lingue a confondergli le idee. Ovviamente la prova del nove di tutto questo è che la stragrande maggioranza di persone non conosce, o ha scordato, le regole grammaticali della propria lingua. La usano e basta. Provate a chiedere a un Italiano quale sia il Trapassato Remoto del verbo “andare”, o ad un Americano medio quale sia il Past Perfect del verbo “to go”, e, probabilmente, vi risponderanno che sì, ricordano vagamente di averlo studiato a scuola anni addietro, ma non sono in grado di dare una risposta al volo.
L’introduzione è stata lunghetta. Ma necessaria per arrivare al punto. Voglio parlare del rapporto tra Past Perfect in inglese e Trapassato Prossimo in italiano. Le grammatiche che si trovano in giro raccontano di come ci sia una correlazione biunivoca tra i due: il past perfect deve diventare trapassato e viceversa (per chi avesse dubbi su ciò di cui stiamo parlando, ecco un veloce corso di recupero). Questa corrispondenza è sicuramente una buona approssimazione per chi si avvicina allo studio dell’altra lingua. Ad esempio:
Gianni era già andato in North Carolina per il fine settimana quando l’ho invitato alla festa. | Gianni had already gone to North Carolina for the weekend when I invited him to the party. |
Pulito e regolare. In una frase al passato occorre fare riferimento ad un fatto avvenuto ancora prima. Trapassato e Past Perfect tense svolgono egregiamente questa funzione nelle rispettive lingue.
Ma qui cominciano i problemi da cui un madrelingua italiano, forte solo di una conoscenza liceale dell’inglese, deve tutelarsi. Chi decide che un’azione o un fatto accaduto prima di un altro siano da mettere in relazione temporale? In casi come quello sopra la sequenza temporale è ovvia ed ineccepibile in entrambe le lingue, ma l’esperienza mi ha rivelato che spesso in italiano usiamo il Trapassato Prossimo in contesti che difficilmente un americano penserebbe di gestire tramite Past Perfect. Vediamo alcuni esempi:
Ti avevo contattato il mese scorso, ma non mi hai risposto. | I reached out last month, but you did not respond. |
Qui le cose non sono più così chiare. Un madrelingua italiano percepisce dal contesto l’anteriorità del tentativo di contattare l’altro e, giustamente, usa il Trapassato. Eppure un madrelingua americano non userebbe il Past Perfect in quella situazione. (Ci sarebbe anche qualcosina da dire sull’uso del Simple Past dove un britannico userebbe il Present Perfect, ma non divaghiamo troppo…). Un altro esempio:
Il giocatore è stato espulso con un secondo cartellino giallo. Evidentemente il primo non era servito da avvertimento. | The player was expelled with a second yellow card. Obviously the first one did not serve as a warning. |
E cosa dire di:
La macchina che era partita per prima è arrivata ultima! | The car that started first arrived last! |
Detta in altre parole, basta molto meno, in italiano, per far riconoscere in una frase un momento passato implicito a cui fare riferimento tramite trapassato prossimo. La realtà è che il Trapassato Prossimo è molto più popolare in Italia di quanto lo sia il cugino Past Perfect negli Stati Uniti.
Ma vediamo altri scenari. L’uso del Trapassato Prossimo può essere usato in Italiano per creare suspense e aspettativa in una narrazione. Ad esempio:
Gianni quel giorno si era alzato come tutte le mattine. Si era fatto la barba con i resti della schiuma della bomboletta esaurita e aveva fatto colazione con il solo caffé, come era suo solito. Incamminatosi in strada, non aveva notato nell’immediato che tutto appariva assai più calmo del normale…
Una bella sfilza di Trapassati insomma. E tutti legittimi. Che cosa capirebbe un lettore (madrelingua italiano) leggendo questo pezzo? Capirebbe che è una giornata normale come tutte le altre per Gianni, ma anche che c’è, con grande probabilità, una sorpresa in aguato. Tutti quei trapassati hanno creato l’aspettativa che, di lì a poco, qualcosa di assolutamente insolito, o addirittura sconvolgente, si stia per manifestare in tutta la sua chiarezza nella vita di Gianni.
Adesso chiedetevi (e questo è il tipo di domande che mi faccio spesso io da anni) se uno scrittore americano potrebbe mai far partire il capitolo di un libro con una serie di Past Perfects come ho appena fatto io in Italiano. La mia risposta è no. Probabilmente non lo farebbe. Suonerebbe artificiale e poco scorrevole. Penso che un americano strutturerebbe l’intero paragrafo in maniera diversa per raggiungere lo stesso effetto. Ad esempio:
The day had started off as usual for Gianni. He got out of bed just like every morning. He shaved with the remains of an exhausted shaving cream can. His customary cup of coffee was all he had for breakfast. As he hit the road, he did not immediately notice that everything appeared way calmer than normal…
La frase all’inizio usa effettivamente un Past Perfect per creare il contesto, ma da quel momento lo scrittore è “smarcato” e può permettersi di sfruttare il Simple Past, l’unico tempo al passato con cui, a mio modesto parere, gli americani si sentono veramente a casa loro (sarei curioso di sapere cosa ne penserebbe un lettore britannico…. È una domanda buona per il giorno che me ne capita a tiro uno).
Questo è un punto importante. Se qualcuno mi chiedesse qual è stata per me la lezione fondamentale nell’apprendimento delle lingue, sentirei di poter fare questa considerazione: il pensiero non è una variabile indipendente della lingua, bensì imparare una nuova lingua significa per prima cosa imparare a pensare diversamente rispetto a quanto si fa con la propria, in modo che le frasi nascano da subito con una struttura più aderente a quella che userebbe un madrelingua.
Per finire, ecco il mio consiglio. Se state imparando una lingua nuova, imparate per prima cosa ad osservare. Presto scoprirete che la grammatica è solo una parte del viaggio. Quell’altra parte la dovete fare da soli con l’osservazione. Quando avrete anche voi delle “rivelazioni”, vorrei che tornaste qui e scriveste nei commenti cosa avete scoperto. Potrei rispondervi con un trapassato “Ve l’avevo detto!” (da tradursi con “I told you!”, un Simple Past).