“A me cosa interessa cosa hanno fatto i greci e i latini?” Ah, che difficile avere a che fare con delle persone orgogliose della propria ignoranza. Parafrasando Socrate: non sanno di non sapere e ne fanno motivo di vanto. Mangiano, consumano, comprano: usano cibi, corpi, oggetti indistintamente. Qualcuno va anche a messa la domenica, per assicurarsi l’aldilà, casomai ci fosse. Non leggono, non oziano in compagnia di se stessi, non si guardano dentro, solo allo specchio. Non pensano, tuttalpiù ‘meditano’ pilotati da un coach. Conducono una vita bestiale e finiscono per amare solo i loro cani e gatti, con cui si intendono a meraviglia.
Nel 1977 in Italia lo studio del latino cessa di essere obbligatorio alle scuole medie. Il latino diventa ufficialmente una lingua inutile. Per diventar ricchi. Dopo almeno tremila anni la conoscenza non è più ricchezza. Di esser ricchi interiormente non interessa più a nessuno. Men che meno a uno Stato che campa sui nostri guadagni. Siamo stati riprogrammati e messi al guinzaglio per produrre cacca culturale. E non lo sappiamo, perché il metodo di studio è stato distorto per renderlo più facile, accessibile a tutti. Ora è tutto un pianto greco perché ai giovani è stato tolto il futuro. Ma alle bestie interessa vivere solo il presente, comodamente. Allora come la mettiamo: vogliamo far crescere i nostri cuccioli?
Si potrebbe ripartire dall’Eneide, libro IV, se per i giovani non fosse troppo faticoso, e ascoltare Virgilio: “Tu non cederai ai mali, ma affrontali più audace di quanto ti permetta la Fortuna”. Nicola Gardini, che insegna a Oxford, nel suo libro “Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile” sottolinea che “nell’eventualità di una catastrofe totale l’Eneide sarebbe il libro da salvare, perché è l’anticipazione di molti altri libri, ed è una condensazione dell’Odissea e dell’Iliade, i libri più antichi della civiltà occidentale.” Per secoli è stata una sorta di “altro vangelo”. Mi viene in mente che la guerra civile cinese distrusse tutta la libreria di Chiang Kai-Shek, ad eccezione di due libri: i libri del dare ed avere, i libri più importanti per un cinese. Ci professiamo anticomunisti, ma siamo dei comunisti culturali perché abbiamo imparato da Mao: nel processo di democratizzazione dell’Italia abbiamo cancellato il pensiero e la bellezza della lingua latina.
Nicola Gardini e il medievalista Alessandro Barbero alla conferenza “L’eredità di Roma” – durante il Festival “E’ Storia” di Gorizia – hanno ricordato che “sino all’inizio del ‘900, per avere un ruolo nella vita, si dava per scontato che bisognava aver finito le scuole superiori e aver imparato il latino. Questo faceva di te una persona più forte. Ma con la democratizzazione culturale si decise che tutti dovevano aver accesso all’istruzione, quindi bisognava semplificare lo studio e la vita ai giovani per inserirli nel mercato del lavoro… Chi attacca il latino non sa cosa sia lo studio. E’ la lingua di una grandissima cultura letteraria, filosofica, storica, scientifica. Non è una piaga italiana, ma la chiave di volta del sapere: permette di risalire alle nostre strutture mentali. Forma quella speciale sensibilità che è lo spirito critico grazie al quale riconosci il ragionamento fazioso. Purtroppo oggi si tende a dubitare di chi sa qualcosa di troppo complesso. La società soffre di un complesso di sfiducizzazione. Noi italiani siamo i depositari di un grosso pezzo dell’eredità di Roma in senso monumentale, mentre tutta l’Europa in senso culturale. Dobbiamo averne coscienza, perché ci riporta al senso delle origini, delle nostre radici, e tutti abbiamo bisogno di memoria. Ci serve a raccontarci in una dimensione non individualistica per sentirci popoli, nazioni, per creare un’unità nelle differenze. Se un popolo è un grande Paese, e può dire di essere depositario di questa eredità, allora questo privilegio è una forza. Dobbiamo fare in modo che queste radici stiano bene per sopravvivere. Una memoria personale si può perdere per un incidente o perché non si vuole ricordare più. Inoltre oggi si tende a rimuovere, a dimenticare. Ma se una memoria generazionale non può mai essere condivisa, la memoria culturale è lo studio del passato: un viaggio bellissimo nella libertà, esco dalla mia storia e attraverso i secoli”.
Scrive Gardini all’inizio del suo libro: “Grazie al latino non sono stato solo. La mia vita si è allungata di secoli e ha abbracciato più continenti. Se ho fatto qualcosa di buono per altri, l’ho fatto grazie al latino. Il buono che ho dato a me stesso, quello non c’è dubbio, l’ho tratto dal latino”.