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L’approccio Reggio Emilia: insegnare guardando

Alla Montclair State University (NJ), risposte del sistema americano ad una filosofia educativa italiana

Talia AntonaccibyTalia Antonacci
metodo reggio emilia

Un momento dell'evento dedicato al metodo Reggio Emilia, organizzato il 15 marzo alla Montclair State University

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L’Approccio Reggio Emilia è una filosofia pedagogica progressista, unico nel suo genere, che ha fatto strada dall’Italia all’America, ispirando insegnanti e genitori. In un momento in cui la standardizzazione nelle scuole pubbliche americane sta diventando l’approccio prevalente, si assiste ad un’infelice riduzione dei corsi d’arte, musica e teatro e di altri programmi di ambito creativo, che sta generando grande preoccupazione per un sistema scolastico che sacrifica la creatività nel nome dell’uniformità e dell’omologazione. Al contrario, l’Approccio Reggio Emilia si concentra sull’individualità del bambino, i suoi interessi, il suo potenziale e sull’uso dell’arte per innovare; motivo per cui in molti iniziano a vedere in questo approccio la luce alla fine del tunnel nelle riforme dell’istruzione.

Il 15 marzo, l’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies ha presentato alla Montclair State University un incontro sull’Approccio Reggio Emilia come parte della sua programmazione culturale. Nell’introdurre l’evento, Teresa Fiore, responsabile dell’Inserra Chair, ha portato all’attenzione del pubblico la ricchezza del programma proposto: insieme ad una preside, un’insegnante, e un genitore di una scuola ispirata al Reggio Emilia Approach in New Jersey (A Child’s Place School), il pubblico ha avuto l’opportunità di ascoltare Lella Gandini, nota rappresentante di Reggio Children per la diffusione del Metodo Reggio Emilia negli Stati Uniti.

metodo reggio emilia
Lella Gandini, divulgatrice dell’Approccio Reggio Emilia, durante l’evento alla Montclair State University

Il Reggio Emilia approach è stato creato, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, da Loris Malaguzzi, pedagogista e insegnante che credeva nell’innata abilità e curiosità dei bambini e nel loro coinvolgimento in un ambiente specifico. Gandini ha presentato i fondamenti di questa strategia citando lo stesso Malaguzzi: “Uno dei nostri punti di forza è sempre stato partire da una dichiarazione esplicita dell’immagine molto aperta che abbiamo del bambino. Cosa significa? Significa un’osservazione dell’interazione dei bambini con gli insegnanti, insegnanti che osservano e imparano dai bambini quali sono i loro interessi”.

Attraverso la storia di Laura, una bambina di 10 mesi, Gandini ha fornito al pubblico un esempio di una lezione ispirata al metodo e ha mostrato l’importanza di osservare e documentare con appunti e foto l’apprendimento in una reale esperienza di vita. Una bella selezione di foto in bianco e nero mostrava Laura mentre guarda un catalogo e resta colpita da una pagina con degli orologi, l’insegnante che pensa prontamente di mostrare il suo orologio a Laura e la piccola che lo tocca, lo osserva, ne ascolta il ticchettio: farà un collegamento? Gandini in seguito ha mostrato al pubblico una foto di Laura che prova ad “ascoltare” gli orologi nel suo catalogo avvicinando l’orecchio alla pagina, concludendo che Laura ha colto l’invito dell’insegnante a “generalizzare l’idea di orologio”.

“Tutti i bambini hanno qualcosa da insegnarci – ha aggiunto Gandini – compresi i bambini con bisogni speciali, che vengono chiamati a Reggio ‘bambini con diritti speciali’”. L’approccio è così dinamico che professionisti e genitori esprimono spesso dei dubbi sull’inserimento di questi bambini all’interno del metodo. Gandini ha però spiegato come, nelle scuole con sede a Reggio Emilia “i bambini con bisogni speciali sono i primi ad essere ammessi perché c’è davvero un’attenzione speciale per loro e un forte sostegno da parte della città. Certamente, le loro esigenze sono molto diverse, quindi un gruppo di coordinatori pedagogici specializzati entra in gioco…”

metodo reggio emilia
Kathleen Berkowitz, direttrice della scuola A Child’s Place

Kathleen Berkowitz, direttrice della scuola A Child’s Place, ha commentato lo sviluppo del Metodo Reggio Emilia negli Stati Uniti dalla prospettiva della sua esperienza diretta in una scuola che a questa filosofia si ispira. Ha spiegato che gli insegnanti, mentre ascoltano i bambini e li osservano, hanno bisogno di studiare, collaborare, discutere, pianificare e riflettere sul loro lavoro, per fare valutazioni autentiche, per poi documentare il loro lavoro, al fine di rendere l’apprendimento “visibile”. E se da un lato ricevono sostegno nello sviluppo professionale, dall’altro viene loro richiesto di correre qualche rischio nell’esplorazione e di sviluppare relazioni basate sulla fiducia, non solo con i loro colleghi ma anche con i genitori, diventando alleati nel sostenere e facilitare le idee e gli interessi dei bambini. Berkowitz ha concluso il suo intervento in maniera incisiva: “I bambini non sono recipienti da riempire; bisogna fornire loro stimoli al pensiero e all’apprendimento. I bambini nascono curiosi”.

I bambini e le loro abilità sono infatti al centro della strategia Reggio Emilia. Per dirlo con le parole di Loris Malaguzzi: “Il bambino è fatto di cento. Il bambino ha cento lingue, cento mani, cento idee, e cento modi di pensare, giocare, parlare”. Con la strategia Reggio Emilia i bambini possono arrivare al loro vero potenziale: esplorare, creare, pensare, lavorare insieme e fare. Le parole di Malaguzzi, riportate dalla voce di Lella Gandini hanno rappresentato il climax della serata.

Debbie Piescor, maestra dell’istituto A Child’s Place, ha descritto “un giorno qualunque” in una scuola ispirata all’Approccio Reggio Emilia, discutendo i motivi e le convinzioni sottese a questa strategia. Anche se il programma resta  lo stesso di anno in anno, l’esperienza è diversa perché gli insegnanti imparano al fianco dei bambini e continuano a costruire il piano di studi in questo processo. Piescor ha definito gli insegnanti come ricercatori: “Non al fine di avere delle risposte da propinare ai bambini, poiché non è in ciò che risiede il valore dell’esperienza dell’apprendimento, ma per accrescere quel potenziale che può aiutarli a sviluppare il loro pensiero”. A una domanda dal pubblico riguardo l’integrazione  in questa filosofia pedagogica delle norme di base sul piano di studi, un tema centrale per gli obiettivi del sistema educativo statunitense, Piescor ha offerto una risposta equilibrata: “Cominciamo con l’esperienza dell’apprendimento e da lì deduciamo le norme”.

Piescor ha spiegato che l’ambiente scolastico è una componente fondamentale per l’applicazione di questa filosofia pedagogica e viene considerato come il “terzo insegnante” (le scuole hanno infatti un atelier, una piazza, una cucina, e dello spazio all’aperto). L’importanza dell’ambiente nell’apprendimento è la ragione per cui le scuole  che seguono questo metodo in Italia non possono essere esattamente riprodotte in America. Per questo motivo, al di fuori dell’Italia, le si definisce scuole “ispirate all’Approccio Reggio Emilia”.

metodo reggio emilia
Teresa Fiore (a destra), responsabile dell’Inserra Chair e Debbie Piescor, insegnante alla A Child’s Place School

Piescor ha spiegato: “Il nostro lavoro in quanto insegnanti è quello di creare un ambiente che stimoli i bambini non solo nell’imparare a imparare, ma anche a diventare studenti fortemente motivati e capaci di fare nuovi collegamenti e scoperte tra di loro, in maniera autonoma e insieme agli insegnanti”. Di grande interesse il video degli studenti che condividono opinioni diverse su un oggetto trovato nel giardino della scuola: è la radice di un albero, un osso di dinosauro, o cos’altro? Le varie spiegazioni basate sulla osservazione della natura e l’immaginazione creano così una discussione vivace tra i bambini.

Gina Miele, insegnante di italiano alla Montclair State University e genitore di uno studente di A Child’s Place School, ha condiviso col pubblico una prospettiva diversa ma molto importante. Il suo amore per l’Approccio Reggio Emilia l’ha ispirata ad incorporarne alcuni dei valori fondamentali nella sua classe. “Il rispetto per lo studente  in quanto collaboratore alla pari nelle ricerche accademiche è fondamentale a livello universitario” ha detto Miele che lo applica nelle sue classi con un insegnamento basato su progetti ed un piano di studi in continua evoluzione che nasce da linee guida generali per rispondere continuamente alle necessità degli studenti”.

Lungi dall’essere un marginale fenomeno sperimentale, l’approccio Reggio Emilia promette di rinvigorire l’attuale sistema educativo. Come ha detto Debbie Piescor in conclusione: “C’è una rivoluzione in corso. Varie scuole, genitori e sovrintendenti degli istituti pubblici ci dicono che c’è bisogno di un cambiamento e si rivolgono a noi per sapere come operiamo”.

Se un numero sufficiente di persone lavoreranno per incorporare aspetti della strategia Reggio Emilia nelle scuole pubbliche, forse si potrà generare un reale cambiamento e i bambini di tutto il Paese potranno raggiungere il loro vero potenziale. È di certo affascinante vedere come una strategia educativa nata in una città italiana relativamente piccola, in un’era di perdite e desiderio di ricostruzione, possa avere un impatto sugli Stati Uniti contemporanei. In questo senso, il programma ha certamente ispirato studenti in tirocinio e insegnanti a riflettere su questa eredità tutta italiana e a ripensare le proprie abitudini quotidiane oltre a quelle del sistema in cui operano.


L’autore: Talia Antonacci è una studentessa del corso di laurea in Italiano della Montclair State University (NJ).

Traduzione di Laura Campisi.


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