Letto l’ottimo libro di Marco Esposito Vuoto a perdere – Il collasso demografico italiano, come invertire la rotta (Rubbettino) viene da chiedersi se la nostra gente sia consapevole che, per garantirsi un minimo di crescita economica e la sopravvivenza come comunità nazionale, non può continuare a non procreare e al tempo stesso rifiutare di accogliere bene gli stranieri che vogliono lavorare da noi.
La certificazione statistica del progressivo rifiuto delle culle dopo il primo o il secondo figlio, risale al 1980, quando le nascite scesero a un livello mai prima registrato nello stato unitario. Il paese sopperì ai bisogni dell’economia spostando al centro nord gli abitanti di un mezzogiorno ancora prolifico. Tra gli effetti collaterali, la rimozione collettiva del declino demografico che stava già pervadendo l’intero stivale. L’abbaglio fu accentuato dall’arrivo di immigrati giovani: i loro figli “italiani” illusero chi voleva essere illuso.
Presto arrivò l’inevitabile peggio. Un’alta percentuale di coppie di immigrati insoddisfatti, rientrarono nei loro paesi. Altre ridussero le gravidanze e spinsero i figli verso destinazioni estere migliori per gli studi e la professione. Cosa che da tempo facevano ogni anno molte decine di migliaia di nostri ragazzi, il cui futuro (figli compresi) si sarebbe svolto fuori dai confini patri.
Si aggiunga che la deriva italiana del dopo Mani pulite, aveva colpito con particolare violenza i migranti interni, in condizioni obiettive di maggiore precarietà. Non sorprende leggere nel libro di Esposito che ad allora risale la repentina caduta di natalità al sud. Questa nel 2006 avrebbe assunto valori inferiori alla media nazionale.
Il fenomeno, intensificatosi nel ventennio successivo, ha generato la condizione di “vuoto a perdere” meridionale che ha ispirato a Marco Esposito il titolo del libro. L’autore ha scritto: “IL SUD È VUOTO. VUOTE LE CULLE, semivuote le scuole, povere di giovani le aree interne per le partenze di studenti, lavoratori, sognatori.I ragazzi di Napoli, Palermo, Bari tra loro non chiedono “Cosa farai?” ma “Dove andrai?” perché il Sud è percepito come inutile. Un “vuoto a perdere”.”
La percezione collettiva del problema e le prime misure – purtroppo palliative – si sarebbero prodotte solo negli anni ’20 del nuovo secolo. Collocandosi la fecondità per donna italiana più vicina a uno che a due figli, la faccenda del cosiddetto inverno demografico era diventata davvero seria. Ammesso che, come dicono nell’attuale governo, si voglia finalmente intervenire e che di conseguenza si intenda adottare politiche pubbliche di sostegno attivo al ristabilimento dell’equilibrio demografico, non sarà facile ricondurre la fecondità femminile italiana a 2,1, l’indice indicato dai demografi come ottimale per il mantenimento della popolazione.
Resta infatti da capire perché figlie e nipoti delle italiane che da mezzo secolo praticano lo sciopero delle culle, dovrebbero tornare a partorire. Da qui l’invito ai politici a mettere da parte l’argomento del patriottismo politico ed economico, così come quello del contributo al bene collettivo della società; su questo genere di appelli fallì persino Hitler, quando provò a stimolare le donne tedesche a riprodursi.
Esposito, giornalista napoletano e per un quadriennio assessore alle attività produttive a Napoli, richiama le tappe del crollo delle nascite, per togliere dalla testa del lettore l’idea che tornare a far figli in Italia sia cosa semplice: “da 1.035.207 nati nel 1964, a 657.278 nel 1980 fino a 393.333 nel 2022, con un trend da 100 a 38 che non può lasciare indifferenti.”
Suggerisce quindi delle misure che potrebbero aiutare a riportare il fenomeno sopra il livello di guardia. Il punto centrale del ragionamento è che, per ragioni che illustra in modo convincente, la garanzia di stabilità demografica sta in 700.00 nati l’anno, quota che ovviamente le italiane non potranno raggiungere. Il loro sforzo va integrato con il frutto di coppie di immigrati disposte a integrarsi, con i figli “italiani”, nella comunità nazionale.
Il sistema previdenziale dovrebbe ristrutturarsi interconnettendo con calcoli attuariali tre generazioni: nonni figli nipoti. La cultura dell’individualismo maschio femmina, subentrata a quella patriarcale/matriarcale della famiglia, andrebbe sostituita con quella di coppia, anzi delle coppie, le 350.000 che, in all’insegna del 2×2 garantirebbero la sopravvivenza italica.
L’autonomia differenziata va fermata: secondo l’autore peggiorerà la già critica dimensione demografica meridionale.