Sull’istituzione di una commissione bicamerale di inchiesta dedicata alla scomparsa di Emanuela Orlandi, il governo ha fatto un inaspettato passo indietro. Proprio oggi, la commissione Affari costituzionali ha rinviato il voto, dopo che il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha chiesto, a nome dell’esecutivo, che i tempi vengano dilatati per permettere ulteriori “approfondimenti”.
È l’ennesimo rallentamento in una vicenda che da quarant’anni lascia perplessa l’opinione pubblica italiana e sulla quale Fabrizio Peronaci, giornalista oggi caporedattore al Corriere della Sera, non ha mai smesso di indagare.
Lui, quella fascetta nera in mezzo alla fronte non l’ha mai dimenticata. Quel sorriso che mette in mostra i denti e gli occhi puntati sull’obiettivo di una ragazzina di 15 anni che nel 1983 divenne protagonista delle strade di Roma sono ancora impressi nella sua memoria.
“Emanuela Orlandi è scomparsa. Aveva capelli lunghi, neri e lisci, indossava pantaloni jeans, camicia bianca e scarpe da ginnastica. Non si hanno sue notizie dalle ore 19 di mercoledì 22 giugno, chi avesse utili informazioni è pregato di telefonare al numero 69.84.982”.
Un evento che ha creato dietro di sé una scia di domande senza risposta. Dubbi che hanno spesso lasciato spazio a speculazioni e complottismo e dentro ai quali Peronaci ha speso anni di indagini e inchieste.

Ne sono nati articoli e libri come “Mia sorella Emanuela” (2011), “Il Ganglio” (2014) e “Il crimine del secolo” (2021), incentrato sull’attentato fallito a Papa Wojtyla del 13 maggio 1981. Il caso Orlandi, probabilmente, nacque da lì, da quel tentato omicidio portato avanti dell’estremista turco di estrema destra Ali Agca.
Da chi venne realmente armato? La pista portò velocemente ai comunisti dell’Est, che odiavano il Papa tanto legato all’amministrazione americana e all’atlantismo in un momento in cui ancora la Guerra Fredda divideva il mondo in due.
La vicenda è tornata alle cronache grazie anche alla serie uscita su Netflix, Vatican Girl, quattro puntate da un’ora ciascuna in cui la storia viene sviscerata. “Netflix è riuscito per la prima volta a raccontare tutto – commenta Peronaci – Ha messo sul tavolo le piste e gli scenari emersi in tanti anni, senza limitarsi ad analizzare solo l’ultimo fatto accaduto”.
È infatti ben spiegata la teoria del “ricatto rosso”, così come la visione di chi, dietro al rapimento, ci ha visto negli anni un intrigo di proporzioni ancor più grandi, in grado di coinvolgere la massoneria, le forze dell’ordine e persino il servizio segreto italiano. Non è un caso, infatti, che la storia tocchi anche gli Stati Uniti. Alcuni dei messaggi e delle lettere inviate dai rapitori di Emanuela partirono dalla città di Boston. “C’era più di un polo da cui partivano gli input – continua la firma del Corriere – e le lettere dall’America sono uno dei punti più misteriosi di questo caso”.
Qualunque sia la verità, una cosa è certa: il caso Emanuela Orlandi rappresenta una delle pagine più oscure della storia italiana, fatta di corruzione, potere e silenzi. Una ferita non ancora rimarginata per l’opinione pubblica, che mai ha smesso di interrogarsi sul caso.

Ora che la vicenda è tornata ad essere di attualità, con il Vaticano che ha riaperto le indagini, è ancora possibile sperare in una soluzione o è un caso destinato a non essere mai risolto?
“Tutto dipenderà dai testimoni – racconta Peronaci – ci sono uomini che quella storia l’hanno vissuta in prima persona, che la conoscono e saprebbero rispondere a qualsiasi domanda. Ormai sono anziani e non rimane molto tempo perché possano decidere di parlare”. L’attenzione della collettività, in questo, può essere d’aiuto. Tenere attiva l’informazione e convincere chi di dovere a non smettere di cercare le prove.
Non si può fare a meno di chiedersi perché, in un paese come l’Italia dove famiglia e religione sono considerati valori sacri, qualcuno possa aver avuto il coraggio rapire una giovane ragazza innocente e di buona famiglia. Forse la realtà è capace persino di superare la fantasia e il caso Emanuela Orlandi è solo la punta di un iceberg più grande e oscuro di quanto si possa immaginare.
Nonostante tutto, Fabrizio Peronaci continua a lavorare. “La verità vi renderà liberi”, diceva Gesù nel Vangelo secondo Giovanni. Tra le mura Vaticane, dove quel passo devono conoscerlo in molti, il sospetto è che la parola “verità” faccia ancora paura anche dopo quarant’anni.