Se per i più Piccole Donne, di Louisa May Alcott – la scrittrice realista per eccellenza, che racconta storie vere, e insegna a vivere senza rinunciare ai sogni, – è un libro senza tempo, da leggere all’infinito, non lo è mai stato per Veronica. Lei è la protagonista di Niente di vero (Einaudi), l’ultimo libro di Veronica Raimo, che a “cinque anni si limitava a leggere l’edizione ridotta” e “la sua famiglia di letterati e ipocondriaci non si dava pace”.
Eppure nonostante l’avversione, c’è una cosa che le accomuna: Louisa May Alcott “scriveva storie allegre per nascondere i problemi” e Niente di vero è tutto giocato su una doppia ironia. Quella socratica che dissimula e l’ironia moderna che nulla nasconde, e dice apertamente il contrario di ciò che intende.
Il libro è una cronistoria di un’illuminazione esistenziale che si fa strada pagina dopo pagina faticosamente, e insegue, consapevole le difficoltà e le sfide della vita di Veronica, ma soprattutto del suo crescere.
È una trama che intrattiene, spassosa come uno spettacolo teatrale che racconta dell’infanzia, dei nonni, del catechismo, dell’ingegno inarrivabile, del candore e delle eccentriche nevrosi. Ed è difficile non empatizzare, perché la mamma di Veronica, Francesca, è un pò la mamma ansiosa che per interscambio generazionale femminile è in tutte le donne. “Quella che per tutta la durata del panico, contratta con il Signore e si impone dei fioretti” e che Veronica cerca di convertirli in azioni propositive. Impresa impossibile – quella di voler cambiare i genitori – che farebbe “scuotere il capo”, anche alla signora March, l’archetipo della santa madre.
Eppure Veronica Raimo è riuscita con la sua agilità a fare una pernacchia all’energia paralizzante dei traumi familiari, merito che le è stato riconosciuto con la vittoria del Premio Strega Giovani 2022 e con l’annuncio che la vede finalista del più rilevante premio letterario italiano: il Premio Strega. Così, quando ci racconta – in attesa della serata di premiazione (7 luglio nel Museo Etrusco di Villa Giulia) e dell’uscita del libro negli Stati Uniti – di questi giorni intensi e dell’arte dello scrivere, le sue parole schiette e gentili catapultano in una godibilissima verità, da leggere tutta di un fiato, come il suo libro.
Il viso arricciato, della foto sulla copertina del libro (di Marta Bevacqua), è il sipario perfetto di una prosa nervosa e pungente sui legami familiari. Cosa c’è di Veronica in quel tenero ritratto?
“Trovo che la copertina sia perfetta nella sua ambiguità espressiva. Non è una novità avere un volto di donna in copertina, ma spesso abbiamo uno sguardo frontale, una sorta di sfida a lettori e lettrici. La ragazzina in copertina fa una sfida inversa, si rintana quasi in un rifiuto che può essere fatto di disagio o imbarazzo. In questo senso c’è molto di me, così come della protagonista”.

Quando le è venuta in mente l’idea di scrivere questo generoso libro?
“Ho cominciato a scriverlo poco prima della pandemia. Non avevo un’idea chiara in testa. Ho buttato giù quello che è rimasto l’incipit del romanzo, e mi sono resa conto di avere un tono, una voce. Ho provato a costruire degli eventi seguendo quella voce lì, mi sono divertita molto a farlo”.
Raccontare di sé stessi richiede impegno, compromessi, perdono e, soprattutto, sforzo emotivo. Quanto l’ha aiutata il registro comico?
“Non credo che il racconto di sé richieda uno sforzo emotivo superiore alla costruzione di altri personaggi meno vicini al sé-scrivente. Per me la protagonista di Niente di vero, in questo senso, resta un personaggio, e il mio rapporto con lei vive di tutte le tensioni e gli avvicinamenti che chi scrive ha con i propri personaggi. Il registro comico è una stata una scelta stilistica, volevo raccontare la storia di una donna e di una famiglia rovesciando certi stilemi legati a queste narrazioni”.
Ha mai avuto la sensazione che i suoi personaggi le sfuggivano, che uscivano fuori dal suo controllo?
“Non considero il rapporto tra me e i miei personaggi come un rapporto di controllo e quindi di ipotetica fuga, né come un rapporto di sudditanza. Ma non penso nemmeno che i miei personaggi abbiano una vita a prescindere da me. Semplicemente senza di me non esisterebbero. Questo non significa che sappia già cosa faranno, cosa diranno, o cosa penseranno; esiste un margine piuttosto ampio di sorpresa o di incertezza”.
La sincerità è la pulizia del cuore, quella che lo rende trasparente. L’onestà si è imposta o è stata decisa?
“Non si può essere davvero trasparenti con sé stessi, e in verità nemmeno lo desidero. Penso che il grado di opacità, di indeterminatezza, rispetto a noi, ai nostri desideri, alle nostre intenzioni crei un territorio più interessante e vitale, uno scarto rispetto a una consapevolezza già determinata e quindi ottusa. Almeno letterariamente mi interessa di più quel territorio”.
Per depistare la madre, Veronica “regala una versione di se stessa a suo uso e consumo” ed è “alla costante ricerca di un modo per scappare di casa”. È tra i sette finalisti del Premio Strega (una novità assoluta, non si era mai vista una settina). Quando è arrivato il comunicato ha pensato anche lei di fuggire come la protagonista del libro?
“Be’, sì, confesso che un’idea di fuga mi è balenata in testa”.
Fortunatamente non lo ha fatto e nel frattempo è stata proclamata la vincitrice del Premio Strega Giovani 2022. Come la fa sentire questo riconoscimento?
“Non posso che essere felice, soprattutto pensando a me e a quanto siano stati importanti nella mia vita i libri che ho amato da giovane”.
Qual’è il suo rapporto con i premi letterari?
“Non so che rapporto ho con i premi letterari. In generale non ho un ottimo rapporto con costrizioni e formalismi, quindi spero non sarà troppo atroce da quel punto di vista. Per ora sto cercando di capire quali siano le regole del gioco”.
Tantissime sono state le recensioni che hanno espresso ammirazione per la scrittura di Niente di vero: “la voce che in Italia ancora non c’era”. L’ha sorpresa che questo suo quarto libro sia diventato una lettura ben voluta e tanto chiacchierata?
“Sì, mi ha sorpreso e fatto molto piacere che il libro sia andato bene, soprattutto in confronto ad altri miei romanzi”.
C’è qualcosa che crea nella sua mente un legame ideale fra tutti i suoi romanzi?
“Credo ci sia in tutti i personaggi una specie di sguardo laterale sulle cose”.
Che registro linguistico utilizzerebbe per scrivere un racconto su New York?
“Conosco New York troppo poco, non penso riuscirei mai a scriverci un racconto”.
E invece la stuzzica l’idea di una traduzione in lingua inglese di Niente di vero?
“Ci sarà! Una traduzione in lingua inglese per l’uscita in USA e in UK”.
Il concetto di famiglia è molto diverso negli Stati Uniti rispetto all’Italia, c’è più affrancamento e indipendenza. Il suo lessico familiare ha un registro dolce amaro, una vera e propria commedia, Troisiana, all’italiana. Pensa che la letizia del grottesco riesce ad essere un sostitutivo riempitivo dei vuoti e dei traumi familiari?
“Credo che in generale il registro comico abbia bisogno del suo contraltare per funzionare. Troisi è un buon esempio, la sua comicità funziona perché sa dosare bene malinconica, fragilità e momenti più grotteschi. Le stesse dinamiche familiari spesso si nutrono di una miscela simile. In fondo, visti da fuori i drammi familiari possono sembrare tutti estremamente farseschi”.
“New York è un luogo dove nascondersi, dove perdersi o ritrovarsi, dove fare un sogno in cui si abbia la prova che forse, dopo tutto, non si è un brutto anatroccolo, ma si è meravigliosi, degni d’amore”. Veronica è riuscita a nascondersi, perdersi e ritrovarsi nella scrittura?
“Nella scrittura ho ritrovato e abbandonato parti di me. Ho pianto per cose che non mi riguardavano e riso di cose per cui mi vergognerei”.
Oggi, dopo aver letto il libro, se dovesse immedesimarsi nel personaggio letterario della mamma di Veronica, cosa le direbbe?
“Stai attenta…”.