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March 30, 2022
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“Lo Chiamavano Tyson”: tra precarietà e rabbia, l’anima della periferia di Roma

Intervista con l'autore Mauro Valentini che nel suo libro racconta le borgate romane e le sfumature dei personaggi calandosi nelle loro personalità

Maria Teresa AntoniozzibyMaria Teresa Antoniozzi
“Lo Chiamavano Tyson”: tra precarietà e rabbia, l’anima della periferia di Roma

L'autore di "Lo Chiamavano Tyson", Mauro Valentini

Time: 5 mins read

Lo Chiamavano Tyson è l’ultimo libro di Mauro Valentini edito da Armando Editore, e uscito durante il lockdown del 2021. Una trama da ‘Urban Crime’, come lo descrive lo stesso scrittore, che, non solo cattura intensamente l’interesse del lettore, ma ne smuove emozioni profonde.

Il libro narra la vita di alcuni giovani cresciuti e diventati uomini in una borgata romana, una vita fatta di espedienti, noia e incapacità nel darsi un percorso lavorativo stabile; il risultato delle dinamiche sociali della borgata stessa. Il libro tratta di una coppia di amici della borgata (Tyson e Pennello) a cui viene offerta l’opportunità di lavorare presso la villa all’EUR del Cavaliere Vitaliano Peroni, uomo ricco e famoso.

La borgata della periferia romana dal lei descritta nel libro non ha un nome, perché?

“Volevo porre l’accento sul fatto che perverse dinamiche descritte nel libro sono comuni in moltissime borgate. Tutte le borgate romane, e forse tutte le borgate del mondo, hanno in comune la presenza di abitanti sradicati da altre zone di origine. Ritrovarsi in queste borgate, organizzate tra gli anni ’70 e ’80 per rispondere ad una forte esigenza abitativa, ha significato la perdita di punti di riferimento delle comunità da cui si proveniva, la perdita di punti cardinali importanti. Ha significato il ritrovarsi con vicini di casa di diverse provenienze. Un Melting Pot che non ha facilitato la formazione di una nuova comunità bensì l’imposizione e assoggettamento a nuove dinamiche sociali con cui non tutti sono riusciti a convivere. La borgata-ghetto è il luogo dove la crescita individuale è ostacolata e dove ci si sente integrati se affiliati ai modelli prevalenti, per lo più modelli devianti. Molti sono stati i vinti, come i personaggi del mio libro”.

Ci descriva nei dettagli l’humus dove i suoi personaggi sono cresciuti.

“La borgata significava non solo ritrovarsi con un vicino di appartamento con cui non si ha nessun vissuto consolidato da condividere, ma agli inizi degli anni ’70, erano luoghi privi di strade asfaltate, lontane dal centro della città, contraddistinte dalla carenza di mezzi di trasporto pubblici, posti privi di linea telefonica, non c’era un cinema, né sale parrocchiali. Erano realtà dove integrazione e assimilazione sociali avvenivano attraverso canali al limite della legalità se non del tutto illegali, dove in quegli negli anni ha trovato il proprio habitat naturale lo spaccio della droga, furti, rapine, compravendita di case popolari. Una vera e propria ‘giungla’ dove il più cattivo e feroce vince: qui nascono, vivono e crescono i miei personaggi. La borgata offriva, e ancora oggi offre, alla popolazione solo le mura di un appartamento. Ma gli individui e le comunità hanno bisogno anche d’altro”.

Nel dipingere i molti personaggi della storia noir ci permette, grazie alle descrizioni accurate del contesto socioculturale della borgata, di entrare nell’animo dei personaggi e di assaporare le tante sfumature di cui sono composte le loro personalità.  

“Si, Tyson è Fausto Colasanti che nella borgata si era conquistato questo soprannome per la forte rabbia agita in atti di violenza incontrollata. Un essere umano che rimane poi con il passare degli anni, vittima della sua stessa ‘fama’. Un Tyson violento che convive con Fausto Colasanti, sin da giovane la passione per la musica e in particolare esperto della musica di Jethro Tull. Ma la passione per la musica di Fausto non riesce a tenere sotto controllo la forza irruenta e incontrollata di Tyson nonostante l’aver sperimentato nel corso degli anni le catastrofiche conseguenze della violenza”.

Un personaggio a diverse dimensioni, Tyson, come del resto l’uso amico, lo chef Mario, pur da una posizione di successo, si sente catturato dal ‘richiamo della foresta’ e da un amore/ affetto per le sue origini, fino a riporre la sua fiducia nei suoi amici di un tempo.

“Mario, ‘er Bruschetta’, è quello che ce l’ha fatta perché ha avuto la capacità di intravedere nella scuola l’unico ascensore sociale offerto loro, giovani di borgata, anche se ad un gran prezzo: cinque ore di autobus per il viaggio di andata e ritorno per andare a scola. Questa è stata la sua salvezza ma non tutti potevano avere la possibilità e capacità di arraffare a piene mani quel poco che veniva offerto loro”.

Mauro Valentini

Non vogliamo ‘dar via la storia’ quindi non raccontiamo i particolari della trama ma interessante è l’introduzione della ‘gabbia’. Una gabbia posta nella villa del ricco Peroni, villa che avrebbe potuto offrire al Tyson un futuro diverso, si rivela essere altresì una ‘gabbia’ altrettanto punitiva e frustante come la ‘borgata-gabbia’.

“Sì, perché Tyson non riesce a controllare la propria rabbia anche difronte alle nuove opportunità per una vita diversa che gli si presentano. Distrugge tutto quando si appella al suo senso di giustizia; una forte rabbia gli offusca la razionalità quado non si sente considerato. Non riesce a capire che anche il senso di giustizia personale deve fare i conti con una realtà molto più complessa. La situazione di “gabbia” avrebbe potuto offrire a Fausto l’opportunità di confrontarsi con se stesso per modificare i suoi modelli di comportamento. Ma quali opportunità sono state offerte a Fausto Colasanti di trasformare la propria rabbia in qualcosa di più creativo? Quali sono stati i suoi modelli di riferimento all’interno della ‘Giungla- borgata”? Descrivendo Tyson ho voluto rendere un po’ di ‘giustizia’ a quelle persone che, pur corazzati dietro le loro maschere di personaggi violenti e distruttivi potrebbero uscire fuori dalle loro ‘gabbie mentali’ in cui sono recluse se solo avessero i dovuti strumenti”.

Come spiega la posizione del Cavaliere Vitaliano Peroni che nel delegare la ricerca del personale a cui affidare la custodia della sua villa pone la propria fiducia in personaggi così fragili?

“Il Cavaliere Peroni si ‘innamora’ di Tyson per la condivisione della passione per la musica. Gli affida l’incarico grazie alle referenze di Mario. Il famoso chef, e per la passione della musica dimostrata da Fausto Colasanti. Nel descrivere il ricco Peroni volevo sottolineare che non sempre le articolate selezioni del personale con l’ausilio delle referenze possono proteggere da eventuali errori. Piene sono le cronache di personale di servizio fidatissima che perde il controllo della situazione e di cui personaggi come il Cavaliere Perone ne rimangono vittime. Non tutto è prevedibile nell’animo umano”.

Come non è prevedibile la fine di questa storia. Una energia vertiginosa risucchia i personaggi verso un destino predeterminato dalla condizione sociale nonostante i loro sforzi per raggiungere il meglio.

“Volevo mettere in evidenza la mancanza di strumenti che a questi ragazzi di ieri e uomini di oggi non sono stati offerti. Tutti possiamo sbagliare nella vita ma per coloro che crescono nella borgata il solco delineato dai primi sbagli della vita sembra non poter mai cambiare direzione, la società non assorbe, piuttosto condanna. Tutti possiamo trovarci in situazioni borderline, l’importante è riuscire a rialzarci con nuove intenzioni e nuovi strumenti di analisi e di azione. Ma se sei nato nelle borgate tutto è più difficile se non impossibile, talvolta”.

 

Mauro Valentini giornalista e scrittore vive e lavora a Roma.

Fra i suoi libri “Mio figlio Marco – La Verità sul caso Vannini” scritto con Marina Conte, “Mirella Gregori- Cronaca di una scomparsa” e “Marta Russo – il mistero della Sapienza” (Armando Editore)

 

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