Nicola Lilin, di origini siberiane, nasce nel 1980 nell’ex Unione Sovietica, dove diventa scrittore di professione. A sei anni è testimone dell’orrore di Chernobyl per poi conoscere in seguito le atrocità della guerra civile. Saranno questi avvenimenti storici a dare un’impronta alla sua infanzia ed a formarlo successivamente come uomo.
Autore di numerosi bestseller, vive dal 2003 in Italia dove esercita non solo la professione di scrittore ma anche quella di tatuatore, realizzando la tecnica della cultura criminale siberiana, una tradizione che nel suo paese si tramanda da secoli.
Nel suo ultimo libro Putin l’ultimo Zar ripercorre la storia dell’attuale capo di stato russo, dall’infanzia all’arruolamento nel KGB sino all’ascesa alla poltrona più importante del Cremlino, senza tralasciare aneddoti delle volte alquanto bizzarri.
Il tuo ultimo libro Putin l’ultimo Zar fa una descrizione dettagliata della personalità del leader politico e della sua ascesa alla poltrona più ambita della Russia: cosa ti ha ispirato a scrivere questo racconto?
“Avevo in mente un libro dove poter riflettere sulla metamorfosi che avviene nell’anima di una persona quando questa persona affronta la salita verso il potere assoluto.
Io, lo immaginavo una persona semplice, una persona che arriva, si può dire, dai bassifondi di Leningrado, l’attuale San Pietroburgo, e fa poi una salita incredibile diventando un personaggio importante e potente.
In lui c’è stato un cambiamento incline anche verso il male, il potere non ha migliorato quest’uomo, sicuramente lo ha danneggiato dal punto di vista umano.
Per me è molto interessante come scrittore quando ho davanti un personaggio così.
La metamorfosi umana dinanzi al grande potere è il fulcro del libro”.
Quando hai cominciato a scrivere? C’è un’immagine nella tua memoria che ricollega a quando hai deciso di diventare uno scrittore?
“In realtà ho cominciato a scrivere per caso, collaboravo con un’associazione culturale che si occupava fra le altre cose di teatro e mi hanno coinvolto in una scrittura di gruppo di drammaturgia teatrale, avevo scritto sei o quattro racconti e i drammaturghi professionisti che lavoravano sulla scrittura di questo soggetto teatrale si sono complimentati con me per quanto scritto e mi hanno invitato a continuare. Nel frattempo uno di loro ha portato questi miei racconti brevi ai suoi contatti nella casa editrice Einaudi e sono stato contattato da quest’ultima che mi ha proposto subito un contratto per 10 anni.
Così è iniziata la mia avventura, così ho scritto il mio primo romanzo, “Educazione Siberiana”, da cui è stato tratto l’omonimo film di Gabriele Salvatores.
Diciamo che sono diventato in maniera accidentale uno scrittore, anche se non avevo, a dire il vero, l’ambizione di fare questo lavoro”.
Quali autori ti hanno formato maggiormente?
“Sono figlio della letteratura russa, quindi comincerei con Tolstòj, Tolstoyevski, Pasternak ecc. , sono gli autori che per me sono stati illuminanti, quelli che hanno formato il mio modo di pensare, il mio modo di esprimermi, in qualche modo hanno influenzato anche la mia scrittura”.
La storia è piena di libri rifiutati dalle case editrici e di libri che non sono stati immediatamente compresi dai lettori: che rapporto hai con il rifiuto?
“Il rifiuto fa parte dell’esperienza, io sinceramente nella mia carriera da scrittore non mi ricordo di aver ricevuto dei rifiuti, anzi, sono uno scrittore fortunato perché qualsiasi idea mi viene in mente la realizzo nel testo e questo viene subito pubblicato.
Credo negli ultimi tempi di aver pubblicato anche libri che secondo me potevano essere rifiutati, ma così non è stato.
Ho molto rispetto e ammirazione per chi continua a scrivere anche se ha difficoltà a pubblicare perché nel mondo della letteratura una pubblicazione è una parte importantissima.
La pubblicazione di uno scritto è la fase che afferma la bravura e la grandezza dello scrittore.
Purtroppo negli ultimi tempi l’editore sta cambiando e a parte le case editrici serie, ci sono anche dinamiche legate all’economia.
Ultimamente, vengono pubblicati i libri di persone lontane dalla letteratura e dall’espressione letteraria.
Alcuni sono dei blogger, altri cantanti, calciatori e così via, e come puoi ben intuire queste sono pubblicazioni che non fanno parte del mondo letterario ma semplicemente pubblicazioni”.
Esiste ancora come in passato un luogo ideale di incontro/scontro fra autori ?
“Io non credo molto nello scontro fra gli autori, perché comunque la letteratura funziona soprattutto per unire le persone e non per dividerle, anche se spesso un dibattito letterario c’è.
A me personalmente non piacciono i premi letterari perché non si può definire un libro meglio dell’altro, tutti i libri sono diversi in quanto sono i prodotti delle idee e delle espressioni di persone differenti e non si può dire che una persona si esprima meglio dell’altra.
Nella letteratura tutte le espressioni sono preziose.
Io faccio fatica per esempio a dire a chi avrei dato il premio, se a Tolstòj, Tolstoyevski, Cechov, Bakunin eccetera, per me sono dinamiche legate al mondo moderno influenzato da elementi economici e finanziari che non hanno niente a che fare con la letteratura. Mentre considero molto belli i festival letterari, gli incontri con il pubblico, che purtroppo ci è mancato molto in questo periodo di pandemia.
Per noi autori, questi incontri rappresentano una grande occasione di arricchimento soprattutto a livello emozionale”.
Se potessi consigliare tre libri, quali sceglieresti?
“Oh Dio, sono sempre delle scelte terribili!
E’ come chiedere ad una persona che ha una famiglia numerosa quale dei suoi familiari lascerebbe vivo (…ride)
È una domanda atroce… (ride ancora)
Sicuramente la Divina Commedia, Delitto e castigo di Dostoevskij, Il placido Don di Sciolochov”.
Quale è l’aspetto positivo e negativo di essere uno scrittore?
“Partiamo da quello negativo!
Non esiste distinzione fra lavoro e vita privata perché lo scrittore vive sempre nella scrittura, ogni momento, ogni respiro, ogni cosa nuova che vedi si trasforma nel pensiero che riporta a questa esperienza, alla letteratura.
Delle volte mi capita di alzarmi nel cuore della notte e cominciare a scrivere perché magari ho sognato o mi è venuta in mente un’idea o anche solo una frase che voglio ricordarmi.
Ecco questa è la parte negativa, perché in poche parole non c’è mai pace.
Per quanto riguarda la parte positiva potrei elencartene tante, per uno scrittore che scrive e che pubblica i libri, prima di tutto l’appagamento anche dal punto di vista economico perché ti rendi conto che vivi di ciò che ti piace.
Io mi ritengo fortunatissimo vivo di ciò che amo, scrivo”.
Esiste un libro che ho avuto una grande influenza nella tua vita? C’è uno scrittore che consideri il tuo mentore?
“Sì, sicuramente lo scrittore che mi ha formato come narratore e Nikolaj Gogol, il grande scrittore russo che ha creato il vero romanzo russo, la novella russa.
Lui per me è stato fondamentale perché ha plasmato la mia espressione umana e letteraria, il suo libro più bello a mio avviso si intitola “le anime morte”.

Oltre ad essere un eccellente scrittore ho scoperto che sei anche un tatuatore, una tradizione nel tuo paese, vuoi parlarmene?
“Sono un tatuatore diverso dai tatuatori moderni perché tatuo seguendo un’antica tradizione siberiana.
Noi in Siberia abbiamo una delle più antiche tradizioni di tatuaggi al mondo dove in poche parole il tatuaggio è un modo codificato di raccontare l’esperienza di vita di una persona, una specie di curriculum che le viene scritto sulla pelle.
La storia dei nostri tatuaggi risale al tardo neolitico e io continuo da tradizione questo percorso.
Mi ha insegnato l’arte un vecchio tatuatore.
Le persone mi raccontano la loro vita, e, io la trascrivo sulla pelle attraverso i simboli della tradizione siberiana”.
Cosa vorresti dire ai tuoi lettori?
“Sicuramente li ringrazio sempre per le loro attenzioni, ma, in realtà quando voglio dire qualcosa lo scrivo nei miei libri.
Fuori dalla letteratura sono un uomo e non sono credo allo stesso livello dei libri che scrivo.
Penso che uno scrittore debba dire poco e scrivere tanto”.