Un film indimenticabile, con un volto cinematografico di un protagonista bambino passato alla storia del Cinema internazionale. Sono trascorsi 34 anni dal lontano 1988, anno di uscita del cult che porta con sé il titolo di Nuovo Cinema Paradiso. Il sorriso radioso ed innocente rimasto vivo nella memoria di tutti noi appartiene ad un piccolo attore che è oramai cresciuto, diventando uomo. Sparito totalmente dagli schermi da tempo, seppure ancora amatissimo, Salvatore (Totò) Cascio si riaffaccia nel 2022 a livello pubblico e, attraverso un libro, spiega i veri motivi della sua assenza dal mondo del Cinema. Il titolo del volume? La gloria e la prova. Il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0 per i tipi di Baldini + Castoldi, scritto con l’aiuto di Giorgio De Martino. Prefazione di Giuseppe Tornatore e postfazione di Andrea Bocelli.

Uscito lo scorso 17 febbraio, il volume è autobiografico (più esattamente: è insieme memoir cinematografico e racconto di formazione e di rinascita) e consegna una verità umana nascosta per tantissimi anni, disvelando il motivo della sparizione dalle scene di Salvatore: una malattia. Il Cinema non è affatto vero che lo avesse dimenticato: era lui in persona che aveva scelto di farsi per sempre da parte, nascondendosi per la vergogna di essere quasi del tutto cieco. Dopo i controlli medici del 2018, affidandosi alla fede che per lui è vita quotidiana, nel libro confessa: «Quel poco di luce che Dio mi ha concesso potrò conservarla».
Orbene, riavvolgiamo adesso il nastro della memoria. Salvatore Cascio frequentava la quarta elementare, nella scuola del suo paese, Palazzo Adriano, dove il film venne girato. Lo scelse lì, la produzione di Franco Cristaldi. Nuovo Cinema Paradiso ha permesso l’ingresso di Giuseppe Tornatore, il suo regista, dentro la Storia del Cinema: questo capolavoro vinse, dopo un inizio travagliato, numerosi premi, tra cui il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1989, il Golden Globe per il miglior film straniero nel gennaio 1990 e, soprattutto, il Premio Oscar per il miglior film straniero nel marzo 1990.
«Era il 26 Marzo 1990. Data storica, mi trovavo a Roma, dove stavo girando il mio quarto film. E davano la diretta TV degli Oscar a tarda notte. Avevo pure la febbre, quel giorno» – ci confida Salvatore. «L’indomani la febbre era passata, forse per l’eccitazione della serata precedente. Allora, non sapevo cosa veramente fosse un Oscar, poi crescendo me ne sono reso conto».
Insieme a pellicola e regista, ad avere una gloria mondiale improvvisa fu anche quel piccolo ma talentuoso protagonista siciliano: Totò Cascio, che nel 1991 vinse il prestigioso Premio BAFTA.
«In Italia lo abbiamo preso solo io e Benigni» – esordisce al telefono Salvatore, dietro nostro input. «Sta nella stanza dove tengo premi e riconoscimenti ricevuti. Un orgoglio incredibile, specie per averlo ricevuto da bambino. Allora forse non mi rendevo pienamente conto del prestigio, ma adesso, da adulto, mi dà tanto orgoglio».
Dieci film, e poi il silenzio. «Ci sono stati non giorni, ma anni in cui le mie ore trascorrevano nell’attesa della notte. Non vedevo l’ora di chiudere i conti con la veglia, desideravo che il giorno terminasse per poter dormire e sognare. Perché quando sognavo, vedevo, vedevo bene…» – racconta Totò nel suo libro.
Adesso, ecco affiorare tra le pagine della sua vita un risvolto mai raccontato prima.
La gloria e la prova. Nuovo Cinema Paradiso 2.0. Questo libro come lo potremmo definire: una necessità della tua anima?
“Direi di sì. Per me è stato molto terapeutico. Volevo parlare della gloria, ma anche della prova: averlo fatto è stato una cura per la mia anima”.
Veniamo alla genesi di questo volume. Quanti anni ci sono voluti per farlo affiorare alla coscienza e trovare la voglia di scriverlo?
“Ne parlavo già da diversi anni. Poi, la spinta finale me l’hanno data Andrea Bocelli e sua moglie, Veronica Berti. E’ quando ho parlato con loro che ho avuto la motivazione finale per realizzarlo. Adesso sono pronto, con questo libro, a raccontare la mia storia. E vivere così la mia nuova avventura. Andrea me lo ha fatto capire bene con quella frase che mi ha detto: “Essere un non vedente, non è un disonore”. Ho definitivamente capito che dovevo ricominciare a vivere”.

La prefazione del libro non poteva essere che di Giuseppe Tornatore. Cosa ha rappresentato Tornatore, che tu chiami Peppuccio, nella tua vita?
“E’ una persona cara, fondamentale per me. Mi ha dato fiducia sin da piccolo, affidandomi il ruolo cardine di Totò in Nuovo Cinema Paradiso, vedendo in me qualità particolari, che sotto la sua guida sono state più facili da esternare. Insieme a mio padre, sono due figure che sono state e sono ancora molto, molto importanti”.
Parliamo della gloria. La tua carriera inizia con Nuovo Cinema Paradiso. E poi?
“Poi altri film. In tutto dieci. Ho lavorato con Peter Ustinov, Marcello Mastroianni, Franco Nero, Celentano, Ranieri. Alla fine, anche con Bud Spencer. Tanti davvero i protagonisti ed i mostri sacri che ho avuto la fortuna di incontrare. Poi sono arrivate le interviste, i viaggi e l’affetto della gente”.
Giuseppe Tornatore, regista ed essere umano: cosa ami di lui?
“La sua sicurezza, il suo sapere sempre quello che vuole. E la capacità di vedere sempre ‘oltre’. E’ geniale”.
Tornatore ha appena vinto il Nastro d’Argento con un documentario su Ennio Morricone. Che ne pensi?
“Mi hanno detto che è stupendo, che la gente si commuove nel vederlo. Un lavoro eccezionale, Morricone e Tornatore sono sempre stati un connubio incredibile!”.
Quando hai capito che ti saresti ritirato dalle scene?
“Nell’ultimo mio film, quello con Bud Spencer: Padre Speranza. Si accorsero bene dei miei grandi problemi con gli occhi. Fui capace di finire il film, ma poi dissi basta”.
Quanto è durata, quindi, questa gloria?
“L’affetto delle persone non è mai finito, in realtà. Devo dire neppure l’interesse dei giornalisti. La gloria in sé è durata a lungo. Poi, e’ arrivata la prova”.
La prova, cioè la retinite pigmentosa con edema maculare, di cui pure tuo fratello Carmelo soffre.
“Sì, e questa prova sono riuscito con gli anni a farla ri-diventare gloria. Avevo undici/dodici anni quando mi hanno diagnosticato la retinite. All’inizio, è stato un dramma, per me e per la famiglia. Un tabù, dal quale cercavo di nascondermi. Per anni non ho voluto accettare la situazione: mi sono nascosto da me stesso, cercando di non far mai conto con la realtà. Anni difficili, soprattutto per il nascondermi e mentire a me stesso, vivendo nella paura, come in un labirinto, dal quale sono uscito grazie alla fede ed a un percorso di consapevolezza”.
La scoperta della psicoterapia prima e della fede dopo. Nel libro dichiari che la tua è una accettazione, ma non una rassegnazione: “Io spero e prego”.
“Esattamente, Metto Dio al primo posto, e poi viene tutto il resto. La psicoterapia mi ha permesso di mettere ordine nella mia vita, e venendo tutto da Dio, tutto è poi risultato più semplice”.
Dichiari infatti che Dio è più facile cercarlo nel dolore. Questo dolore, quanto oggi è ancora profondo?
“Adesso che ci convivo e che ne parlo, non è più un dolore. Ovviamente, spero sempre che una cura arrivi, prima o poi”.
Nel libro parli anche dell’ Istituto Cavazza di Bologna. Quando ci sei arrivato al Cavazza?
“Nel 2018. Ci sono stato stabilmente nove mesi: da Maggio 2018 fino a Febbraio 2019. Lo frequento spesso, del resto. Adesso ad esempio ti sto parlando da qui. Vi resterò, stavolta, fine al prossimo Aprile”.
I tuoi sogni di oggi, che di anni ne hai 42: come vedi il tuo futuro?
“Spero sempre di avere questa serenità, voglia ed entusiasmo. E la protezione del buon Dio. Ho ancora tanti sogni e progetti. Sono stato sempre un po’ frettoloso, ma oggi ho imparato ad andare, come si dice, ‘passo a passo’. I progetti sono tanti: il libro, gli incontri, le interviste da fare. E poi vorrei tanto poter parlare della mia esperienza ai giovani nelle scuole”.

Con il senno di poi, nella tua maturità di oggi, la rinuncia a fare l’attore è stato uno sbaglio, una necessità dettata dal tuo disagio, oppure una ricerca della tua verità umana?
“Una necessità per poter ripartire! Avevo bisogno di fermarmi, toccare il fondo, chiedere aiuto. E ripartire poi più forte di prima”.
Nel tuo libro parli anche della importanza della professione medica, sottolineando come il rapporto umano diretto, ed anche la grazia nel rapportarsi ad un paziente, siano parte della cura.
“Esatto. Per me è fondamentale l’approccio medico: non bisogna mai illudere nessuno, ovviamente, ma dare sempre speranza. Assicurare che la vita continua comunque”.
Cosa ti è rimasto del set ?
“L’atmosfera, il cast, l’unione con tutti. Dopo una scena impegnativa andata bene, con il regista soddisfatto, scattava l’applauso collettivo. Una cosa speciale. Davvero”.
Con l’aiuto di Giorgio de Martino, ti sai descrivere in questo libro con franchezza, lanciando al contempo messaggi molto importanti. Oltre a raccontare la tua storia personale, parli di barriere architettoniche così come di bullismo. Sono messaggi sociali rilevanti.
“L’importanza dei messaggi che menzioni è ciò che desidero arrivi al lettore. Sul bullismo, vorrei girare nelle scuole e parlare di questo tema. Ai miei tempi non era un fenomeno così diffuso come oggi, e non ne sono stato vittima diretta, ma mi sono sempre immedesimato. I bambini che hanno una disabilità sono speciali e devono essere accolti insieme alla loro condizione. Non dovrebbero mai essere vittime dell’ignoranza di vigliacchi e bulli. Questi ultimi andrebbero denunciati e puniti, anche se nello stesso tempo aiutati a capire il loro errore. Per quanto riguarda le barriere architettoniche, il discorso è lungo e serio. Le barriere architettoniche ci sono. E’ innegabile. E sono tante, e rendono ancora più complicata e difficile la vita dei disabili”.
Ti soffermi sull’invidia, di cui sei stato invece bersaglio diretto, che dopo la malattia si è trasformata in indifferenza.
“Sì. Vedi, io gioisco sempre per i successi altrui. Da bambino l’invidia mi ha fatto tanto male, specie da parte di chi credevo amico. Adesso, da grande, francamente non me ne importa”.
La tua famiglia: mamma, papà ed i tuoi fratelli Carmelo e Gianpiero. Che rapporti hai oggi con loro?
“Il rapporto stretto che c’è sempre stato: il dolore ci ha reso tutti ancora più vicini. Mamma e papà li ho visti piangere, ma adesso sono riuscito a realizzare il mio desiderio di vederli piangere solo di gioia. Mai più di dolore”.
Sei Siciliano. Che richiamo ha avuto ed ha ancora per te la tua terra?
“Sono fiero di essere siciliano. E’ qualcosa di indescrivibile. Il calore umano della Sicilia e della sua gente è imbattibile”.
Il periodo dopo l’Oscar hai viaggiato tantissimo. Che rapporto hai con l’America e con New York in particolare?
“Ho visto New York e Los Angeles da bambino. Allora, New York mi fece l’impressione di una città troppo grande e caotica. Los Angeles, invece, più a misura d’uomo. Poi a Los Angeles ci sono tornato nel 2016. Ad Hollywood. Credimi, in seguito l’America me la sono goduta davvero! Amo anche il Giappone, dove sono famoso non solo per Nuovo Cinema Paradiso, ma anche per un paio di pubblicità importanti che lì ho fatto”.
E’ arrivato il momento di salutarci. Grato alla vita, Totò è impegnato sempre più nel diffondere il suo appello di speranza, affinché diventi conforto per chiunque abbia bisogno di ascoltare una vera testimonianza di rinascita. Ha tanti impegni promozionali per il libro, davvero bello, e gli auguriamo i migliori successi.
La gloria e la prova. Il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0, Baldini & Castoldi, 2022