Letture estive, o quasi estive, mi verrebbe da dire. L’aria condizionata, però, previene ogni abbandono a ricordi climatici d’infanzia o di giovinezza, a controre più o meno letterariamente celebrate e maledette, e stempera simili stagionali suggestioni. Diciamo, allora, letture. E basta. Mentre leggevo, dunque, alcune parole mi hanno riportato alla sempre petulante attualità, distogliendomi da dove mi trovavo: “condizioni primitive”, “immunità”, “infezioni”, “vittime da infezione”.
Ma la ragione della curiosità non risiede nelle parole in sè, proprio perché sono quelle lette e udite pressoché esclusivamente da circa un anno e mezzo. In Italia e nel mondo. Nasce dall’argomento, apparentemente remoto, in cui mi illudevo di essermi in qualche modo rifugiato. E sì che non era un terreno riposante o isolato. Eccole, col loro contesto straniante:
“I nativi, vivendo in condizioni primitive, hanno conseguito l’immunità rispetto a molte infezioni che i soldati britannici possono facilmente contrarre. Le cattive condizioni sanitarie dell’isola sono una delle migliori difese contro l’invasore, e le vittime da infezione potrebbero essere maggiori che quelle sul campo”.

Fortunatamente, a dispetto delle atterrite previsioni che aleggiavano dallo “Soldier’s Guide to Sicily”, libricino destinato alle truppe in vista dello sbarco in Sicilia del 1943 (versione più pop del “Sicily Zone Handbook”, confezionato invece per gli Ufficiali di Sua Maestà Imperiale, e perciò un pò più perifrastico), i soldati anglo-americani rimasero invitti anche sul “campo” sanitario. E, come si sa, al 17 Agosto 1943, quando l’ultimo drappello dell’Asse varcó lo Stretto di Messina, gli Alleati poterono concentrarsi a certificare unicamente perdite militari. Che risultarono contenute, peraltro, con comprensibile compiacimento degli interessati, e in particolare degli statunitensi, che avevano impresso alla loro strategia un tratto spiccatamente conservativo.

La “Guida” era stata stampata con una Prefazione di Eisenhower, che ne convalidò anche il corrivo giudizio sanitario-antropologizzante, con tutta l’autorevolezza della carica di Comandante in Capo. Il libretto, stampato nel Giugno di quell’anno fatidico, inizialmente distribuito all’insaputa del Foreign Office britannico, preoccupò proprio per questo le autorità centrali di Londra: temevano che, fra le righe dell’imprinting di Ike, si svolgessero considerazioni politiche. In ballo c’era una sotterranea concorrenza fra le due sponde dell’Atlantico, in vista della supremazia “gestoria” sull’Occidente da liberare, e di cui la Sicilia costituiva una sorta di piccolo ma significativo banco di prova: e da Washington avrebbero potuto battere il tasto dell’american way of life, ben più seducente dei legami altolocati fra notabilato isolano e aristocrazia “albionica”. Sicché, a Londra si preoccuparono della non concordata diffusione della Soldier’s Guide, e del suo Prefatore.
Ne venne addirittura, il 23 Luglio 1943, due giorni prima del Gran Consiglio, una interrogazione alla Camera dei Comuni. Ma una volta appreso che, secondo la “Guida”, per l’esercito USA la questione era di fronteggiare “condizioni primitive”, il rischio che Oltreoceano ricercassero in Sicilia un qualche “effetto simpatia” apparve in quel momento fugato: e, il 2 Settembre, letto testo e Prefazione, i Comuni approvarono soddisfatti “la Guida” e la sua distribuzione alle truppe.
Il segnalato abbrivio latentemente colonizzatore toccava (e tocca) corde profonde. Sia da parte di chi sarebbe sbarcato, sia in chi, da campi, paesi e città “targeted”, allo sbarco avrebbe più o meno stancamente assistito.
Ma sarà bene misurare reazioni e giudizi. E, semmai, trarre spunto dalla vicenda per interrogarsi, diciamo, sulla universalità e onnipotenza del pregiudizio.
È vero, che sotto e sopra la “Guida”, stava una ricca stratificazione di cascami, di luoghi comuni, di sentito dire, superficialmente filtrati (per gli inglesi) da diari di viaggio sette-ottocenteschi, o da meno impressionistici ricordi o testimonianze della nutrita enclave britannica, insediatasi al seguito del Protettorato durante le Guerre Napoleoniche (1806-1815): e quindi tramandati, nel corso del tempo, solo con qualche variazione sul tema (ribellismo-miseria-agrodolcezza, ecc.). Ma non solo questo. C’era anche, condotto dal prestigioso Balliol College di Oxford, un più congruo tentativo di riordinare questa “tradizione”, in vista di un piano d’azione e di governo militare in chiave moderata: solo i maggiorenti, pensavano al Foreign Office, avrebbero potuto garantire un certo ordine nel disordine che li attendeva. Sintesi e mediazioni che, soprattutto nel citato e più “colto” Sicily Zone Handbook, erano più nitidamente leggibili. Insomma, non solo frettoloso riduzionismo empirico, fino al rischio di scivolare nel razzismo.

Questa articolazione è ancora più netta da parte americana. Vero, anche qui, che la “Guida”, per via della Prefazione, si colorava anche di Stelle e Strisce, ma America significa Melting Pot, e certe derivazioni unilaterali restano più problematiche. Lì ci sono “i bianchi”, ma non solo, com’è noto. E, non tutti “i bianchi” pensavano (e pensano) nello stesso modo. Sicché, ancora a partire dall’abbrivio colonizzatore di cui sopra, si dipartivano almeno due vie: quella isolazionista, sbrigativa e verticistica, e quella universalistica, idealistica e democratica; c’era Patton e c’era Poletti (Vicegovernatore democratico dello Stato di New York, fino allo Sbarco).
Tuttavia i pregiudizi, dicevamo, sono perenni, e soprattutto, infiniti. Così, nella edizione italiana della “Guida”, pubblicata da Sellerio, Andrea Camilleri può maliziosamente chiedersi: “Vuoi vedere che la guida che venne fornita ai soldati americani per la Guerra del Golfo era suppergiù uguale a questa?”. Maliziosamente, perché la sua redazione ebbe in effetti luogo in Medio Oriente, allora area di diretto interesse britannico e, presto americano; e, perciò, dalla Sicilia all’Iraq, dal 1943 al 1991, dal Mondo Bipolare e a quello cd post-storico, in questa chiave, sembrerebbe proporsi un’unica linea di monocorde e invariata rozzezza spirituale e politica: all’insegna di un dominio Yenkee puramente bellico-militare, e, pertanto, essenzialmente e unicamente violento.
Senonché, l’Amgot (Allied Military Government of Occupied Territories), notoriamente, fu innervata da molti italo-americani, sulla base di un giudizio politico che si tradusse in un esperimento: avvalersi del “Mondo che era venuto in America, per presentare l’America al Mondo”: con le parole, con le persone, e non solo con le armi.

John Hersey, dopo qualche mese di permanenza nella Sicilia occupata, fece ritorno in patria, e scrisse “A Bell for Adano” (paese immaginario: in realtà, Licata), un romanzo manzonianamente misto di storia e di invenzione, in cui narrava la sua esperienza, attraverso lo schermo del Maggiore Victor Joppolo, suo alter ego. L’opera (oggi un topos di ogni discorso storico-culturale su questo argomento) fu un successo strepitoso, e se ne trasse anche una riduzione e teatrale e un film.
Lo “spirito rooseveltiano” e, quindi, l’impossibilità di risolvere gli Usa unicamente nella guerra, e, poi, nella mafia, quale gemellare compendio di antidemocrazia, è rivendicato con accenti di persino ingenua nettezza: “L’America si sta avvicinando all’Europa, potete essere isolazionisti quanto volete, ma è questa la realtà. I nostri eserciti vi stanno affluendo. Così come l’Europa ci ha un tempo invaso con ondate sopra ondate di migranti”. E’ evidente che questa America ce l’ha con un’altra America. E che si sente dalla parte giusta della storia, per così dire; e questo perché “siamo fortunati. Nessun altro paese ha tanti uomini che parlano le lingue dei paesi che dobbiamo invadere, che ne capiscano le usanze, e che hanno sentito i genitori cantare le sue canzoni popolari.”

E tornano parole e contesti apparentemente stranianti: “ondate sopra ondate di migranti”; “potete essere isolazionisti quanto volete”. Ma tornano anche i pregiudizi, e la loro multiforme insidiosità.
Infatti, quanti, leggendo di “migranti”, magari con un giusto occhio all’oggi, pensano di potere esercitare la loro virtù civile situandosi idealmente dalla parte del Maggiore Joppolo, sono però quegli stessi che, largamente, hanno, ora e allora, accostato, ad es. proprio il nome dell’“l’italo-americano” Poletti, a trame di oscura complicità verso mafia e camorra (nel 1989, sembrava che l’ormai anziano ex Governatore Militare potesse fare un viaggio commemorativo in Italia: apriti cielo!). Con ciò attingendo a piene mani dal chiassoso materiale di propaganda che, nel corso degli anni ’50, i nemici del New Deal (e nel frattempo era diventato Presidente Eisenhower “il Prefatore”) vollero scagliare contro quanti lo avevano incarnato: a cominciare dai Colonnello Poletti e dai Maggiore Joppolo.
E conclusivamente ne viene forse confermata la nostra ipotesi, non meno avvilente che evidente: la circolarità dei preconcetti, la loro capacità di rampollare da ogni luogo, e in ogni direzione.
Perciò, a quella domanda maliziosa di Camilleri, vorremmo accostarne un’altra, anzi, due: “Vuoi vedere che gli errori sull’Italia, sulla sua Storia, sulla sua vicenda sociale culturale, sono gli stessi che ci portiamo dietro dall’alba della Repubblica?” “E, vuoi vedere, che l’errore non è in chi ha scritto, ma in chi ha letto?”.