“Nulla è come appare – Storie di delitti, storie di accertamenti tecnici” (Faust Edizioni) è il nuovo libro dell’Avvocato Nicodemo Gentile e presidente dell’Associazione Penelope Italia. Nelle 280 pagine si parla di scienze forensi, puntando l’occhio su casi di omicidi efferati che hanno attraversato la carriera del noto penalista, come quello di Sarah Scazzi, Melania Rea, Roberta Ragusa, Trifone e Teresa, Sara Di Pietrantonio. L’Avvocato utilizza un linguaggio semplice, mettendo in luci alcuni scorci di quotidianità che sembrano delle vere e proprie polaroid statiche, tra l’anticamera di una storia raccontata e quella che ancora deve ancora svilupparsi all’orizzonte. Non è un semplice resoconto di fatti di cronaca, ma la descrizione dettagliata di un progressivo sviluppo giudiziario che parte dalla scena del crimine e arriva nelle aule di tribunale, con l’importante ruolo delle indagini scientifiche, di quelle difensive e del ruolo che ha l’avvocato. Questo libro mette al centro di tutto l’importanza dei rapporti umani e professionali che si consolidano col tempo, fino a costruire un percorso di ricchezza che si sviluppa attraverso i rami della scienza, incastrati come piccoli tasselli di un mosaico, indispensabili e solidi.
Abbiamo intervistato l’Avvocato Nicodemo Gentile, presidente dell’Associazione Penelope Italia, che ci ha raccontato la genesi del libro.
“Nulla è come appare – Storie di delitti, storie di accertamenti tecnici” è il titolo del tuo nuovo libro. Come nasce?
“L’idea nasce dall’esigenza, sempre più sentita, di far conoscere le complessità del processo penale che spesso vengono poco rappresentate nella cronaca televisiva e giornalistica. Quanto è difficile, complessa, delicata e quanta responsabilità pone agli operatori che intervengono in questo spazio tecnico: ricostruire fatti avvenuti nel passato che devono essere poi affinché qualcuno possa avere giustizia e qualcuno possa essere condannato. L’idea che al di là della necessità di avere in questo contesto, uomini e professionisti responsabili. Una riflessione forte e attenta al rapporto tra processo e scienza, tra uomo e professionista, tra professionista e consulenti. La voglia di farlo in modo nuovo e quindi non solo tramite il racconto dell’Avvocato ma anche il racconto dell’uomo che attraversa, frequenta i vari tribunali d’Italia e quindi non è soltanto un percorso dell’uomo ma è il percorso del tecnico ed è anche un percorso negli spazi di questa nostra bellissima Italia”.
La cosa che mi ha colpito di questo libro è sicuramente la ricostruzione fotografica di ogni evento: ogni contesto che hai vissuto sembra essere rimasto profondamente impresso nella tua mente nei momenti che hanno preceduto quell’istante, come una tazzina di caffè caldo tra le mani, una finestra aperta oppure il colore della tovaglia di un tavolo o di alcuni odori che sembrano percettibili anche per chi legge. Un prima e un dopo che capovolge in modo irreversibile quel presente, trasformandolo quasi in un nuovo inizio. Nel libro si parla dell’importanza del lavoro multidisciplinare…
“Il lavoro multidisciplinare per me, ormai, è un progetto a cui non posso rinunciare. La complessità e la delicatezza di una ricostruzione, che diventa multidisciplinare e non vede soltanto l’Avvocato coinvolto ma un team di esperti, proprio perché la tecnologia, l’evoluzione della tecnica ha fatto si che noi ci dobbiamo confrontare con discipline sempre più raffinate. Quindi una capacità enorme di ricostruire fatti, attraverso il risultato e l’applicazione di discipline che una volta era impensabile utilizzarle e che impongono la necessità della formazione e di avere dei compagni di viaggio molto qualificati. Ho cercato di raccontarlo con una trama narrativa nuova, semplice. Non è un manuale ma da molte nozioni e nel frattempo ci sono le emozioni. È un libro che ha due grandi protagonisti: l’uomo e il professionista, con spaccati di processi delicati in cui ci sono grossi tensioni, in cui c’è anche la chiacchiera con il grande scienziato davanti al caffè. Anni di studio, di battaglie ma anche di relax, dove mi sono goduto le bellezze della nostra Italia”.
Quando il professionista torna a casa e posa la toga, cosa rimane in quel caso del professionista?
“Da un punto di vista astratto è molto semplice per chi vive il mondo del penale come me, che sono sempre storie umane molto drammatiche, complesse, difficili. Si dice che la nostra è una professione anfibia perché dovrebbe galleggiare tra la sensibilità dell’uomo e l’indifferenza emotiva, la freddezza del professionista. In realtà questo aspetto che distingue l’uomo dal professionista, da un punto di vista pratico, è molto complesso e difficile. Spesso e volentieri, togliersi la toga e rimettersela in realtà non riesce, soprattutto per chi, Avvocato di strada, e su strada, come dico io, nel senso che vivo a contatto con i miei assistiti, con i loro familiari, ne assorbo le ansie, le lacrime, quindi spesso e volentieri non è facile allontanarsi da queste tensioni. Certo, col tempo diventa una corazza la toga, quindi un po’ ti blinda però in realtà però di fronte alla morte di una ragazzina di 22 anni, di fronte alla morte di un bambino, di fronte alle lacrime di una mamma, di fronte alle speranze di un detenuto, l’uomo cede e si fa assorbire in certe dinamiche che scrollarsi da dosso non è semplice, però bisogna farlo. Questo libro racconta anche di questi tormenti, di questi momenti”.