C’è un omicidio irrisolto che brucia ancora negli archivi italiani: l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto tra la notte del 1 e 2 novembre 1975. Un massacro, esattamente come lo ha chiamato la giornalista Simona Zecchi nel suo primo libro Pasolini, Massacro di Un Poeta, di cui ci aveva già rilasciato un’intervista (Ponte delle Grazie, 2015). Oggi Simona torna con una nuova indagine, nuove prove, documenti e testimonianze, restituendo se non completamente la verità (perché quella è forse destinata a conservare l’alone di un mistero) almeno la dignità ad un uomo, al fu letterato, al fu giornalista. Ed è con questo ulteriore elemento che L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini. Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso (Ponte delle Grazie, 2020), rappresenta un’immersione senza ossigeno nell’apparato di politica e potere protagonista a sua volta del calderone chiamato Petrolio, l’ultima opera incompiuta di Pasolini.

A 45 anni dalla morte dello scrittore, Simona Zecchi mette sul tavolo le carte dell’inchiesta spezzata di Pasolini sulla strage di Piazza Fontana, rivela ciò di cui il poeta era venuto a conoscenza, informazioni capaci di scuotere l’intero Paese e il sistema politico allora retto dalla Democrazia Cristiana. Nelle pagine di Simona sono impresse per la prima volta affermazioni scottanti di chi era strettamente coinvolto nella strage, vengono mostrati e descritti gli scambio epistolari con Giovanni Ventura, membro del movimento neofascista Ordine Nuovo, viene spiegata l’operazione Pasolini e l’accerchiamento verso lo scrittore da parte della criminalità organizzata. “Il giornalismo d’inchiesta non racconta, svela”, mi dice Simona, “questo libro affronta per la prima volta tutto ciò che non è mai stato detto sul collegamento tra la morte di PPP e la strage di Piazza Fontana”.
Un binario parallelo conduce il giornalista Pasolini e la giornalista Zecchi nella coltre di una verità troppo scomoda, dove i protagonisti si rivelano molteplici e potenti. Con questo libro, Simona ci guida finalmente fuori dall’Idroscalo di Ostia, grida a voce alta la necessità di confutare una tesi diversa, più politica e più grande, rispetto alla sfera sessuale del poeta. Essere scomodi non è sufficiente per essere uccisi, come afferma nel libro: “Non basta in sé, e non bastava allora […] in quegli anni si uccideva per molto meno e i personaggi che si dichiaravano scomodi, irriverenti e polemici erano pochi”. E’ il momento di capire perché Pier Paolo Pasolini fu brutalmente assassinato, con Simona Zecchi rompiamo il silenzio e vi spieghiamo le ragioni e le scelte di un libro necessario.

Partiamo dal tuo movente, innanzitutto. “La verità ha un suono speciale”, introduci il libro con questa citazione di Pasolini, scritta il 24 settembre del 1975. Ecco Simona, che cos’è per te la ricerca della verità?
“Pasolini chiudeva con quella frase una lettera rivolta all’ex neo fascista Giovanni Ventura in quel momento in carcere in attesa del processo per Piazza Fontana. Una frase che oggi sembra solo una espressione ad effetto ma allora lo scrittore, il giornalista Pasolini la rivolgeva a un interlocutore dal quale pretendeva delle risposte. Risposte sulle stragi. Ecco, per me la ricerca della verità è la ricerca incessante di risposte quindi un cammino costellato di domande e di dubbi oltre che di letture studio e indagini”.
Sarebbe semplicistico considerare l’operato di Pasolini giornalista come un’inevitabile tracciato verso la morte, meglio sarebbe comprendere la stratificazione culturale e gli assunti seminati già dal poeta nelle sue pubblicazioni tra Scritti Corsari e le varie testate per cui collaborava. Anche la sua produzione cinematografica, nello specifico la sua dissociazione con la trilogia della vita e la scelta di consacrarsi a Salò o le 120 giornate di Sodoma, riconducono ad una posizione ben precisa intellettualmente e politicamente parlando. Queste idee navigano tra il cinema e la stesura di Petrolio, di cui mancano ad oggi ancora diverse pagine tra cui l’Appunto 21 Lampi sull’Eni. Parliamo del Pasolini che è morto con il tesserino da giornalista in tasca.
“A partire dall’esplosione di Piazza Fontana il 12 dicembre del 1969, e in maniera più consistente poi dal marzo del 1975, ma costantemente lungo il corso degli ultimi cinque anni di vita, Pier Paolo Pasolini ha sempre cercato le risposte sulle matrici delle stragi che avevano insanguinato sin lì l’Italia e sui tentativi di golpe che nel mezzo si erano alternati (Golpe Borghese – Rosa dei Venti). I suoi ultimi articoli – che si condensavano tutti sul “processo alla DC” e sul perché non si riusciva a fare luce su quelle stragi, sul ruolo della magistratura delle mafie – cadenzavano e guidavano il dibattito politico di quei mesi. Ma il suo è stato un percorso di verità sempre in progress esplicitato dapprima anche con la poesia, soprattutto nella raccolta Trasumanar e Organizzar pubblicata nel 1971 che conteneva una dedica in versi alle vittime di Piazza Fontana oltre che una riflessione e una denuncia (“Patmos”)”.
“Oltre a voler snidare l’operato dello Stato, quello neofascista, delle mafie e della Cia, lo scrittore si preoccupava anche di capire chi nella estrema sinistra per varie ragioni – ma soprattutto per via della infiltrazione che nelle sue fila politiche e culturali era avvenuta da parte delle organizzazioni di estrema destra – non faceva che portare acqua al mulino di questa continua destabilizzazione. E per questo era inviso da molti. Petrolio è l’ultima summa giornalistico-letteraria lasciataci da Pasolini, ovviamente rimasta incompiuta anche nella sua stessa struttura-libro accidentata e non sempre omogenea. Pubblicata a distanza di 17 anni dalla morte perché la famiglia non se la sentì di renderla nota per lungo tempo (così ha sempre affermato la nipote ed erede Graziella Chiarcossi moglie dello scrittore Vincenzo Cerami) manca è vero di diversi capitoli, come già ricostruito in Massacro di un Poeta”.

“Sull’Appunto 21 di cui molto si è detto e scritto a causa anche di una manovra pubblicitaria di Marcello Dell’Utri (già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e condannato in primo grado per il processo trattativa stato-mafia tuttora sotto processo), c’è da dire che molti capitoli o Appunti sono come questo ‘segnati’ soltanto dal loro titolo o spesso il solo numero accennato. Si tende a dimenticare o magari a far finta che le responsabilità che Pasolini attribuisce a Eugenio Cefis per l’omicidio di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, sono rimaste disponibili per altri appunti e mai celati. Come indico poi nel mio libro, Pasolini non ha mai nascosto il suo interesse pubblico per l’uomo, ne ha scritto nei suoi articoli e parlato in incontri pubblici poi pubblicati. Quello che viene definito come “mistero” dell’Appunto 21, secondo quanto ho ricostruito in questi anni e nuove scoperte, non è strettamente legato all’omicidio del poeta, non c’è un filo nero tra Eugenio Cefis e la morte di Pier Paolo Pasolini”.

In questo secondo libro sbuca fuori un’altra auto, una seconda Alfa GT 2000 presente quella notte, di proprietà del fotografo Dino Pedriali. Tu stessa hai ritrovato l’Alfa GT 2000 di Pasolini nel gennaio di quest’anno (dichiarata demolita). Sei riuscita già nel 2015 a ricostruire quello che chiami massacro tribale, dimostrando la presenza di ulteriori veicoli e persone presenti sul luogo del delitto, seguendo la pista delle bobine rubate di Salò. Attraverso la tua indagine, non c’è più alcun dubbio che più auto siano passate su un corpo già martoriato per cancellare qualsiasi traccia della fatale dinamica. L’espediente che ci mettiamo alle spalle con Massacro di un Poeta ha visto coinvolte persone provenienti da più parti – dalla criminalità, dall’estremismo di destra e “altri” apparati. Raccontaci cosa aggiunge questo libro rispetto alla dinamica dell’omicidio.

“Questo libro, oltre ad aggiornare riprendendolo il precedente lavoro, spiega questa volta per intero alcuni passaggi importanti che nel primo lavoro erano rimasti per forza di cose incompleti. Come avevo spiegato ai lettori, e come hai accennato tu inoltre, introduce una importante novità: la componente della criminalità organizzata calabrese , che nel caso Moro è stata così importante. Qui fa capolino, per quanto ho potuto ricostruire, all’interno di un episodio molto importante: nello spazio di tempo che intercorre tra l’attentato alla Sip avvenuto vicino all’abitazione dello scrittore e il giorno dopo l’omicidio. È molto importante e l’ho collocata soltanto alla fine per spiegare e unire i tanti fili sparsi che compongono questa storia. Cosa Nostra e Ndrangheta verranno usate anche nelle stragi eversivo-terroristiche. Il sistema che descrivo in La Criminalità servente nel Caso Moro (la nave di Teseo) di una struttura riservata è sempre stato in piedi”.
La tua inchiesta si ramifica in due parti: la ricerca del movente dell’omicidio, del perché, e la continuazione dell’inchiesta “spezzata” che ha probabilmente condotto Pasolini alla morte. Questa inchiesta riguarda la strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969. Ci spostiamo dalla struttura dell’attentato, dalle bombe, da quella che chiami “concretezza delle cose” a un aspetto molto più delicato: chi ha finanziato quegli attentati? Condanni quella che è la ricerca di una verità parziale da parte del giornalismo, una sorta di pigrizia intellettuale e investigativa che ha lasciato culturalmente indifeso un personaggio come Pasolini.
“Entrambe le parti che sono centrali nel libro portano poi alla strage di Piazza Fontana (e al più ampio sistema di destabilizzazione per la stabilizzazione che nel libro indico anche in uno schema, per i più giovani anche più facile da comprendere credo) e vedono il coinvolgimento di parti americane, Vaticano e DC. È insieme anche una riflessione politica e giornalistica dell’uso del fango sparso su Pasolini e svela importanti novità sulla complicità e i silenzi del PCI. L’inchiesta sui finanziamenti ricostruisce e svela una parte mai approfondita dagli inquirenti né dalla magistratura (solo il povero giudice Emio Alessandrini lo fece ma fu poi costretto ad archiviare nel passaggio del processo da Milano a Catanzaro) e spiega i movimenti finanziari sottobanco nel portare verso di loro lauti guadagni e insieme servire l’anticomunismo che ovviamente al tempo era “lo sport” più praticato”.

Parliamo dell’accerchiamento del poeta da parte dell’organizzazione criminale neofascista Ordine Nuovo. In un articolo del 1° marzo 1975 intitolato “Non aver paura di avere un cuore”, il giornalista Pasolini approfondisce la polemica sull’aborto e i temi a lui più cari: omologazione, consumismo e le stragi. Giovanni Ventura arriva proprio in questo frangente, gli scrive il giorno successivo alla pubblicazione attuando la strategia della “seconda linea” appresa dal neofascista ed ex terrorista Franco Freda. In realtà, sarà proprio questo scambio epistolare ad accerchiarlo e condurlo nelle mani dei suoi emissari e assassini. Pasolini riceve a metà ottobre un dossier scottante da Ventura su un politico DC. Cosa rappresenta questo documento a tal punto da portare lo scrittore in una posizione di non ritorno?
“In realtà, nel primo libro trovo le tracce di un’altra organizzazione, una organizzazione minore satellite di Ordine Nuovo (Ordine Nero) fatta poi sparire dopo la strage di Piazza della Loggia. Sì, nel libro svelo bene perché si crea questo accerchiamento e come si ramificano le infiltrazioni all’interno della estrema sinistra del tempo, che si sprigiona in tanti movimenti extra parlamentari fuori dal PCI per malcontento e dissenso. Lo faccio attraverso alcuni documenti privati e pubblici inediti raffrontandoli ai fatti del tempo con l’ausilio di carte giudiziarie e delle commissioni d’inchiesta. E ovviamente là dove è stato possibile anche interloquendo con i protagonisti. Alcuni di questi movimenti, in particolare le frange più a destra dei marxisti leninisti si alleano con Ventura in parte consapevolmente in parte no. Nel libro lo ricostruisco in toto e ne spiego anche le conseguenze politiche e culturali di questo cambiamento. Il cuore di questo dossier che riguarda la DC, ma in particolare l’uomo più importante dell’anno della strage, è l’atto ricattatorio da parte di Ordine Nuovo che poteva far cadere il primo ministro Mariano Rumor (nel ’73 proveranno anche a ucciderlo). Per capire bene l’importanza di quel dossier bisogna leggere il libro!”.

Come scrivi nel libro, le quattro indagini ufficiali sulla morte dello scrittore furono quattro (1987, 1995, 2005 e 2010). Riporti che la magistratura celebrò un unico processo per stabilire l’identità e i reati dell’assassino o degli assassini di Pasolini. Alla luce delle tue ricerche, cosa è mancato a livello processuale e investigativo capace di creare un’irreversibile nube e indifferenza nei confronti della morte dello scrittore?
“Più che dire cosa è mancato – sicuramente il coraggio di andare oltre l’atto criminale in sé dalla prima all’ultima indagine e accettare che è stato un omicidio politico – bisognerebbe fare un elenco molto lungo di ciò che si è via via sedimentato: omissioni di indagine, manipolazioni di reperti e di testimoni, omicidi a latere, e cancellazione di prove. Di questo ne scrivo molto nel primo libro e ne sviluppo una serie sterminata di addendum anche all’interno de L’Inchiesta Spezzata. E’ necessario tirare le fila sui fatti innanzitutto e poi spiegare il perché”.

Quanto tempo ti ci è voluto per mettere insieme il tutto tra il precedente e il libro attuale? E qual è stato il momento più complesso della tua ricerca?
“Sono stati in tutto quasi 10 anni durissimi ma anche ovviamente professionalmente arricchenti nei quali ho fatto molte altre cose nel campo giornalistico (e il libro su Moro ne è stata poi una tappa importante). I momenti difficili sono stati diversi fino ad arrivare alla stesura dell’ultimo che è stata più complessa delle altre: sia perché è stato appunto un doppio lavoro i cui elementi non potevano fallire una volta incastrati, sia perché in questo tipo di lavoro in fondo si è soli davvero. E forse è giusto così”.
Simona Zecchi è giornalista e autrice di libri inchiesta. Ha pubblicato Pasolini, Massacro di un Poeta (Ponte delle Grazie 2015) e La criminalità servente nel Caso Moro (La nave di Teseo 2018). Negli ultimi due anni ha collaborato con l’emittente europea Euronews di Lione. E’ autrice di diverse esclusive e alcuni suoi lavori sono stati acquisiti in ambito investigativo. Ha vinto il Premio Marco Nozza 2016 per l’informazione critica e il giornalismo d’inchiesta, e il premio internazionale per il giornalismo d’inchiesta Javier Valdez 2019. Tra le sue collaborazioni anche La Voce di New York e Il Fatto Quotidiano. E’ autrice di saggi e traduttrice.